DocuFilm: Hopper: Una storia d’amore americana


Il pittore della solitudine, dei paesaggi urbani scevri di figure umane (o popolati da mute monadi) la cui assenza o scarsità diviene tuttavia un potente richiamo, un’evocazione di formidabile suggestione. Ma anche pittore di linee e luce in una sorta di metafisico realismo.
Edward Hopper (1882-1967) continua ad affascinare con la sua arte, che si tratti di acquerelli, oli o anche di semplici schizzi o illustrazioni. È, la sua, una “geografia delle emozioni” che disegna il profondo, emerge e si effonde come un enigma ancora da esplorare. Impossibile rimanere indifferenti innanzi a lavori come Tavola calda (1927), Cinema a New York (1939), I nottambuli (1942), Stanza a New York (1932), Domenica mattina presto (1930). Ai nostri occhi, all’intelletto si presentano immagini che sono storie da completare, destini da conoscere in quelle atmosfere apparentemente immobili, di silenzio e attesa, (ri)create dall’introspezione e da un’analisi accuratissima, tutta nell’animo di E., come sovente nei diari della moglie Josephine Verstille Nivison, valentissima pittrice a propria volta nonché sua segretaria e manager, era chiamato l’artista.
Hopper. Una storia d’amore americana è il docufilm che sarà proiettato sugli schermi cinematografici di tutta Italia il 9 e 10 aprile (elenco sale su nexodigital.it). Un’opera di grande completezza in cui si sonda la genesi del genio, la benefica influenza esercitata dalla famiglia, nella quale venivano coltivati gli interessi letterari e culturali, la formazione, compreso il viaggio europeo per scoprire a Parigi la lezione degli Impressionisti e le gentili variabili modulazioni della luce, sino al ritorno negli USA e alla scoperta e rivelazione pian piano della propria visione del mondo (interno ed esterno). Un’ispirazione dall’andamento spesso lento, ma dettagliatissima, criticamente pensata, nulla lasciato al caso.
La parola al regista Phil Grabsky: “Inizialmente sono stato attratto dall’idea di un uomo scorbutico, monosillabico e sgradevole, ma ho imparato che questa era una sintesi molto ingiusta dell’uomo Hopper, che è stato molto più complicato e complesso di così. Durante gli studi per il film ho scoperto che non si può capire Edward Hopper senza capire sua moglie, Jo. È per questo motivo che, con il progredire delle ricerche, abbiamo cambiato il titolo in Hopper: Una storia d’amore americana, alludendo sia al suo amore per l’architettura e i paesaggi americani sia al suo rapporto con Jo. L’eliminazione della folla dalle sue scene urbane ci permette di concentrarci sulla narrazione di una persona sola e della sua solitudine”.
Uomo non facile era Edward Hopper, personalità estremamente complessa, accanito lettore, coltissimo, taciturno, meditativo. Un unicum nella storia dell’arte (non solo americana), capace tuttavia di esercitare un’enorme influenza su chi è giunto dopo (si è parlato anche di Rothko e Banksi); anche nei confronti di altri universi dell’immaginazione, fra fotografia, musica e cinema: vedi la casa di Psyco di Hitchcock o David Lynch.
Nel docufilm – facente parte del ciclo La Grande Arte al Cinema, progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital – scorrono i dipinti, i filmati d’epoca, le interviste definendo un quadro oltremodo preciso di quell’immane, per forma e contenuti, corpus artistico… “trascinati all’interno di una storia d’amore tutta americana: l’amore per l’architettura e i paesaggi aperti e talvolta desolati degli States, ma anche quello, tenero e appassionato, per la determinata compagna di vita Jo.”
Preziosa e ben contestualizzata la colonna sonora di Simon Farmer e illuminanti gli interventi del team di storici e critici o esperti dell’arte dell’uomo di Nyack, cittadina sul fiume Hudson (Stato di New York).
Gran merito della pellicola è quello di mostrare ogni sfaccettatura dell’uomo e dell’artista, in primis i sentimenti più fondi, la Weltanschauung interiore, traslocata anche nei muri, nei ponti, nelle dune, nei fari, nei ponti, nelle luci notturne dei locali, negli uffici, nelle stanze, nei mezzi di trasporto, nelle rare e segrete figure umane in una specie di comunanza/estraneità da decodificare (Camus, De Chirico…). Per sollecitare e solleticare la nostra immaginazione, per la nostra meraviglia.

Alberto Figliolia

 

Share This:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.