In principio fu la “fratellanza”.
Quando Francesco di Pietro di Bernardone si denudò davanti al padre e pubblicamente abiurò ai privilegi e all’agiatezza provenienti dal paterno commercio di stoffe, prefigurò con il suo gesto la via che avrebbe seguito, fondata sulla povertà e la fratellanza con gli uomini più poveri e umili che avrebbe incontrato. Appena poco tempo dopo Chiara di Assisi, di nobile stirpe, si unisce a lui con il medesimo intento e lo fa radunando attorno a sé figure esclusivamente femminili che confluiranno nell’ordine religioso delle Clarisse di cui seguiranno La Regola redatta dalla stessa Chiara, donna per le donne unite in un solo pronome:Noi. Fraternitas e Sororitas dei due mistici sono essenzialmente centrate sul principio trinitario di Padre Figlio e Spirito Santo e perciò nell’universo politico e sociale del Medioevo sono circoscritte all’ambito religioso. D’altronde di fratellanza non troviamo grandi esempi neppure nella Bibbia, a partire da Caino e Abele, Esaù e Giacobbe, Mosé e Aronne e Giuseppe, venduto dai fratelli come schiavo, tanto per citare qualche esempio. E non ne rileviamo tracce neppure nella cultura greca in cui prevale la natura degli uomini nelle loro qualità di bellezza, forza, saggezza e coraggio, singole creature che vivono una comunità priva di valore collettivo. Per parlare di sorellanza come rapporto sociale e letterario bisogna scavalcare molti secoli. Seppure già dal ‘500 donne quali Veronica Franco, Vittoria Colonna, Gaspara Stampa e Isabella Morra avessero iniziato a praticare le Lettere e a riscuotere consensi nell’ambito sociale, soltanto in tempi relativamente recenti dal termine collettivo di fratellanza spicca la parola nuova, sorellanza, che acquisisce valore e collocazione nel contesto socioculturale generale. È infatti nella seconda metà del Novecento, con i primi movimenti femministi, che comincia a delinearsi una geografia sociale che contempla la volontà femminile di “fare gruppo” per rafforzare l’impegno a vedere soddisfatto il diritto per la parità di genere. I primi fermenti sono il risultato dell’incontro di uno sparuto numero di donne che nell’autunno del 1967 iniziano a radunarsi in piccoli appartamenti di Lower East Side, quartiere di Manhattan. Ma, come è noto, già nell’ultimo scorcio dell’Ottocento il movimento delle suffragette manifestava ampiamente e pubblicamente per il diritto delle donne al voto politico e all’istruzione scolastica. Né possiamo ignorare quelle figure del lontano passato che con la loro opera hanno costituito una sorta di protofemminismo, una delle quali fu Christine de Pizan, italiana di nascita e naturalizzata francese, che agli inizi del ‘400 scrisse La città delle dame, utopica allegoria di una società dove la donna è spirito nobile che può esercitare il proprio potenziale creativo e umano a favore della collettività. Fra quelle che la seguirono vi fu anche la siciliana Camilla Bonfiglio Ventimiglia. Nata a Messina nel 1603 da una famiglia della media nobiltà locale e andata in sposa a sedici anni al conte di Ventiimiglia, al quale dà sette figli, pur non avendo frequentato nessuna scuola, da autodidatta acquisisce una cultura umanistica di tutto rispetto, entra all’Accademia del Fucino, compone poesie e scrive un trattato morale a difesa delle donne “contro la tirannide degli uomini”, che definisce “infidi compagni”, e nelle terzine che dedica alla Vergine lascia intravedere il legame che viene instaurato tra la lode alla Madre di Cristo e la difesa del sesso femminile, talché Maria è invocata come colei che ha dato gloria e splendore al sesso femminile. A lei la poetessa si appella con la preghiera di difendere le donne e di liberarle dal “giogo servil”. Ricordiamo a seguire anche l’inglese Hannah Woolley, prima scrittrice “professionista”, la monaca creola Juana Inés de la Cruz, poetessa, nonché la duchessa inglese Margaret Cavendish, saggista e drammaturga, una delle più importanti scrittrici femministe del XVII secolo. Negli ultimi anni dell’Ottocento, agli sgoccioli dell’era vittoriana e mentre andava diffondendosi da parte delle donne la presa di coscienza sulla necessità di lottare per i propri diritti, esplose la pubblicazione di una serie di romanzi distopici scritti da donne nei quali si metteva in scena l’utopia di una società tutta al femminile. In Mizora, pubblicato da Mary E. Bradley Lane nel 1880/81, la società è costituita da donne che partoriscono solo donne per un misterioso processo scientifico che rende possibile la partenogenesi. Nel romanzo New Amazonia l’autrice Elizabeth Burgoyne Corbett immagina un gruppo di suffragette decise a dare origine a una razza di Amazzoni che trasformeranno l’Irlanda in una terra a regime matriarcale.
