di Corrado S. Magro
È il verso che, assieme ad altri due di Edmond Haraucourt, mi concedo la libertà di usare: “Si lascia qualcosa di se stesso, si lascia qualcosa che si ama!”
La mia nobile Toyota che ha percorso quasi mezzo milione di chilometri, ha ben superato lo stress delle carreggiate con tante buche a sorpresa che le inghirlandano, che hanno strapazzato gli ammortizzatori e mi hanno fatto sputare imprecazioni. Gli scossoni dei tracciati scoscesi hanno lasciato gemere e messo a dura prova giunture e trasmissioni.
Non sto superando gli impervi sentieri né il deserto che potrebbe condurre a Dakar. Non mi trovo in una riserva per un safari africano o sull’altopiano del Tibet. Viaggio in Sicilia!
Terzo mondo? L’incuria istituzionale ha ridotto in tale stato un angolo di paradiso sulla terra. Recuperarlo resta ora un’impresa biblica o l’ottava fatica di Ercole. Meglio lasciare andare.
Chissà se le strade tortuose che ha percorso per l’ennesima volta rivedranno ancora questa quattro ruote. I chilometri la condannano all’esportazione in uno di quei paesi dove potrà ancora fare bella figura come un’anziana signora a caccia di gigolo per le ultime emozioni prima di essere ignorata, sprezzata, rottamata definitivamente. Mi fa male pensare che devo separarmi da essa. Se avesse un’anima sensibile potrei dire che mi rassomiglia. Forse dovrei dire che a quasi 75 anni sono io che le rassomiglio e non arreco così offesa all’anima.
A pieno carico, cofano e vano passeggeri stipato, ho intrapreso il viaggio di ritorno e proseguo per i tornanti che mi conducono all’arteria per la Catania-Palermo.
…ho ribaltato gli occhiali aggiuntivi da sole e mi sono morso quasi la lingua. Il commiato dagli ultimi monoliti della costruzione di una volta, è stato volutamente breve per tenere a freno l’emozione. Ogni volta, lo stesso rituale, ogni volta un angolo di cuore distrutto. Dei sette senza i capostipiti, ne rimangono tre quasi decrepiti, di cui uno sono io. Fra non molto ci sbricioleremo. Scorriamo nell’uretere della vita in attesa di esserne espulsi.
… ho la sensazione di essere incalzato. Getto uno sguardo fuggitivo al retrovisore. Incollarsi a 90 o 130 all’ora, al paraurti della vettura che precede è una sorta di sport universale molto praticato localmente. Linea di spartitraffico continua, singola o doppia o traffico in senso inverso, limiti di velocità? Nulla e nessuno frena questi posseduti, questi dei della strada, pompati, ossessi. Non importa se si rasenta la catastrofe: “O sorpasso o morte”. Che la morte li accolga, purché preservi gli altri. Abbarbicati al volante scaricano forse frustrazione, impotenza e palesano arroganza solo perché circondati da un rivestimento fragile, corazza per loro.
Ti rivedrò terra bruciata? Quest’anno l’epiteto ti si adatta pienamente. Imperversa la siccità. Da oltre quattro mesi non una sola goccia d’acqua là dove io sono stato. La falda idrica risucchiata selvaggiamente, sprofonda.
Arrivederci! Chi lo sa.
… 86 anni, tre infarti recenti in serie, ormai in attesa del colpo finale. È lui!
Taciturno, meditabondo. Non lo vedi più sul trattore alle prime luci del giorno, non lo vedi sui prati. Si limita a slegare le mucche che attendono il turno di mungitura, ma resta di una lucidità sorprendente. Ascolta e guarda tutte l’edizioni dei notiziari televisivi che si susseguono da canale a canale avvelenandosi l’animo e mettendo a prova la sua pompa cardiaca.
Il fico davanti al cortile soffre per l’incuria e la siccità. Anche i fichi d’india sembrano condannati ad una morte precoce, le foglie asciutte che minacciano di piegare il collo. I notiziari sono riempiti al collasso di spot di cronaca criminale ripetuti all’ossessione. Annunciano catastrofi di ogni tipo, avvenute o più o meno vicine. È possibile ma per il momento tutto è arido.
