A Zurigo
Asimmetrica nonostante l’ordine
delle parole dei predicatori,
nonostante le chiese dai campanili
possenti e aguzzi.
La tua foschia spettrale,
quasi pre-industriale,
un’imitazione fuori tempo.
Il cielo bigio (ma il rosa
dei tramonti estivi),
l’odore dolce del lago
che risale le strade.
Ti hanno chiamato Crisopoli,
la Città dell’Oro, così ricca
nei segreti (e nelle segrete)
delle banche, da non sapere.
Eppure sei indecifrabilmente bella,
come un Test di Rorschach,
sincronica, dada, come la fabbrica
dei treni mutata in giardino
o l’edificio storico spostato
sulle rotaie di notte.
Tu sei gli scacchi di Lenin
e sibilanti aspre h e morbido
pane e mesmeriche piogge
(minute gocce d’infinito).
Sei i tram che sferragliano,
meccanici fantasmi bianchi e blu,
operose formiche elettrice,
e improvvisati concerti d’organo
in chiese spoglie e bizzarri fregi
sui palazzi Jugendstil e alberi
dai rami invernali come vasi sanguigni
in corpore coeli.
Tu sei la Volkshaus e mercati
di pantagruelici formaggi
e piccole croccanti mele
come quelle del medioevo
e sedie sperse nelle piazze
per il riposo di una pagina
da leggere ancora e ancora.
E sei il pub dalla birra ambrata
e nera dove puoi perderti
nel brusio di sconosciuti amici.
Io ti ho percorsa, Zurigo,
ma non ti conosco,
non so la tua essenza
intrisa di passi perduti.
Ma indovino
il tuo vasto enigma.
Zurigo, autunno-inverno 2018
Alberto Figliolia
Zurigo è una città specialissima. Ricca economicamente e di storia, bella, affascinante, complessa, crocevia di opportunità e cultura/e. Come da splendida tradizione e vocazione elvetica anche le sue realtà museali rispondono a tali requisiti/caratteri/qualità. Non fa dunque eccezione il Museum Rietberg, una delle più grandi istituzioni d’arte in Svizzera, forte d’importantissime collezioni (Asia Africa, Americhe, Oceania) e sede di magnifiche e oltremodo suggestive mostre temporanee. Sono ben 32.600 gli oggetti e 49.000 le fotografie conservate al proprio interno. Un autentico patrimonio in gran parte visitabile da parte del pubblico, con un afflusso interno e dall’estero. “Il museo testimonia il legame della città di Zurigo con le culture del mondo e sensibilizza i singoli risultati artistici e la diversità religiosa e sociale. In questo modo, svolge un’importante missione culturale in un mondo sempre più globalizzato.” Nobile intento, coltivato con professionalità, scientificità, sentimento e superba capacità di programmazione.
Al momento sono da segnalare tre esposizioni in corso negli ambienti del Rietberg: In dialogo con il Benin. Arte, colonialismo, restituzione (fino al 16 febbraio 2025), Ragamala. Pictures for all senses (fino al 19 gennaio 2025), Iran. Ritratto di un Paese (fino al 5 gennaio 2025). Andando per ordine, il primo progetto riguarda lo stato, fra passato, presente e futuro, del patrimonio culturale della nazione africana, un insieme di una cinquantina di gruppi etnico-linguistici, un tempo nota come Regno di Dahomey. La seconda mostra ha un impatto intellettuale-emotivo poderoso. Ragamala non solo pone all’attenzione i preziosissimi e raffinati prodotti artistici e musicali di varie parti dell’India – alle pitture (per lo più XVI e XVII secolo) si abbina una musica che penetra i sensi, in una sensazionale commistione orecchio-occhio – ma è proprio concepita per interagire. Una esposizione che si ammira, che si vede, che si sente, quasi riesci ad annusarla. Troppo originale, raffinatissima (e sfolgorante il catalogo). La terza mostra è costituita da immagini fotografiche (sur papier albuminé) prese in Iran-Persia fra il 1880 e il 1896, comprate in loco da Emil Alpiger (1841-1905) e donate dagli eredi al Museo Rietberg. Un’immersione, quest’ultima, in un mondo quasi arcaico, popolare, figlio in ogni caso di una millenaria civiltà.
