A cura di Alberto Figliolia
Otto donne + una nell’hammam. E quell’una è incinta fuori dal matrimonio, ricercata dal fratello che la vuole sgozzare, ma le altre non sanno che la sventurata si è lì rifugiata per sfuggire alla collera omicida del fratello e della folla integralista. Una pièce ad altissima tensione e meravigliosamente sviluppata sulla scena è Alla mia età mi nascondo ancora per fumare dell’algerina Rayhana (uno pseudonimo, che l’autrice ha dovuto utilizzare per difendersi dalla violenza integralista: in passato ha subito anche un’aggressione). Dialoghi serrati, fra il brillante e il drammatico, si dipanano fra le otto donne, che rappresentano i tipi, sociali e psicologici, più diversi: la maestra emancipata, costretta tuttavia per precauzione a portare il velo; la vecchia levatrice, molto devota sino al bigottismo, ma dal cuore d’oro; la vedova fanatica e segnata dalle ingiustizie passate; la giovane massaggiatrice in cerca di marito e amore; la divorziata, un passo più in là, già vittima e ancora esistenzialmente travagliata; colei che gestisce l’hammam, grandissima scienziata della vita, otto bambini e disillusa, cinica e sommamente generosa (è lei che dà ospitalità alla ragazza gravida); la “sciantosa” di una certa età, protagonista di un’incredibile vita segreta; l’emigrata in Francia, sospesa fra i due mondi e non scevra di pregiudizi. + la ragazza incinta.
Un testo impegnato, duro, crudo, coraggioso, e pure ironico, scintillante, di formidabile verve. Le donne si compatteranno, di fronte all’assalto finale degli oltranzisti, per proteggere la sventurata giovane, che infine partorirà con l’aiuto di Aisha. Basterà a salvare la situazione? Il finale è intenso e sconvolgente, poetico e doloroso. Straordinaria l’interpretazione delle attrici sul palcoscenico, fra i fumi dell’hammam, le confidenze, la rabbia e la tenerezza ad alternarsi in una sapiente miscela.
Alla mia età mi nascondo ancora per fumare è una prima assoluta per l’Italia e sarà in scena sino all’1 novembre all’ATIR Teatro Ringhiera, imprescindibile punto di riferimento per questo popoloso pezzo di periferia milanese (sud-ovest della vasta metropoli).
Rayhana… “Non è esattamente un nome d’arte. La scrittrice ha dovuto assumere uno pseudonimo se voleva poter continuare a scrivere ciò che scrive e a pensare ciò che pensa. Anche nell’avanzata e libera Francia. Sì, perché Rayhana vive e lavora in Francia, ora. Ed è in Francia che, mentre si recava a teatro, è stata aggredita da un gruppo di integralisti islamici. Il perché è insito nel suo meraviglioso testo: Alla mia età mi nascondo per fumare. Quando ho letto Alla mia età mi nascondo per fumare ho provato una gioia che rasentava l’esaltazione. Quel testo che scorreva agilmente sotto i miei occhi aveva tutte le caratteristiche che da sempre cerco spasmodicamente in un testo teatrale. Coralità. Una dimensione tragica, raccontata però con grande ironia e autoironia. Grandi temi d’attualità, toccati con la sapienza di chi li conosce bene, per averli vissuti sulla propria pelle, e con la leggerezza (di calviniana memoria) che, sola, restituisce forza e incisività alla scena. Insomma il massimo per una regista come me. Una storia vera, semplice, diretta, piena di vita e contraddizioni, e per questo, forse, anche più pericolosa. […] È uno spazio protetto l’hammam, un luogo sospeso, lontano dai clamori e dai rumori della città, un posto caldo e accogliente, dove ci si può “spogliare” e confidare anche i segreti più delicati. Ogni personaggio ha il suo punto di vista, ogni personaggio è diverso dall’altro per età, condizione sociale, destino più o meno sfortunato, speranza, disillusione e convinzioni religiose. Una cosa, però, li accomuna tutti: il ruolo della donna all’interno di una società come quella islamica. Ci immergiamo, così, nel mondo delle donne islamiche, nella loro difficile convivenza con la cultura patriarcale […] È un viaggio che ci commuove e ci smuove e ci fa riflettere. È una denuncia, certo, perché nessuno al mondo dovrebbe essere costretto a sposarsi a dieci anni, a rinunciare agli studi, a diventare terrorista per riscattare una vita fatta di abusi e ingiustizie.” (Serena Sinigaglia);
Una stagione teatrale assai articolata ed esaustiva, estremamente suggestiva e stimolante, quella 2014-15 del Teatro Ringhiera: dagli Alma Rosé (Gente come uno e Fabricas, rispettivamente 6-7 e 8-9 novembre) alla Stanza di Orlando-Viaggio nella testa di Virginia Woolf (20 e 21 novembre); dall’opera techno Elektrika (22 e 23 novembre) a Banane (un quasi road movie per quattro attori, un cane e alcune casse sparpagliate) (da giovedì 27 a domenica 30 novembre); da Piumate!-utopia travestita in forma di rivista all’operetta comica, al concept e al Milano Clown Festival… Una full immersion nella cultura underground e metropolitana, un bagno nella contemporaneità senza negarsi accenti classici.
