SANTA TIVU’ 2


tvdi Enzo Maria Lombardo

Non dormo. Sono le tre e non dormo. Domani sarò fottuto dal sonno e devo anche andare dall’avvocato.
Lei invece dorme, mugola, sogna. Chissà chi sogna.
Porca, porca schifosa, come hai potuto! e io che dicevo: un angelo. Pura, dicevo. Per me era pura anche quando le cresceva la pancia. Perchè era mio quel figlio che le cresceva dentro. C’era andato il mio sangue dentro di lei, pensavo, e anche dentro quel moccioso si agitava il mio sangue.
Troia.
Passavano gli anni e le ossa di Nicolino crescevano, gli cresceva il naso e non sembrava proprio il mio naso. Anche le orecchie non sembravano uguali, diversa attaccatura, diverso disegno.
– Che dici? – faceva lei – Guarda gli occhi! Non li vedi gli occhi di Nicolino? Sono tuoi, quegli occhi, spiaccicati, stesso colore, stessi riflessi. Disegnati dalla stessa mano. Pitturati dallo stesso pennello…
– Pennello… Quale pennello?
– Dal tuo, caro.
– Dal mio che?

Insomma il dubbio c’era. Un serpentello mi si torceva dentro, si agitava e certe notti non mi faceva prendere sonno. Così mi alzavo e accendevo la tivù.
L’idea era piccola piccola, eh, una cosa davvero minuscola. Ma mi si era insinuata nel cervello come un serpente maligno, a volte dormiva, a volte no. Ma anche quando dormiva io lo sentivo muoversi pian piano nella testa. E allora guardavo Nicolino. I capelli di Nicolino, ad esempio, lisci lisci e neri neri. e anche belli grossi, duri come fili di ferro che a pettinarli fai fatica.
I miei sono ricci e sottili e quasi biondi e anche la stronza ce li ha chiari e sottili. Da dove venivano quei cosi duri e lisci? Da una parente antica, diceva lei, da qualche nonna. Quale nonna? – facevo io. Una che non hai conosciuto, caro, diceva. Poi riattaccava con la solita menata del taglio degli occhi e del pennello. e io bevevo. Bevevo.
Santa Tivù, mi prenderei a schiaffi davanti allo specchio, mi sputerei in un occhio pensando a quanto bevevo.

* * *

Tutto è cominciato con un programma scientifico, dopo mezzanotte. Meno male che c’è la tivù. Santa tivù, divino amore.
E meno male che io ci ho il cervello fino e che mi va di guardarla, la tivù.
Mica sempre. Mica tutto.
Partite e giornale. Più partite che giornale, tanto al giornale c’è sempre la solita menata. Morti ammazzati, guerre e politica.
Oddio, certe volte il tigì potrebbe anche essere meglio dei film d’azione, se solo ci arrivassero un po’ prima. Ci arrivano sempre dopo. Qualche sprazzo di luce qua e là, sempre lontano, che te li devi immaginare gli incendi e le esplosioni. Non ha succo. Insomma una cosa che dopo un po’ non ti prende, non ti appassiona, non ti coinvolge nell’azione drammatica.
E così giro.
E che ti trovo girando per i canali? Roba scientifica.
A me va di guardare la roba scientifica. Io ci vivrei di scienza, io. Me la vado a cercare girando e rigirando per i canali e quasi sempre la trovo.
Ad esempio ad una cert’ora puoi trovare uno che ti spiega come fare tanta pipì ché fa bene alla salute fisica del corpo, un altro che ti dice come puoi appiattirti la pancia con le onde elettro- magnetiche ed elettroniche. C’è poi chi t’insegna a dormire con il cuscino vibrante, chi ti fa vedere come si fa all’amore stando attorcigliati su una scala a pioli, chi ti spiega il funzionamento di un apparecchio per vedere gli spiriti, cose così.
Ah, la scienza! Che uno senza scienza è come se ancora stesse nel medioevo a curarsi con gli impacchi di merda di cavallo.
Come dire che la scienza può tutto. A saperla usare ti fa vivere da papa.

