Il gioco della seduzione e il fulmine dell’amore. Travestimenti ed equivoci: innocente inganno, spaesamento o, nel segno dell’ironia e di un sublime caustico sfolgorio, una sottile e acuta meditazione su quel che è il concetto di identità? E, ancora, una riflessione sulle barriere di classe, vale a dire essere inchiodati a un ruolo o poterne uscire per evolversi?
Il gioco dell’amore e del caso (Le Jeu de l’amour et du hasard) di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux è tutto questo, in una mescolanza che a distanza di quasi trecento anni dalla sua scrittura e prima rappresentazione ancora affascina. Una commedia teatrale fra galanteria, raffinatezza, punte di grottesco, comicità e gli spasimi infiniti del cuore.
In scena sino al 13 giugno nello storico Teatro Litta di Milano lo spettacolo ha esordito con gran successo il 24 giugno. Nella nuova traduzione di Michele Zaffarano e con l’adattamento e la regia di Antonio Syxty cinque eccellenti attori – Gaetano Callegaro, Francesca Massari, Francesco Martucci, Jasmine Monti, Filippo Renda (quest’ultimo anche assistente regista) – si sono cimentati in un lavoro non facile per la necessità di tutte le sfumature psicologiche da assumere e riproporre, anche in considerazione del travasamento delle personalità dei personaggi in altre non proprie – la commedia degli equivoci è più ardua di quel che si crede – una sfida peraltro vinta con splendida professionalità e candore e perizia.
Semplice e pur intrinsecamente complesso, il magistrale impianto drammaturgico di Marivaux, uomo di penna oltremodo versatile, si dipana con gran divertimento e invitanti suggestioni. Dorando (o Dorante) e Silvia, sposi promessi senza conoscersi, decidono, per meglio comprendere chi sarà il rispettivo compagno, di fingersi al loro primo incontro domestici, mentre i propri servi, Arlecchino e Lisetta, indossano gli abiti dei padroni. Il burattinaio, che tutto sa e manovra, è il padre di Silvia, Orgone (con la complicità del genitore, presente solo in lettera, di Dorando). Facile comprendere quali incredibili sviluppi si verificheranno fino alla (logica?) conclusione. “Tra dialoghi e continui malintesi, il grande autore francese riesce a offrirci una commedia divertente, brillante, con momenti esilaranti non privi di una comica suspense. Riuscirà l’amore a trionfare sull’egoismo, sui pregiudizi e sugli ostacoli che il destino si diverte a innalzare? Rappresentato per la prima volta nel 1730 dalla Comédie-Italienne, il testo esplora le sfumature dell’amore attraverso lo scambio di ruoli tra i personaggi, offrendo una vivace girandola di emozioni e colpi di scena. L’opera, ambientata a Parigi, si distingue per la brillantezza delle interpretazioni e la profondità psicologica dei personaggi. Attraverso questa commedia, Marivaux offre uno sguardo penetrante sulla metafisica del cuore, evidenziando il trionfo della passione sull’egoismo e le convenzioni sociali, incantando il pubblico con il suo intrigo avvincente e la sua raffinata analisi dell’amore e della società.”
Il gioco dell’amore e del caso non è un testo molto rappresentato nel nostro Paese che di gran lunga ha sempre preferito Molière. Al contrario in Francia Marivaux è sempre molto apprezzato. Addirittura il nostro Pierre Carlet (1688-1763) – non solo uomo di teatro, ma anche romanziere e autore prolifico e poliedrico, nonché fantasioso pensatore, filosofo a suo modo – ha dato origine con i suoi sorprendenti intrecci, un topos giocato sempre con una cifra estremamente originale, al neologismo marivauder per indicare lo scambio di ruoli, i meccanismi dell’innamoramento e, estendendosi, una molteplicità di implicazioni. E un po’ il letterato parigino si sbizzarriva e celiava anche con la propria identità: difatti il mancato avvocato era nato Pierre Carlet (di nobili origini normanne), poi ribattezzatosi, Pierre Decarlet e Carlet de Marivaux (e Chamblain era il cognome, da lui riutilizzato, di un parente materno). Per quanto non sempre esaltato, Marivaux seppe esercitare un’influenza profonda. La sua riscoperta di profondo indagatore dell’animo e della variegata e complicata società umana non è casuale (la Comédie-Française lo porta in scena sovente).
