Recensione Teatrale: M Il figlio del secolo, regia di Massimo Popolizio


Trentuno quadri a comporre la galleria di un’ascesa al potere attraverso il trasformismo e la violenza, nella contemporanea debolezza delle istituzioni, monarchia compresa, e nella paura del “pericolo rosso”, pretesto per innescare reazione e conservazione dello status quo. M Il figlio del secolo di Antonio Scurati è un romanzo storico, con pienissimo merito vincitore del Premio Strega 2019; un libro che ben si potrebbe definire epocale, a cui ha fatto seguito M L’uomo della provvidenza. Un romanzo fiume, del quale si attendono con impazienza altri tomi. Ponderosa e affascinante è questa opera di Scurati per la capacità della narrazione, per la ricostruzione psicologica dei personaggi, per la ricchezza di inserzioni di documenti a testimoniare quella vicenda che condusse a una presa di potere quasi rocambolesca, all’instaurazione della dittatura, a un consenso di massa senza pari, all’avventura coloniale in Etiopia (e il presunto Impero), al trascinamento nella rovinosa Guerra Mondiale.
M Il figlio del secolo si conclude con il delitto del coraggioso e solitario parlamentare socialista Giacomo Matteotti, quel che avrebbe potuto costituire la fine del giovane regime, tanto fu lo sdegno suscitato dall’omicidio del paladino dei derelitti, e invece l’efferata esecuzione sarebbe stata volta dal Duce a proprio vantaggio.
Ora il romanzo è stato tradotto drammaturgicamente, operazione non certo facile, e portato in scena al Piccolo Teatro da Massimo Popolizio. Tre ore che ti inchiodano alla poltrona, nelle quali si dipanano gli episodi cruciali di quel passato talora ancora tanto difficile da decifrare – e sono cento anni dalla Marcia su Roma – foriero di sventure e in grado, incredibilmente, di tenere in cattività un intero popolo, fra demagogia e repressione, totale anestetizzazione dell’opinione pubblica e cooptazione forzata degli intellettuali – salvo rarissime virtuose eccezioni – fra paura e acquiescenza, fra inedia psichica e inerzia sociale.
Dal Mussolini socialista massimalista, con venature anarchiche, direttore dell’Avanti!, alla fondazione de Il Popolo d’Italia, dal non interventismo all’appoggio smaccato alla guerra, il passo è breve. Dal fallimento iniziale allo squadrismo spietato, finanziato anche dai ceti abbienti agrari, dagli incendi delle Case del Popolo agli omicidi degli oppositori, tutto viene rivisitato con la lente dell’ingrandimento nel romanzo e con folgoranti sintesi (quasi pittoriche, da tableaux vivants) sul palcoscenico. Non potevano mancare l’avventura di Fiume, con un contorto – visionario o allucinato? – Gabriele D’annunzio, sempre più impegnato nella sua parte di vate, nonché primo rivale di Benito per la conquista del potere (e Mussolini fu altamente ambiguo: a parole appoggiava il poeta, nei fatti invero perseguiva l’opposto), e la figura della controversa Margherita Sarfatti, intellettuale raffinata che si prese il compito di “educare” Mussolini divenendone pure l’amante. Le donne hanno peraltro una parte considerevole: Ida Dalser, Rachele Mussolini, Velia Matteotti…
Il regista Popolizio interpreta anche la figura di Benito “il teatrante”, dividendosi il ruolo del Duce con Tommaso Ragno. Diciotto sono gli attori impegnati per un’ottantina di ruoli, facendo in modo che le interpretazioni attoriali siano multiple in uno sconvolgimento di parti, una sorta di delirio organizzato come lo sviluppo di quei convulsi giorni. Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere… E potere fu, nel silenzio colpevole dello Stato.
“Senza alcuna inclinazione al compendio storico e riepilogativo, il testo dello spettacolo mira a portare in scena una rappresentazione plastica ed espressionista dell’affermarsi del fascismo. Una storia, quella che instrada l’Italia al fascismo, che non si conosce mai abbastanza, in particolare quella dei sei anni che seguono la Grande Guerra, con l’impresa di Fiume, il basculare del paese verso la rivoluzione socialista, la reazione e il dilagare dello squadrismo […] e l’inesorabile efficacia di una dottrina politica che si sottrae alle categorie di giudizio con l’azione violenta. Protagonisti ne sono il fondatore del fascismo almeno quanto i suoi comprimari, che sentiremo esprimersi in terza e prima persona, Marinetti, D’Annunzio, Margherita Sarfatti, gli antagonisti Nicola Bombacci, Pietro Nenni e Giacomo Matteotti (colto anche nella commovente relazione epistolare con la moglie Velia), Italo Balbo, gli smobilitati della Grande Guerra e tutta una nuvola di individui venuti dal basso. Protagonista, si potrebbe dire allora, è l’intera comunità nazionale, il paese opaco.