Ed è stata proprio la scienza, che mi ha aperto gli occhi.
Una cosa scientifica dopo mezzanotte, con tanto di nomi e cognomi stranieri, di spiegazioni e di lettere di ringraziamento di tizi soddisfatti.
Per la verità, il presentatore non era un viso nuovo: l’avevo già visto in tivù. Prima vendeva pentole e materassi con lo sconto. Avrà fatto carriera.
Ora intervista fior fior di professoroni. Tutti con il camice e tutti stranieri. Si vede che il camice non se lo levano neppure quando viaggiano.
E che voce! Che stile! Che precisione! Pane al pane e vino al vino, senza peli sulla lingua.Tutti termini medici, un po’ difficili, però spiegati bene. Roba che uno, a ricordarseli, fa anche una bella figura al bar.
C’era anche l’indirizzo in sovraimpressione. Scorreva come un serpentone in fondo allo schermo e quelle lettere e quei numeri sembravano dirmi qualcosa.
“Prova!” – mi dicevano – “con un cinquantone ti togli lo sfizio.”
e io dopo un poco mi dissi: e che mi costa?
Un cinquanta, mi costa. Mica poco.
E che cosa è un cinquantone al giorno d’oggi?
Beh, effettivamente…
Ma sì, sì. Proviamo.
Potevo usare la posta, il computer, il telefono. Carta di credito. Avrei ricevuto il kit a fermo posta, pacco anonimo, riservato.
E dài, proviamo!

* * *

Il pacco l’avevo ricevuto da tre giorni: avevo letto e riletto le istruzioni che quasi le sapevo a memoria. Per l’esperimento aspettavo la domenica.
E la domenica era arrivata. Ieri.
Avrei dovuto usare un tampone di cotone. Così c’era scritto nelle istruzioni. Lo dovevo usare per venti secondi. Ma come facevo ad infilare un tampone in bocca a Nicolino senza dare nell’occhio?
Perchè? avrebbe detto Nicolino. E la stronza avrebbe detto: “perché infili un tampone in bocca a Nicolino?”.
Potevo fare finta di guardarci un dente dentro la bocca per venti secondi netti, potevo fare tante altre cose ma ho preferito giocare d’astuzia.
Così ho dato un pacchetto di gomme, al bastardino, e gli ho aggiunto una pacchetta sul cranio.
– “Tieni Nicolino”. Lui ha sgranato gli occhi per la sorpresa ma si è subito ripreso e s’è ficcato dentro la bocca una striscia intera di gomma e ha preso a masticare come un vitello.
Si sarà anche meravigliato, Nicolino, perchè a me la gomma americana fa schifo e non l’ho mai voluto vedere rimasticare come un bue per casa. Però lo sapevo che a lui la gomma piace e così l’ho fregato. A lui e alla stronza.
Poi ho contato fino a trenta, il tempo di inzuppare la gomma di saliva .
Al trenta ho detto: “Basta, che ti fa male ai denti! Non inghiottirla e sputala subito!” E lui l’ha fatto. Meravigliato lo era, ma l’ha fatto. Mi avrà guardato bene nelle palle degli occhi e ha capito che facevo sul serio. Lo sa che ho le mani pesanti, io.
Poi stava per buttarla dalla finestra. Si vede che per lui la finestra è la pattumiera di casa.
No! – gli ho detto – Dammela!
Avevo preparato tutto. Salvietta, bustina di plastica, contenitore. Quando Nicolino mi ha dato quel grumo schifoso e molliccio l’ho preso con la salvietta e ho fatto finta di andare in cucina, ho fatto un po’ di rumore con il coperchio della pattumiera ma il grumo era già in tasca, al sicuro.
Dopo un paio di secondi era in un contenitore a tenuta stagna, piccolo e discreto, con sopra un’etichetta bianca: ci avevo scritto “Lui”, tanto per non fare nomi..
Una era fatta! Ora restava la parte più facile. La mia.
Tampone, venti secondi di permanenza in bocca. Il tampone era diventato ormai una pappetta. Che schifo! Sputo. Scatoletta (Quella con l’etichetta: “Io”). Nastro adesivo. Fatto!