Una pacchia per piromani e per chi viene chiamato a spegnere, guadagnando prebende. Una buona occasione per coloro che temono l’esclusione dalla sovvenzione elargita per la loro presenza, perché solo di presenza e non di lavoro si tratta, nella forestale. Ma bisogna lasciar fare che siamo in Sicilia, una regione a statuto speciale dove tutto viene fatto in funzione del voto, ed è giusto che tutto continui oggi e domani come ieri. Correggere, mettere mano, provare a raddrizzare significa perdere la poltrona di sindaco, governatore o deputato regionale. Se c’è il rischio che dall’alto la manna venga a mancare, si corre ai ripari distruggendo per ricostruire dopo, e l’orizzonte si oscura con il fumo di stoppie, alberi e cespugli che innalzano minacciosi le loro lingue di fuoco, recitando il “de profundis”.
…e lei, minuscola ottantenne che ha scelto di vivere e invecchiare tra le mura di un convento dedicandosi agli altri, distrutta dalle artrosi si muove sostenendosi al carrellino. Niente palliativi per il cervello che vigila e gestisce tutto e tutti accompagnandosi con il sorriso.
“L’anno prossimo non mi troverai”. Suona così il suo commiato con gli occhi che brillano e il viso che sorride birbante come dicesse una spiritosaggine. Fu la mia compagna scavezzacollo di giochi. Dico ciao abbracciandola e frenando a stento un “addio”. Il mio è il sorriso di un capitello che ghigna.
Raggiungere Florencia è la mia meta . Florencia non è una bella ragazza, né una donna compiacente pronta ad accogliermi e abbracciarmi per lasciarmi accedere nei suoi meandri segreti a Termini Imirese. Florencia è la nave-traghetto che ingoierà gli spermatozoi rombanti: centinaia di veicoli, il mio compreso e decine di autotreni stracarichi. Florencia è ancorata laggiù, un poco sorniona e in parte sveglia, illuminata. Sarà scossa da qualche fremito quando penetreremo nei suoi spazi ma non di più e non smetterà di fumare, come un’entraineuse svogliata in attesa del coito, nonostante i tanti ospiti pronti a sollazzarla e che lei ignora. Occupazione di routine aspettando la fine che un giorno la vedrà ancorata in un porto abbandonato. Florencia lascerà gli ormeggi dopo la mezzanotte e al levarsi del nuovo giorno mi avrà già portato lontano dal porto, dall’autostrada costruita su piloni ormai allo stremo delle loro forze. Lontano dai tanti che mi hanno incontrato con calore e affetto. Lontano dai tornanti che si inerpicano sulle colline, lontano dalla sabbia dorata lambita o sferzata dalle onde dell’Ionio, lontano dal frinire incessante delle cicale sotto un sole impietoso, lontano dal silenzio notturno spezzato dal verso della civetta, accarezzato dal fruscio del vento che fa ronzare e cantare le pigne vuote e ancora appese ai rami dei pini che incoronano la casetta linda, laggiù sulla collina che mi ha ospitato, dove in passato si profuse il sudore di chi mi ha preceduto al capolinea.
Corrado S. Magro
Una pagina triste. Per un amore sognato, trovato diverso e invecchiato. E ancora lasciato, per poterlo risognare lontano, ancor giovane tra le nebbie dei ricordi.
Una pagina bella. Bella come i ricordi trasfigurati di luoghi e persone che sono la vita vissuta, forse la vera vita. Bella come la Sicilia, con le sue strade tortuose, piene di buche e di alberi secchi. Terra bella come una donna mai dimenticata, sempre amata, anche se le rughe ne deturpano il volto. Ma noi, allontanandoci da lei, non vediamo le buche nelle strade tortuose, come non vogliamo vedere le rughe nel volto amato.
Bellissimo pezzo, caro Corrado. Complimenti.
Enzo
“Terra bella come una donna mai dimenticata, sempre amata, anche se le rughe ne deturpano il volto.”
Una sintesi la tua alla quale non si può né si osa aggiungere qualcosa.
Molto bravo Enzo