Di sorelle e sorellanze nella letteratura e nell’arte ne possiamo contare parecchie. Le sorelle Charlotte, Emily e Anne Brontë, tutte e tre scrittrici e sodali, le quattro sorelle Alcott, alla cui secondogenita Louise May dobbiamo la famosa tetralogia Piccole donne che racconta la storia della famiglia March. Le sei sorelle Anguissola, tutte dedite, con più o meno successo, all’arte figurativa. Delle sorelle Van Gogh, Anna, Elisabeth e Willemien è con quest’ultima, oltre che con il fratello Theo, che il pittore mantiene una corrispondenza. Wil condivide con Vincent l’amore per l’arte e la letteratura, viaggia molto e partecipa attivamente al movimento femminista, finché cade nella stessa trappola psicotica in cui si dibatte il fratello e viene internata in una clinica psichiatrica.
Emily Dickinson, oltre al fratello Austin, ha una sorella, Lavinia, colei che dopo la sua morte ritrova le poesie di Emily e le porta alla luce pubblica. Ma ben altra è la sorellanza che la poetessa mantiene con la cognata Susan Gilbert, il loro rapporto travalica il legame sororale, è amicizia, affetto, stima, complicità; a lei Emily nel corso della sua esistenza ha scritto trecento lettere, in una dichiarando che “dopo Shakespeare tu mi hai donato più conoscenza di qualsiasi altro vivente”. Il rapporto fra le due cognate è stato descritto dalla poetessa come amore platonico e paragonato a quello di Dante e Beatrice, ma non è impossibile che abbia sfiorato il legame lesbico dal momento che in una lettera Emily le scrive: “Susie, verrai davvero a casa sabato prossimo e sarai di nuovo mia e mi bacerai come facevi?…Spero tanto per te, e mi sento così impaziente per te, sento che non posso aspettare, sento che ora devo averti – che l’attesa di vedere ancora una volta il tuo viso mi fa sentire accaldata e febbricitante, e il mio cuore batte così velocemente…”.
Non sempre il rapporto sororale è idilliaco. Fra Antonia Drabble Byatt e la sorella Margaret i rapporti sono sempre stati vissuti in regime di competizione letteraria. Anche Margaret è una scrittrice di successo, anzi è la prima a raggiungerlo, mentre Antonia non è ancora arrivata all’acme della sua personale affermazione la sorella ha già ricevuto grandi riconoscimenti all’Università di Cambridge e si afferma come una delle autrici che pone al centro della sua opera la vita delle donne con i loro problemi e le loro aspirazioni. Antonia intanto ha subito un grave trauma per la morte del figlio a causa di un incidente, e il rapporto fra le due sorelle peggiora, in parte per il disagio di Margaret, madre di tre figli, per la tragica perdita della sorella, ma anche per l’irritazione di Antonia a riguardo di uno scritto della sorella sulla loro madre.
Figure sororali memorabili le troviamo nelle pagine di molte narrazioni letterarie. Una delle più toccanti e citate è Anna soror, uscita dalla mirabile penna della Yourcenar, storia dell’amore incestuoso di Anna e Miguel. Nati nella claustrale dimora di una nobile famiglia del ‘600 napoletano, sorella e fratello vivono una dolente passione con la consapevolezza di essere nella damnatio aeterna eppure con la coscienza dell’intrinseca purezza d’animo. L’amore, fisicamente consumato durante la Settimana Santa, porta alla separazione e alla morte di Miguel che, per allontanarsi dalla sorella, è partito per la guerra. Anna paga con una vita spenta in un matrimonio imposto e vissuto con la rassegnazione.