Il lavoro doveva essere fatto entro ventiquattrore.
Ho dovuto aspettare di essere da solo in casa. Avevo scelto apposta la domenica mattina.
Il pomeriggio della domenica la mia signora moglie va dalla sua signora madre. Le due streghe confabulano fino a sera. Cioè sparlano di questo e di quello ma in generale sparlano di me. Qualche volta mi cucco la suocera. Così almeno mi sparlano a domicilio.

Questa domenica no. Sono rimasto in casa da solo. C’era la partita. Roba da maschi.
Così alle tre sono andato in cucina, ho aperto la tele e ho messo tutto il kit sul tavolo, con le vaschette numerate e le istruzioni davanti.
Un occhio alla tivù, ché la partita sarebbe cominciata tra poco.
Aspettavo quella partita dall’inizio del campionato. Grande partita.
L’altro occhio alle istruzioni del kit. Messe lì, belle aperte sul tavolo.
Punto primo, punto secondo, punto terzo. C’erano un sacco di punti.
Bisognava aggiungere sostanze nelle vaschette. E acqua. Acqua distillata, mica quella del rubinetto. Io ho usato quella che si usa per il ferro da stiro.
Una polverina era per la valutazione dei parametri biostatici (chissà che cavolo vuol dire). Un’altra per l’analisi delle risposte biometriche ponderate (boh?), una per le compensazioni eletrostatiche, un’altra per la colorazione micrometrica cellulare (mah…!), insomma tutte cose scientifiche che poi significavano solo che dovevi sciogliere le bustine nell’acqua che ribolliva quasi fosse bicarbonato e limone.

Intanto era cominciata la partita: c’erano anche stati due tiri in porta, un’azione da favola, cristo, anche se poi era andata buca. Subito dopo un paio di falli ai nostri che l’avrebbe visti un cieco! Stronzo di un arbitro! Cornuto! Ero sicuro che si era venduto la partita. Con quella faccia da culo avrebbe venduto anche quella baldracca di sua madre! Ecco come si fanno i soldi!

A questo punto ero incazzato nero e non ero più nello spirito scientifico adatto ma ho dovuto lo stesso immergere in tutte quelle vaschette un pezzetto del grumo schifoso di Nicolino e quello faceva le bolle. Il grumo, dico, non Nicolino.
Sì qualcosa stava succedendo davvero dentro quelle vaschette.
Potevo guardare bene le vaschette, tanto in campo era una menata colossale. Quegli stronzi si passavano la palla come signorine, manco fossero stati nel cortile della parrocchia! Ballavano il valzer con il pallone attaccato a quelle fottutissime zampe! Tataratà ta ta, tataratà ta ta… e un poco di grinta, che cacchio! Me lo chiamate gioco di squadra, questo? Che gioco di squadra è, se state a palleggiare per mezz’ora?

Visto che non succedeva quasi niente alla tivù, mi sono concentrato nell’esperimento.
Era un momento importante: era il turno mio. Altre vaschette, altra acqua, altri pezzettini di cotone in ogni vaschetta.
Il cotone mio. E anche le mie vaschette ribollivano un poco, ma ribollivano diverso e la cosa già non mi piaceva per niente.
Comunque il bello è venuto dopo: l’ora della verità!
Mi tremavano le mani quando presi in mano le strisce sottili di carta assorbente numerati e li misi sul tabellone colorato del kit.

L’ora della verità era arrivata… Per me e per quei figli d’una mignotta che fingevano di giocare, sullo schermo.
Però, è proprio vero che la vita è tutto un gioco di colori! I cartellini dell’arbitro che uscivano dal taschino a raffica e quelli tutti colorati del kit che m’avrebbero detto la verità su Nicolino.
Una striscia, un colore. Altra striscia. Altro colore. Tutto facile. Semplice. Colorato.

