Recensione docufilm: National Gallery 200


La testimonianza più esemplare (e commovente) è quella di un ex produttore televisivo sprofondato nel baratro delle dipendenze che ha saputo ritrovare sé stesso dopo un lungo itinerario di sofferenza. Si lascia intervistare aprendo il suo cuore con sorprendente e superiore onestà (ed empatia). Di fronte ha la Madonna del Prato di Giovanni Bellini, un dipinto a olio trasportato poi su tela (1505 circa, 67,3 x 86,4 cm) in possesso della National Gallery di Londra. Nel periodo della sua estrema pena, nei tormenti dell’astinenza e dello sfilacciamento fisico e morale della propria esistenza, questo signore dall’apparente età di cinquant’anni o giù di lì veniva ogni giorno, o quasi, a percorrere gli ambienti del celebre museo, che – lo ricordiamo – è a ingresso gratuito; e si soffermava davanti a questo dipinto, alla sua serenità, all’immagine materna e filiale, alle suggestioni di una incipiente primavera, manifesto di rinascita anche interiore, alla veglia del sonno dell’innocente, al messaggio di comunanza che i colori e la sapienza dell’impianto “architettonico” del Bellini sapevano trasmettere all’osservatore emozionato, partecipe, sulla via di una nuova consapevolezza grazie al bello e utile posto alla propria vista e visione. Umiltà e intimità familiare, anche se un giorno sarebbero venute la Passione e la Crocifissione, ma, dopo, la Resurrezione… Un messaggio universale. Un dipinto carico di significati e simbologia. Un balsamo per quell’anima in cerca di un riscatto.
Così si chiude il docufilm d’arte National Gallery 200 che vuole celebrare la ricchezza fastosa del museo londinese nel bicentenario della propria nascita.  “Fondata nel 1824 dal Governo del Regno Unito che acquistò 38 dipinti dal banchiere John Julius Angerstein e sin da subito ampliata dai suoi primi direttori, come il celebre Sir Charles Lock Eastlake, la National Gallery è un museo ricco di capolavori, una risorsa infinita per ripercorrere i momenti salienti della storia dell’arte, ma anche una fonte inesauribile di racconti individuali e collettivi. Ma a chi appartengono veramente le storie raccontate tra le sue sale e a chi si rivolgono? Quali opere hanno un impatto maggiore e su quali visitatori”.
La trama si sviluppa con interviste a svariate figure professionali, dall’addetto alle vendite ai responsabili delle attività museali a più vario titolo, dallo storico d’arte ai semplici fruitori e amanti della pittura, ciascuno dei quali racconta la propria opera preferita e con essa la National Gallery. Che si tratti dell’autoritratto di Artemisia Gentileschi nei panni di Santa Caterina o dell’autoritratto di Élisabeth Vigée Le Brun, della Cena in Emmaus del Caravaggio o del Canaletto, dell’Adorazione dei Magi di Pieter Brueghel il Vecchio con il suo spettacolare affastellamento  di figure o de Gli ombrelli di Pierre-Auguste Renoir, della dinamica monumentalità di Bacco e Arianna del Tiziano, l’esito, riuscito, è di penetrare in quella singola creazione e attraverso di essa negli immensi splendidi meandri (2400 le opere della collezione) del museo posto in Trafalgare Square. Anche Michael Palin e Terry Gilliam dei Monthy Python, come appassionati che ne hanno anche saputo trarre ispirazione, intervengono nel docufilm per raccontare del rapporto con la National Gallery e della fascinazione su di loro esercitata.
Il docufilm, che fa parte del progetto de La Grande Arte al Cinema di Nexo Studios e che è stato diretto da Ali Ray e Phil Grabsky, arriverà sugli schermi di tutta Italia il 22 e 23 ottobre.

Alberto Figliolia

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