Il suicidio di Ned Vizzini 4


A cura di Arturo Casalati

Non so quanti dei frequentatori di internet conoscono Ned Vizzini. Pochi, temo. Questo non perché Vizzini non sia stato un bravissimo scrittore statunitense contemporaneo, ma per il fatto che il suo romanzo più illuminante, il romanzo con il quale ha affrontato una questione importante nel mondo odierno tratta della depressione. La depressione, per chi ne soffre, è un argomento del quale è molto difficile parlare, scrivere, leggere. Per chi non ne soffre, invece, parlare o leggere di depressione è piacevole quanto parlare o leggere di tumore per chi non ce l’ha. È meglio non parlare, non scrivere, non leggere di argomenti come questi: è meglio non pensarci, hai visto mai che parlarne portasse sfiga?
È per questo che, in Italia e nel mondo, scrittori come David Foster Wallace, Ned Vizzini e altri sono, come dire, “evitati”. A meno che non si tratti di lettori (o scrittori) che, avendo fatto a lungo i conti con il dolore, con la sofferenza, con la possibilità (o la volontà) di morire, non hanno paura di parlare, di scrivere, di leggere della morte, l’unica vera certezza della vita umana.
Il sito internet del Corriere della Sera, il 22 dicembre 2013, ha pubblicato il seguente articolo dal titolo “Addio a Ned Vizzini, ha raccontato la depressione”.
“Ha raccontato la sua battaglia contro la depressione nel libro Mi ammazzo, per il resto tutto ok (Mondadori, 2006) e alla fine, stanco di lottare contro i fantasmi, si è tolto la vita. È lo scrittore e sceneggiatore statunitense Ned Vizzini, aveva 32 anni. Aveva esordito nella narrativa nel 2004 con il romanzo Datti una mossa (Mondadori) e nel 2013, con il regista Chris Columbus, aveva pubblicato il romanzo fantasy La casa dei segreti (Rizzoli)”.
Cinque righe in tutto, oltre al titolo. Evidentemente il giornalista, che si è guardato bene dal firmare l’articolo, è uno di quelli che pensano che parlare, scrivere, leggere di depressione porta veramente sfiga: non vedo altra motivazione credibile per la brevità del trafiletto!
Mi ammazzo, per il resto tutto ok è un romanzo il cui protagonista è Craig, un ragazzo statunitense. Quando Craig si rende conto che a scuola è soltanto uno dei tanti, che non eccelle in nulla, che le feste e le ragazze non gl’interessano, sente davvero di essere depresso. Ma è soprattutto quando si rende conto del fatto che ha soltanto 15 anni, è allora che comincia a pensare che l’unica soluzione possibile sia il suicidio. È così che Craig finisce direttamente nel Reparto Psichiatria di un Ospedale di New York. È in quel luogo dove alberga la follia che incontra una “truppa” di pazienti folli, appunto. Persone coraggiose e codarde, esuberanti e chiuse in se stesse. Quei pazienti, a modo loro, lo aiutano a cercare e a trovare se stesso, a incontrare una ragazza, a scoprire di essere un artista.
Nelle note finali del libro stesso si legge che il romanzo è ispirato al ricovero volontario, per curarsi dalla depressione, nel Reparto Psichiatria di un Ospedale newyorkese, avvenuto realmente nel mese di Novembre del 2004, dopo che Ned Vizzini ha tentato il suicidio.
Si tratta di un romanzo da leggere dall’inizio alla fine, senza alcuna interruzione. Un romanzo che aiuta a comprendere il “buco nero” che assale tanti giovani contemporanei. Ma si tratta anche di un romanzo che aiuta a comprendere quel velo di pazzia che continua a sfiorare tutti coloro che hanno un cuore indomito e “adolescente”.
Vizzini ha raccontato con grande precisione la sua difficilissima lotta contro la depressione, aiutato da psichiatri che gli hanno prescritto un’infinità di tipi di psicofarmaci.
Lo scrittore, nato negli Usa nel 1972, è diventato famoso a livello internazionale nel 2004, a 23 anni, debuttando con il romanzo Datti una mossa, tradotto in sette lingue (compreso l’ italiano). Datti una mossa racconta le vicende di un’adolescente imbranato, Jeremy Heere, impacciato con le ragazze e tormentato dai bulli, che cambia radicalmente vita quando acquista uno “squip”, un supercomputer in pillola (che in realtà non esiste affatto), il quale, una volta ingoiato lo trasforma immediatamente in un “figo”.
Nel 2006, come ho scritto sopra, ha fatto il secondo botto con Mi ammazzo, per il resto tutto ok, tradotto praticamente in tutto il mondo.
Nel 2010 è uscito nelle sale cinematografiche statunitensi, e poi in quelle italiane, il film ispirato al citato romanzo di Vizzini, dal titolo Cinque giorni fuori, diretto da Anna Boden e Ryan Fleck. Il protagonista del film è Zach Galifianakis, un attore statunitense, bravo e sconosciuto di origine greca.
Nel 2012 Vizzini ha pubblicato The Other Normals (Gli altri normali), un libro non ancora tradotto in italiano.
Nel 2013, con il regista e scrittore Chris Columbus, ha scritto e pubblicato, come scritto sopra, il romanzo fantasy La casa dei segreti (Rizzoli). Il romanzo avrebbe dovuto essere una trilogia per ragazzi, e non è affatto da escludere che Chris Columbus scriva da solo i rimanenti due romanzi per portare a compimento la trilogia ideata da lui e da Ned Vizzini.
Sempre nel 2013, stanco di lottare con gli angosciosi fantasmi della depressione, Vizzini si è arreso: è salito sul tetto della casa dei suoi genitori e si è buttato di sotto, nel quartiere di Brooklyn, a New York. La notizia, ovviamente, è stata riportata dalla stampa statunitense per poi diffondersi in tutto il mondo.
Con ogni probabilità Ned Vizzini meritava, e merita, di essere apprezzato più di quanto sia avvenuto nel corso della sua breve vita. Spero almeno che abbia la “fortuna” di veder riconosciuto il suo valore di scrittore contemporaneo con il suo romanzo più significativo.
Riposa in pace, Ned. Prima non potevi farlo, ora sì.