Così come paga Rosaria nel romanzo La vigna di uve nere, di Livia De Stefani. Nati dall’unione di Casimiro, rozzo uomo d’affari in odore di mafia, e di Concetta, prostituta di strada, tanto il primogenito Nicola che la seconda figlia Rosaria sono “dati” dal padre ciascuno a una famiglia diversa, presso le quali crescono senza sapere l’uno dell’altra. Sennonché, passati gli anni e considerando che il figlio maschio può essergli di aiuto nel lavoro, Casimiro pensa bene di sottrarre i figli ai genitori che li hanno allevati e riportarli a casa. I due giovani si ritrovano estranei sia alla famiglia che fra di loro e il senso di solitudine crea fra loro un sentimento di solidale attaccamento. Nicola tende a difendere la sorella dalla tirannia del padre, Rosaria cerca di proteggere il fratello dalle violenze fisiche di Casimiro il quale, a un certo punto, fiutando l’intesa fra i due, decide di dividerli, mandando Nicola a lavorare da un parente a Messina e combinando il matrimonio di Rosaria con un emigrante tornato dall’America. Ma è troppo tardi perché la ragazza è incinta. Colto dalla rabbia, furioso perché i suoi piani di espansione socioeconomica sono compromessi e la sua “onorabilità” distrutta per sempre, l’uomo tenta con blandizie di convincere la figlia al suicidio e non riuscendovi con la persuasione ricorre all’inganno. Conduce la ragazza verso la strada ferrata e con una rapida mossa, al passaggio del treno, la spinge giù. Vi è, in queste due figure sororali, la tragicità di alcune vicende bibliche, la necessità di sacrificare il frutto della propria carne vuoi per obbedienza al Divino, vuoi per ottenerne qualche vantaggio. Nel suo romanzo La casa nel vicolo Maria Messina pone a protagoniste principali due sorelle, Antonietta e Nicolina, legate da tale affetto che la prima, al momento del suo matrimonio con don Lucio, chiede ed ottiene di portare con sé nella casa maritale la sorella, al fine di alleviare la malinconia per quel suo nuovo stato di moglie a cui l’ha destinata il padre.. Dapprima Nicolina fa resistenza, ma l’affetto per la sorella vince su tutto e alla fine accetta di seguirla. Antonietta, fragile di nervi ed emotiva per carattere, dopo la nascita del figlio Alessio, di cagionevole salute, a poco a poco cede il suo ruolo nella conduzione della famiglia alla sorella che con il tempo diventa l’amante del cognato. Quando Antonietta scopre il tradimento scoppia il dramma, nessuna delle due intende rinunciare all’uomo, l’una perché legittimata dal vincolo matrimoniale, l’altra perché nel consegnarsi alla famiglia della sorella ha rinunciato a una vita propria. Entrambe soggiogate da don Lucio, vivono asserragliate nella stessa casa evitando di incontrarsi, anche dopo che il giovane Alessio, che ha capito e vive la cupa atmosfera della casa, mette fine alla sua vita.
Per concludere il repertorio letterario, non perché sia esaurito ma, al contrario, perché ci sarebbe molto altro da dire, voglio citare il premio Nobel Annie Ernaux e il suo libro L’altra figlia. In forma di lettera alla sorella morta prima che lei nascesse, l’autrice racconta come e quando scopre di avere avuto una sorella. Ha dieci anni quando ascolta per caso la madre parlare con un’amica di una figlia morta di difterite due anni mezzo prima che nascesse la seconda. Da quel momento niente è più come prima. Nella ragazzina si scatena una tempesta di sentimenti contrastanti che troveranno pace solo quando riuscirà a parlarne. L’altra Figlia, scritto in forma di lettera alla piccola morta, mette in moto il meccanismo dell’assenza, la sorellanza non vissuta, né fisicamente né in memoria, è un’altra morte perché priva colei che sopravvive di tutto quell’apparato di gesti parole e fatti che costituiscono la vita dei ricordi. La sorella sottratta alla vita due volte squilibra il sentimento della vita nella bambina che vive come una colpa la sua sopravvivenza e solo molto più tardi la piccola figura ignota assurgerà a presenza iconica, recuperando il posto e il ruolo che le appartengono.