In dialogo con il Benin. Arte, colonialismo, restituzione – a cura di Josephine Ebiuwa Abbe, Solange Mbanefo, Michaela Oberhofer, Esther Tisa Francini, con allestimento di Solange Mbanefo – non è solo una mera esposizione di alcuni pur eccezionali manufatti, ma coltiva anche l’ambizione di indagare sul tema del saccheggio delle opere d’arte e della spoliazione per opera delle potenze coloniali (un problema immane). “La pluralità di voci come principio… Seguendo la missione che contraddistingue la sua ricerca espositiva, il Museo Rietberg non ha voluto mostrare la storia dell’Africa solo da una prospettiva occidentale, ma ha progettato e realizzato la mostra in stretta collaborazione con partner nigeriani ed esponenti della diaspora panafricana in Svizzera.”
Le curatrici si dedicano alle più svariate attività in diversi ambiti: teatro, architettura, antropologia dell’arte, storia. “Insieme hanno sviluppato i contenuti, i testi, il design e il programma della mostra, raccogliendo inoltre filmati e interviste con esperti provenienti da musei e università, studiosi del palazzo reale e delle arti che illustrano la prospettiva nigeriana sul patrimonio culturale del Paese. Il museo ha anche commissionato nuove opere, realizzate nei laboratori dei fonditori di bronzo a Benin City. Inoltre, artisti contemporanei come Cherry-Ann Morgan e Kwaku Opoku si sono confrontati con temi quali la schiavitù e il patrimonio culturale, la memoria e la guarigione.”
La fotografia di Omoregie Osakpolor (Igun Street a Benin City), sculture, l’eco di canti funebri, le prove della conquista e dell’espropriazione del patrimonio d’arte, video con interviste e danze, un pendente d’avorio (cerimonia dell’incoronazione), una panoramica cronostorica, mappe e documenti. Una mostra di fortissimo impianto concettuale, per instillare/donare consapevolezza. “Per inserire la produzione beninese nel più ampio contesto della storia dell’arte africana, ai sedici oggetti beninesi del Rietberg sono state affiancate opere provenienti dalla collezione africana appartenente al museo e prestiti provenienti dal Bernisches Historisches Museum e dal Musée d’ethnographie di Neuchâtel.”
Con l’installazione It is complicated l’artista caraibica Cherry-Ann Morgan riflette sul tema delle deportazioni, della schiavitù e delle radici africane, e Nipadu del ghanese Kwaku Dapaah Opoku propone “un’interpretazione artistica del saccheggio del Benin paragonando i musei a dei luoghi di sepoltura.”
Meravigliosa la scultura raffigurante una maternità. L’allattante, seduta a gambe incrociate, una mano sulle gambine del piccolo, l’altra dolcemente posata sotto il suo capo, fissa un punto lontano verso un orizzonte che potrebbe ben configurarsi come inesprimibile. Tanto lineare, essenziale e commovente, tenerissima, l’immagine (solida) di questa madre con il bimbo cui fan culla le gambe, e al tempo stesso archetipica.
E impressionante appare una statuina che sembra rappresentare… un sacerdote? O una sorta di Mater Matuta abbigliata? Fattezze quasi aliene.
Il momento maggiormente drammatico, se non tragico, nella storia del Benin fu nel 1897, allorché le forze armate britanniche s’impadronirono del regno facendo tabula rasa del palazzo reale e costringendo all’esilio il re (oba) Ovonramwen. Questa mostra è dunque, attraverso l’arte e la sua testimonianza creativa, un tributo alla memoria e alla coscienza storica.
Come detto, Ragamala è una festa per mente e sensi. Amore, senso estatico, religiosità, culto della bellezza; l’armonia dei palazzi, dei giardini e della Natura, e la meditazione spirituale, l’esplorazione dei simboli universali. Uno spaccato della vita indiana, dei suoi incredibili esiti estetici (nel senso più pieno del termine). Un dialogo, che dovete immaginare accompagnato da una musica e dalla sua veste iconografica…
M: Your eyes look into my soul
F: Your touch lights a fire
M: Your breath trembles
F: In anticipation
M: Your lips quiver
F: With longing
M: Your sighs
F: Are heavy with desire
M: Your embrace
F: Completes me…
Un allestimento assai saggio consente di perdersi in questi meravigliosi labirinti di colori e note, soprattutto nelle postazioni, disposte in un doppio cerchio, nell’area con i rettangoli di pitture e le musiche in cuffia. Da qui non si vorrebbe mai andare via, tanto si è catturati dalla magia del canto e dalle scene che si animano alla fantasia. Uno straordinario viaggio in un’altra latitudine spazio-temporale.