Alberto Figliolia
Alla mia età mi nascondo ancora per fumare. ATIR Teatro Ringhiera (coproduzione con Theater tri-buhne Stuttgart), piazza Fabio Chiesa-via Pietro Boifava 17, Milano. Traduzione: Mariella Fenoglio; regia: Serena Sinigaglia; costumi: Federica Ponissi; luci: Roberta Faiolo; attrezzeria: Maria Paola Di Francesco. Con Anna Coppola, Matilde Facheris, Mariangela Granelli, Annagaia Marchioro, Maria Pilar Pèrez Aspa, Arianna Scommegna, Marcel Serli, Chiara Stoppa. Scene: Maria Spazzi.
Da martedì 21 a domenica 26 ottobre e da martedì 28 ottobre a sabato 1 novembre 2014. Orari spettacoli: da martedì a sabato ore 20,45; domenica ore 16.
Info e prenotazioni: tel. 02.87390039/02.84892195; e-mail prenotazioni@atirteatroringhiera.it; sito Internet www.atirteatroringhiera.it.
Biglietteria: aperta dal giovedì al sabato, dalle 17 e 19, 1 h 30′ prima dell’inizio degli spettacoli. Prezzi:intero: € 15-ridotto under 26 € 10-ridotto over 60 € 7,50-ridotto convenzioni € 12.
RINGHIERA RELOADED
(Stagione 2014/2015)
Intanto, per cominciare, chi è venuto all’inaugurazione della stagione il 28 settembre ha scoperto la nuova facciata del Teatro Ringhiera.
Anzi: “le” nuove facciate del Teatro Ringhiera. Sono quattro! E tutte dipinte di fresco. Del resto è noto: la bellezza del cuore si nutre della bellezza che all’occhio risplende e viceversa. In una relazione sempre viva, sempre presente. Perché cosa altro significherebbe “riqualificazione” di un territorio, se non appunto trasformare quattro enormi pareti marroncine, brutte, anonime, che solo a guardarle ti vien la tristezza nel cuore e la voglia di scappartene via, in una grande opera pittorica che ti fa venir voglia di fermarti lì, ti fa sentire come a Berlino o a Londra, e magari i turisti ci vengono pure a far le foto?
“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.” (Peppino Impastato)
Ecco, questo per cominciare.
Se poi vi prenderete la briga di entrare, vi ritroverete nel pieno di una piccola laboriosa e variegata società. Anziani, bimbi, diversamente abili, attori, registi, scenografi, tecnici, scultori, danzatori, drag queen, drag king, architetti, costumisti, musicisti, cantanti, studenti, scrittori, organizzatori di ogni parte d’Italia. Tutti insieme per raccontare un film corale che parla di “inclusione sociale”, di paure e sogni, di bisogni e speranze, di quella testarda cocciutaggine che li spinge a non arrendersi all’evidenza di un paese che francamente fa venire voglia di emigrare altrove.
Li ringraziamo ad uno ad uno questi compagni di viaggio, da quelli che partecipano ai laboratori e alle tante iniziative, allievi e sostenitori di una “non scuola” che di arte si nutre e che all’arte si dedica, agli artisti che coi loro spettacoli ci raccontano storie che ci fa un gran bene ascoltare, sì, a tutti gli artisti che si caricano l’onere di rischiare in un teatro che sta ai confini dell’impero. Un teatro che è presidio sociale, casa inclusiva, “stazione di posta” dove il viaggiatore può riposare, rifocillare lo spirito e il corpo e ripartire più forte.
Ringraziamo tutto lo staff che vive dietro le quinte, che non molla la barca anche se, a volte, le onde sembrano sommergerla, i vecchi e i nuovi collaboratori, che – anche se non si “vedono” – ci sono e fanno la differenza.
Ringraziamo, infine, i soci storici di ATIR, per quello che insieme hanno saputo creare e per quello che ancora faranno. Rilanciare, ricaricarsi, innovarsi senza perdere il filo della propria storia, del proprio passato: ecco, a dirsi sembra facile, quasi banale, a farsi è tutta un’altra cosa. Non è scontato resistere uniti per diciotto anni.
Nello sfogliare la stagione che verrà, questa stagione, ci stupiamo di quanta energia, di quanta voglia, di quanta misteriosa e solida passione ancora unisca questo gruppo di persone. Forse, dati i tempi, è pura follia. Ma se di questo si tratta, allora viva i folli!
Sfogliate la stagione, partecipate, venite a conoscerci, se ancora non lo avete fatto (!) e vedrete… ne uscirete “ricaricati” anche voi!
Il direttore artistico / Serena Sinigaglia
Il direttore organizzativo / Anna Chiara Altieri