Arturo Casalati

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4 commenti su “Il suicidio di Ned Vizzini

  • Alessandro

    Ho appena visto su Netflix il film “5 giorni fuori”. Ha raccontato benissimo il mio recente periodo di depressione. La capacità empatica del protagonista è esattamente quel che servirebbe in quei momenti a chi sta male… Allora ho cercato informazioni sullo scrittore del romanzo. Come poteva aver così bene descritto tutte le mie frustrazioni ed angosce….. Che sconfitta leggere del suo suicidio nel 2013…… Sconfitta non per lui, credo che in quei momenti sia la cosa più logica da fare, ma per noi “normali” (sua moglie, la sua famiglia, i suoi amici….) cioè per tutte quelle persone per i quali la depressione è una cosa di cui non parlare perché da vergognarsi per chi ce l’ha o porta sfiga a chi non ce l’ha.
    Ci vorrebbe un medico illuminato che portasse la depressione fuori dai retaggi scaramantici e dalle vergogne produttivistiche.
    Così come Umberto Veronesi ha fatto per il tumore al seno.

    In un certo senso credo che anc

  • Stefano

    Ci rifletto solo ora, ma probabilmente “Datti una mossa” è stato per me un romanzo di formazione al pari di un Dostoevskij. Nei casi di suicidio in generale, ma in quelli di persone di spessore in particolare, non si sa mai quanto dire “è un peccato” sia retorico. Certo che è un peccato, ma non basta questo per andare avanti. Bisognerebbe fermarsi a riflettere. Quanto ci avrebbe potuto dare una persona così ancora, quanto abbiamo perso? Quanto deve aver dubitato e sofferto per compiere questo gesto? Perché quasi sempre sono le persone più sensibili e intelligenti a compiere questo gesto?