ArteRecensione: Realtà Impressione Simbolo. Paesaggi. Da Migliara a Pellizza da Volpedo


Che cosa osserva Baba, così intenta, tenendo la mano destra sulla falda del cappello? Che cosa scruta sotto la luce blu del cielo? L’orizzonte? E quale orizzonte? Quello delle rocce e delle nevi eterne o un altro, oltre? Mezzogiorno sulle Alpi (1891, olio su tela, 77,5 x 71 cm, Segantini Museum di St. Moritz) è un capolavoro del pittore morto sullo Schafberg, in Engadina, a neanche 42 anni. La tela è in prestito dal Segantini Museum di Moritz ed è esposta al Castello di Novara nell’ambito della mostra Realtà Impressione Simbolo. Paesaggi. Da Migliara a Pellizza da Volpedo.
73 splendide tele nel prezioso e intelligente, come di consueto, allestimento che valorizza la stessa architettura dell’edificio visconteo-sforzesco. Una summa di opere che fa compiere un affascinante viaggio nella pittura del nostro Ottocento (dal terzo decennio sino alle propaggini del primo Novecento), fra stili, movimenti e destini, fra Storia e storie individuali. Un’immersione che è esplorazione del pensiero di quegli eccellenti artisti e spaccato storico-esistenziale.
Nove sono le sezioni dell’itinerario proposto al visitatore: La “pittura di paese”. Dalla veduta al paesaggio; Il naturalismo romantico d’oltralpe e la sua influenza sul paesaggismo italiano; Incontri, amicizie e sodalizi artistici. Dallo studio ginevrino di Alexandre Calame a Rivara e Carcare; Verso la pittura di impressione; Il trionfo del naturalismo lombardo e la diffusione del nuovo linguaggio; Il naturalismo nel paesaggio urbano: tra i Navigli e il Carrobbio; Tra vita en plein air e intimità familiare: Leonardo Bazzaro all’Alpino; Dalle Prealpi all’alta montagna; Il paesaggio divisionista: dal vero al simbolo. Non un mero e sterile elenco, poiché in questa proposizione di sottotitoli già riposano infinite suggestioni.
Dalla vista (non è usurpato dire “visione”) e dalla bucolicità di Giovanni Migliara nel suo ondulato panorama di Lambrugo (1826, olio su tela, 43,5 x 58,5 cm, collezione privata) alla Veduta di Genova dal Santuario della Madonna del Monte (1828-1833 circa, olio su tela, 60,2 x 79,6 cm, collezione privata), intrisa di soave serenità con il sole a declinare sulla distesa marina che pian piano va a indorarsi; dalla ferrigna e oscura materia – ancora Migliara – di Esterno di città con ponte illuminato da chiaro di luna ed officina di maniscalco o Veduta del porto di Ancona con l’arco di Traiano (1829, olio su tela, 52 x 70 cm, collezione privata) agli altri splendidi scorci offerti da Luigi Basiletti, Giuseppe Canella, Marco Gozzi, Giuseppe Bisi, l’incipit dell’esposizione è felicemente travolgente restituendoci immagini perdute.
Si dovrebbe citare ogni tela, se fosse possibile. La selezione operata da chi ha curato la mostra è stata accuratissima, sapendo di poter suscitare il potente sentimento della nostalgia, un quid di inesprimibile che ci fruga nel profondo, come accade di fronte a Lungo l’Adda (1859, olio su tela, 72 x 109 cm, collezione privata) di Giovanni Carnovali, alias Il Piccio, o innanzi a Strada di montagna (1862, olio su tela, 85,5 x 109 cm, Galleria d’Arte Moderna di Milano) di Gaetano Fasanotti.
E, ancora, Antonio Fontanesi, Carlo Bottara, il portoghese Alfredo de Andrade – meraviglioso il suo Mattino sulla Bormida, “dal taglio cinematografico” (1865, olio su tela, 80 x 147 cm, Galleria d’Arte Moderna di Ginevra) –, Ernesto Rayper con le sue contadinelle/pastorelle, lo spettacolare La via ferrata (1870 circa, olio su tela, 51,4 x 131 cm, Galleria d’Arte Moderna di Genova) di Tammar Luxoro, che segna l’incursione della modernità tecnologica in un paesaggio dal punto di vista naturale sino ad allora (quasi) incontaminato.
E si succedono nel viaggio il Lago di Varese (Achille Befani Formis), Venezia (1883-1885 circa, olio su tela, 63,5 x 123 cm, collezione privata) e L’isola dei pescatori; lago Maggiore (effetto mattina) (1880 circa, olio su tela, 101 x 200 cm, collezione privata) del grande Filippo Carcano, monumentale e, al tempo stesso, espressione di una straordinaria minuzia, una meravigliosa perizia delle sfumature lacustri e atmosferiche. A proposito di quest’ultimo: “Lodato per ‘l’ammaliante trasparenza dell’acqua, ottenuta con una profonda osservazione delle sue tinte svariatissime, messe giù  con pennellate da maestro che si congiungono, intersecano, abbracciano fra loro colle più fine attaccature’, per ‘la naturalezza con cui l’acqua circonda e lambe dolcemente la sponda’ e, soprattutto, per ‘la grandiosità della fattura d’assieme che fa scorrazzare il pennello con franchezza da trionfatore su e giù per la vasta tela, producendo effetti ottici, di cui anche i profani restano meravigliati’, L’isola dei Pescatori è ritenuto senza indugio, ‘l’espressione più avanzata della pittura moderna’.”