Intanto il verde del campo invadeva lo schermo.
Questa domenica li facciamo neri lo stesso, pensavo. Magari questa roba sarà una fottutissima strategia del mister. Roba da lavagna! Ma proprio mentre lo pensavo ci è entrato in rete un pallone sparato che manco gesucristo poteva fermarlo! Sembrava un tiro di rigore. e il portiere? Quello stronzo, stava a parare l’aria dall’altro lato della porta?! Cos’è tutto cecato?
Ricordo che rimasi come paralizzato… Uno a zero a noveminutiediecisecondi dall’inizio. Poi dicono che uno va fuori di testa. Va bè ci rifaremo, tempo ce n’è, pensavo.
e invece in mezz’ora era tutto fatto.
I nostri erano fatti. Quasi mi veniva da piangere. Proprio fatti e strafatti. In quella mezz’ora ne avevamo presi altri due! Due pallonate senza misericordia. Uno di testa e uno con un pallone d’effetto che sembrava cercarsi la porta da solo. Cosa hanno, quelli, nei piedi, il telecomando?
Non solo ero incazzato, ormai avevo pure perso le speranze. Mi veniva da piangere davvero, guardando quel cesso di partita, lacrime di rabbia mi salivano in gola e io ingoiavo lacrime e veleno e insieme guardavo le due serie di strisce di carta assorbente numerate che stavano sul tavolo.
Quasi mi addolcivano l’anima i colori di quelle cartine. Una era verde ma girava al giallo, un’altra era quasi rossa con un po’ di arancione che sembrava un tramonto. E così via…
Ero moscio per via della partita. L’avevamo già persa quella merdosa partita! L’ora della verità era arrivata all’inizio del secondo tempo. Un pallone sparato dal centro campo, intercettato! Palleggio, scarto, ancora scarto… e quattro! Fottuti, cristo!
E che stavo ancora a guardare?! Mi sentivo svuotato dentro. Quell’ultimo pallone m’era entrato nei visceri, me li aveva attorcigliati, distrutti. Un patimento della madonna!.
Meglio concentrarsi su qualcos’altro.

Ero proprio nervoso e quelle strisce di carta bagnata sembrava che mi guardassero con occhi maligni: striscia numero 1A e 1B. Cazzo, non si somigliavano per niente.
Una rossiccia e l’altra testa di moro.
2A e 2B, qui i colori erano proprio diversi: blu cielo e verde mare.
Gira che ti rigira, neppure un misero paio di strisce aveva lo stesso colore!
Per farla breve, in quel momento ho saputo d’essere cornuto.
Certezza scientifica.

* * *

Oggi. E’ già tardi. Scendo le scale di corsa.
Lei mi ha dato anche il bacio di Giuda sulla porta. Non lo sa, la stronza, che io ci ho le prove scientifiche in saccoccia! Ma lo saprà, cacchio se lo saprà! E presto anche! La busta con le strisce colorate mi balla in tasca e mi ricorda, ad ogni passo, l’appuntamento con l’avvocato.
Un paio di fermate del bus. Poi la Metro. Trovo un posto per miracolo. Sei fermate ancora e quella busta sembra pesarmi un quintale, in tasca, anche da seduto.
Mentre nessuno mi guarda la prendo, sento le strisce dentro. So che in ognuna stà scritta la sacrosanta verità su Nicolino e mi viene da piangere. Non ci posso fare niente. E’ più forte di me.
Ora la gente mi guarda perchè sto piangendo. Mi cadono le lacrime sulla busta chiusa e qualcuno si avvicina.
– Si sente male?
– No, che non sto male. Ho perso un figlio. Forse anche la moglie…
– Condoglianze… Una disgrazia? Un incidente?
– No, no, macché disgrazia, macché incidente… Sa, l’altro giorno alla tivù…

Enzo Maria Lombardo

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2 commenti su “SANTA TIVU’

  • Corrado S. Magro

    Minchia (scusa) quante risate. Sì il pallone è tutto. Con lui presente anche le corna passano in secondo piano. Meno male che la squadra del cuore ha perso. Se avesse vinto si sarebbe fottuto della verità. Sarebbe stato un cornuto felice. Indubbiamente tragicomico e reale, esposto con invidiabile maestria.