Il regista Antonio Syxty: “Ciò che sembra non è, e viceversa, ma quando ci sono di mezzo i sentimenti e la vita la faccenda si fa più complicata. Perché non possiamo uscire dai ruoli che ci siamo definiti o che abbiamo assunto per mascherare il vero? Quando mascheriamo il vero che cosa è vero di ciò che scegliamo di comunicare? E se quando usciamo dal “ruolo vero” per entrare in altri ruoli che non sono tali complicassimo a noi e agli altri la percezione del reale?”
Un’analisi perfetta. E attraverso il riso siamo costretti a pensare alle immense problematiche (e conseguenze) sopra esposte.
La scenografia di Guido Buganza, i costumi di Valentina Volpi e il disegno luci di Fulvio Melli (staff tecnico completato da Ahmad Shalabi e Stefano Lattanzio, oltre alle delegate di produzione Lisa Metelli e Sofia Tieri) con parvenza minimalista accentuano la sensazione di essere in una sorta di “bolla trasparente”. Il mondo fuori parrebbe non esistere. I limiti sono tracciati dall’invisibile, da una nube di tendaggi e da un primate gigante che incombe sulla scena: “Il “nostro” gorilla è colorato e monocromo (simile a un’icona wharoliana), dipinto alla stregua dei modi della street-art, ma indossa anche lui una maschera a voler emulare gli umani nei loro bizzarri travestimenti e traccheggiamenti. La nostra forma-sembiante-simulacro pende dall’alto e sovrasta la bolla abitandola assurgendo a deus-ex-machina della vicenda”. Un paesaggio sospeso e non per questo meno reale; le geografie interiori hanno rive incognite e sconfinate, dove i cinque attori-personaggi si muovono in cerca dell’altro, in cerca di sé, mossi, forse, dal caso, con l’amore, certamente, il più potente degli dei.
Alberto Figliolia
Il gioco dell’amore e del caso, produzione Manifatture Teatri Milanesi. Teatro Litta, corso Magenta 24, Milano.
Orari: da lunedì a sabato ore 20.30
Info e prenotazioni: e-mail biglietteria@mtmteatro.it, tel. 0286454545; sito Internet www.mtmteatro.it e vivaticket.it.
Note di regia
Una nuova traduzione per Marivaux. Quando faccio teatro la prima cosa, per il mio lavoro, è avere a disposizione una lingua che possa produrre un suono coerente con il testo e con il dispositivo che il testo mette in atto, inizialmente sulla pagina scritta e in un secondo momento nella trasposizione organica per la voce. Mi capita spesso – nella vita quotidiana – di notare come spesso scegliamo a caso le parole che pronunciamo per comunicare. Il più delle volte usiamo le parole con trascuratezza, con approssimazione, in modo sbrigativo perché ciò che ci preme è comunicare, ma nello stesso tempo utilizziamo il dispositivo verbale senza la consapevolezza della sua ricchezza e potenzialità allegorica, semantica, metaforica. Il teatro non può e non deve uniformarsi al quotidiano, soprattutto nel caso di un testo del 1730, che è un dispositivo drammaturgico in grado di creare un disegno raffinato intorno a quelli che sono i meccanismi umani, che regolano verità e rappresentazione di sé e dei propri sentimenti. Per questo ho chiesto a Michele Zaffarano, già traduttore di autori francesi come Francis Ponge, Christophe Tarkos, Michel Onfray, Alain Badiou, Jean-Marie Gleize e altri di fare una nuova traduzione dal testo francese originale di Marivaux. Ogni traduzione è un tradimento dell’originale e il teatro è il luogo del tradimento, ma la scelta che si fa del dispositivo verbale è fondamentale, perché prima di ogni altra cosa la parola diventa suono e il suono entra nelle nostre orecchie generando vibrazioni di senso, immaginazione e pensiero. I segni, nel teatro della messa in scena, sono congruenti o congruenti a seconda di come li vogliamo disporre e combinare. Allo stesso modo anche l’interpretazione si combina in un dispositivo atto a mettere il vero nel falso e viceversa, senza pretese psicologiche “moderne”. In fondo Marivaux si diverte con il personaggio di Orgone, padre di Silvia (e al pari del suo omologo: il padre di Dorante) a orchestrare l’architettura della finzione dichiarandola apertamente allo spettatore già all’inizio della pièce. L’arte combinatoria è quella che può far coincidere la trama del disegno o anche di fuorviarla per crearne uno analogo, ma non identico, quindi possibile anch’esso. Lo spostamento degli equilibri e delle combinazioni dei segni sono per me (e lo sono sempre stati) pattern mentali, visivi e emotivi in grado di riattivare la circolazione del sangue e del pensiero, in continue derive di senso e di significato.”
Antonio Syxty