Alberto Figliolia

M Il figlio del secolo, regia di Massimo Popolizio, collaborazione alla drammaturgia Lorenzo Pavolini. Con Massimo Popolizio, Tommaso Ragno, Sandra Toffolatti, Paolo Musio, Raffaele Esposito, Michele Nani, Tommaso Cardarelli, Alberto Onofrietti, Riccardo Bocci, Diana Manea, Michele Dell’Utri, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Gabriele Brunelli, Giulia Heathfield Di Renzi, Francesca Osso, Antonio Perretta, Beatrice Verzotti. Una produzione Piccolo Teatro di Milano, Teatro di Roma, Luce Cinecittà. Scene: Marco Rossi. Costumi: Gianluca Sbicca. Luci: Luigi Biondi. Suono: Sandro Saviozzi. Video: Riccardo Frati. Movimenti: Antonio Bertusi. Fino al 26 febbraio (e dall’autunno 2022) Piccolo Teatro Strehler, Largo Greppi 1, Milano (MM2 Lanza); al Teatro Argentina di Roma dal 4 marzo al 3 aprile.
Info e prenotazioni: tel. 0221126116, sito Internet www.piccoloteatro.org.
Orari: da martedì a sabato, ore 19,30; domenica ore 16; lunedì riposo.
Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro.

M Il figlio del secolo è una vertiginosa immersione nella Storia, coacervo di innumerevoli storie, con il suo impressionante carico di rivolgimenti e di rovine, per riscoprire tra le pieghe del passato del nostro Paese le mappe per navigare il futuro, per capire – dunque – chi siamo e da dove veniamo. Costruito attorno al monumentale romanzo (premio Strega 2019) con cui Antonio Scurati, con taglio originale e coinvolgente, ripercorre l’ascesa al potere di Mussolini, lo spettacolo è stato riassemblato in una nuova tessitura drammaturgica di trentuno quadri da Massimo Popolizio, nella duplice veste di regista e attore in scena. In una dialettica sapida e feroce che chiama in causa tanto figure cardinali quanto personaggi apparentemente “minori”, la caleidoscopica rappresentazione mutua il proprio registro stilistico dall’incandescente materia di partenza, in bilico fra incubo circense felliniano e impietoso processo.

Claudio Longhi
Direttore del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Il Teatro di Roma, in coproduzione con il Piccolo Teatro di Milano e con Luce Cinecittà, ha scelto di affidarsi allo sguardo affilato e rigoroso, insieme straniante e partecipativo, dell’“opera mondo” di Antonio Scurati M Il figlio del secolo per provare a riflettere su una fondamentale fase della storia politica e culturale del nostro Paese. Il difficile e irrisolto rapporto che l’Italia ha sempre avuto – e continua ad avere – con la necessità di fare i conti con il proprio passato, e in particolare con determinati periodi oscuri, complessi e ambigui, diventa l’occasione per osservare, da vicino, attraverso la lente di un grottesco a tratti velenoso, a tratti drammatico, il folle sprofondamento nelle aberrazioni del regime fascista. Lungo i sei anni che vanno dal 1919 al 1924, l’accurata radiografia dei processi di massificazione non passa solo per il protagonismo di Mussolini, sdoppiato nelle copie anamorfiche su cui si regge la messa in scena, ma anche per tutta una selva di presenze che ritraggono, grazie alla forza espressiva e alla versatilità di un nutrito cast di attrici e attori, lo smarrimento, e la conseguente parabola della caduta, di una comunità intera.

Gianluca Sole
Commissario Straordinario del Teatro di Roma – Teatro Nazionale

Forse il fascismo non è il virus che dilaga, ma il corpo che lo accoglie». Queste parole di M., l’opera di Antonio Scurati che gli è valsa il Premio Strega 2019, sono uno dei motivi che ci hanno spinto a co-produrre la sfida lanciata da Massimo Popolizio, insieme al valore testimoniale della nostra memoria storica e al rapporto tra teatro e letteratura. Se si osservano le vicende dell’attualità, quelle parole, vecchie ormai di un secolo, continuano a produrre sinistre risonanze fattuali. Si è assaliti dal dubbio che il virus del fascismo non sia mai davvero debellabile, e che, sotto la cenere della democrazia i suoi tizzoni continuino a covare il calore capace, da un momento all’altro, di riattizzare i focolai dell’intolleranza e della prevaricazione. L’esercizio della memoria è l’unica difesa dai virus del passato. Cinecittà-Istituto Luce ha ritenuto opportuna la sua partecipazione a questo progetto in coerenza rispetto alla sua funzione di custode della memoria collettiva di questo Paese.

Chiara Sbragia
Presidente Cinecittà SpA

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