Dulcis in fundo, le foto iraniane, manifesto antropologico-culturale… Individui e mestieri, gruppi familiari, scene di vita cittadina e tende nel deserto, dervisci e ritratti femminili nelle più varie fogge e pose, bazar e Caravansérail…
Il consiglio è: andare a Zurigo, perdersi nel suo centro storico, fra architetture private e pubbliche, luoghi sacri e mercati, piazzette intime o di straordinaria ariosità (la luce che cade e bagna ha talora una peculiare inimmaginabile trasparenza), fontane ricolme di petali, godere del suo lago. Ma non dimenticatevi il Rietberg…
Alberto Figliolia
Museo Rietberg, Zurigo. Kunst der Welt in Zürich, Galblerstrasse 15 – 8002 Zürich, Svizzera.
Info: rietberg.ch (appuntamenti e visite guidate), | @museumrietberg.
Orari di apertura Museo e caffetteria: mar-dom ore 10-17 | mer ore 10-20
Costo del biglietto: CHF 18 / 14 (ridotto).
Fino al 31 dicembre il Museo Rietberg offre a tutti i visitatori l’ingresso gratuito alla collezione permanente e alla mostra fotografica sull’Iran.
Come arrivare: Tram 7 in direzione Wollishofen fino alla fermata “Museum Rietberg” (quattro fermate dopo Paradeplatz). Sono disponibili solo parcheggi per disabili.
“Le collezioni di fama internazionale costituiscono la base di tutte le attività del museo e ne determinano la reputazione. Le opere richiedono una ricerca scientifica continua, compresa la ricerca sulla provenienza, rispetto alla quale il museo mantiene un approccio trasparente: i risultati della ricerca, sono ampiamente accessibili online e i curatori a disposizione per ogni domanda o chiarimento. Il Museo Rietberg è connesso a una rete di esperti nei vari settori culturali e a istituzioni culturali e collezionisti, sia a livello locale che internazionale. Nel dialogo con i Paesi d’origine, si concentra su collaborazioni a lungo termine, ad esempio, in Camerun, Perù, India e Pakistan. Il museo organizza due o tre grandi mostre temporanee all’anno, integrate da tre o quattro mostre più piccole che attingono alle sue collezioni interne. Le mostre temporanee sono prodotte talvolta all’interno del Museo e in altre occasioni sono il frutto di collaborazioni internazionali con musei e istituzioni dei Paesi d’origine e vogliono promuovere le culture extraeuropee e l’idea di tolleranza, dando così un esempio del cosmopolitismo della città di Zurigo.
Il programma di edutainment del museo offre un’ampia gamma di attività ludiche ed educative con visite guidate, conferenze e laboratori, per il pubblico in generale, per i più piccoli come pure per gruppi, per professionisti, studenti o insegnanti. Uno dei compiti del museo è la conservazione e la manutenzione del complesso storico del Rietberg – una combinazione unica di arte extraeuropea (mostre e attività museali), storia locale (Villa Wesendonck, Park-Villa Rieter, Villa Schönberg), architettura contemporanea (lo Smaragd degli architetti Krischanitz/Grazioli e il padiglione estivo di Shigeru Ban) e la natura del parco da preservare.”
Le voci dei protagonisti
Ciò che mi interessa di questa mostra è l’opportunità di parlare della mia cultura in prima persona, e non tramite ciò che altri mi hanno raccontato. – Josephine Ebiuwa Abbe, co-curatrice ed esperta di discipline teatrali, docente all’Università del Benin, Benin City.
Fin dall’inizio la prospettiva multipla è stata un punto centrale della mostra e secondo me anche un’opportunità per portare avanti il processo di decolonizzazione. – Solange Mbanefo, co-curatrice e architetto, Lucerna.
La storia non riguarda solo ciò che è stato, ma anche ciò che è. Quegli oggetti raccontano ancora la loro storia e continueranno a farlo domani. – Enibokun Uzébu-Imarhiagbe, storica, docente dell’Università del Benin, Benin City.
Per me, toccare questi oggetti è una cosa più spirituale che fisica: essi rappresentano la nostra storia e la nostra anima. – Patrick Oronsaye, artista e storico dell’arte.
Vedere queste opere in un museo mi incoraggia a sperare in un futuro migliore. – Phil Omodamwen, fonditore di sesta generazione, Benin City.
Ho un legame personale con questi oggetti, che hanno avuto un’influenza sulla mia arte e sulla mia creatività. – Samson Ogiamen, artista e mediatore culturale, Graz.