Leggendo Praga (1880 circa, olio su tela, 112 x 157 cm, Galleria d’Arte Moderna di Milano) di Paolo Sala pare proiettarci nella stessa figura e mente della donna che, in giardino, con assoluta concentrazione legge i versi del poeta della Scapigliatura, creando una sorta di invisibile ossimoro fra lo sconvolgimento interiore provocato dai versi di Emilio e il triangolo di placidità del lago con le rocce rosate dal tramonto estivo ad accompagnare la scena.
L’infinito orizzonte della Pianura lombarda (1887 circa, olio su tela, 135 x 242 cm, collezione privata) ripropone l’immensità ispirativa del Carcano. Ci si perde davvero lontano… Scintillano tutte le opere del Carcano, ben rappresentato a Novara. Semplicemente sognante. Come Nei campi (1889 circa, olio su tela, 119 x 138,5 cm, collezione privata) di Giorgio Belloni: mirabilissima la resa del prato fiorito, degli alberi che paiono ondeggiare lievi a una dolce brezza e dei cumulonembi che maculano il caldo cielo. Commovente.
S’era detto di Segantini all’inizio, del suo Mezzogiorno sulle Alpi, manifesto e icona della mostra, ma non è l’unico lavoro esposto del Maestro di Arco, che trovò la sua patria d’elezione nell’Engadina (terra-simbolo prediletta anche da Nietzsche); di lui si possono anche ammirare due dipinti milanesi, vale a dire Il Naviglio a ponte San Marco (1889, olio su tela, 76 x 52,5 cm, galleria privata) – acqua oggi scomparsa in quanto fagocitata dalla contemporaneità d’asfalto  – e Nevicata (olio su tela, 1880-1881 circa, olio su tela, 60 x 30 cm, Galleria Civica “G. Segantini” del Comune di Arco). Non era ancora il “nostro” Segantini, ma il tocco è quello del genio. L’apolide Giovanni, valentissimo oltre ogni dire, morto per peritonite.
Non potevano in ogni caso mancare i paesaggi urbani di Mosé Bianchi, la cui neve era “poesia dell’inverno”, le lavandaie di Emilio Gola (le postazioni di pietra su cui s’inginocchiavano e lavavano i panni sono tuttora visibili ai bordi di un tratto del Naviglio Grande), i tanti ritratti di Leonardo Bazzaro, vaporosi e colmi di joie de vivre, di piacevoli aspettative (anche se la malinconia e il senso della caducità bussano dentro; impercettibili, ma bussano…).
Quando arrivi all’ultima sala sei saturo di bellezza. Ma è giusto che venga inflitto un “colpo di grazia”… Dalla Nebbia domenicale (1890, olio su tela 75 x 112 cm, collezione privata) e dall’Alba domenicale (1915, olio su tela, 78 x 132 cm, Galleria d’Arte Moderna di Milano) di Angelo Morbelli – si mostra il medesimo tema nella sua necessaria evoluzione – alla Baba dalla veste blu come la volta che la sovrasta, lei e il gregge circonfusi di un’aura cosmica, di un indicibile afflato che senza saperlo ci affratella, e, sempre di Segantini, a L’amore alla fonte della vita (1890, olio su tela, 70 x 98 cm, Galleria d’Arte Moderna di Milano). E il superbo per impatto e straziante Sul fienile (1891-1894 circa, olio su tela, 133 x 243,5 cm, collezione privata) di Giuseppe Pellizza da Volpedo – divisionismo o simbolismo, davvero poco importa, l’arte di Pellizza era a un livello di forza sentimentale e intellettuale inimmaginabile e di abilità tecnica superiore: il contrasto fra luce e ombra, la luce panica e il dramma dell’ultimo soffio vitale. “Montai un giorno sul fienile chiamatovi da mio padre […] Il fienile oscuro ed il paesaggio fortemente illuminato m’impressionavano: fu un attimo: io decisi di farne un quadro. Se non che bisognava ch’io lo rendessi interessante con qualche fatto umano; questo non poteva che essere triste”, così scriveva l’artista, che morì suicida (un consiglio ai lettori: visitare la casa-atelier di Pellizza nel bellissimo borgo di Volpedo, struggente…).
Chiudiamo questa lunga, ma pur sempre parziale, carrellata citando: L’Aquilone (1902 circa, olio su tela, 141 x 159 cm, collezione privata) di Carlo Fornara – un’opera di simbolismo naturalistico che spiazzando invita alla riflessione sulla fatica del vivere; il violaceo che domina la tela, dura e magistrale, dà un senso d’invincibile oppressione – e Alba in alta montagna (1912 circa, olio su tela, 69 x 95 cm, collezione privata) di Emilio Longoni – la maestà della Natura la quale può prescindere dalla presenza umana, epperò anche, nella sua misteriosa foschia, un’esperienza trasfigurante, con una densa atmosfera spirituale.
Una mostra che regala un appagamento straordinario. Per un itinerario indimenticabile nelle latitudini del tempo, nei labirinti dell’anima.

Alberto Figliolia

Realtà Impressione Simbolo. Paesaggi. Da Migliara a Pellizza da Volpedo. Fino al 6 aprile 2025. Mostra organizzata da METS congiuntamente a Comune di Novara e Fondazione Castello di Novara, con il patrocinio e il contributo di Regione Piemonte, il patrocinio di Commissione Europea e Provincia di Novara. A cura di Elisabetta Chiodini. Castello di Novara, Piazza Martiri della Libertà 3, Novara.
Orari: mar-dom 10-19 (la biglietteria chiude alla 18).
Aperture straordinarie: giovedì 26 e lunedì 30 dicembre; mercoledì 1, lunedì 6 e mercoledì 22 gennaio. Chiuso: martedì 24, mercoledì 25 e martedì 31 dicembre.
Info: sito Internet www.ilcastellodinovara.it; tel. +39 032118555421; e-mail info@ilcastellodinovara.it.

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