A cura di Augusto Benemeglio
NERUDA A cosa servono i versi se non a quella notte/ in cui un pugnale amaro ci esplora/ a quel giorno / a quel crepuscolo, a quel cantuccio offeso/ dove il cuore stremato dell’uomo si prepara a morire?”
AUTORE: Questi sono versi tratti dall’ “Ode a Federico Garcia Lorca” di Pablo Neruda , scritta nel 1933 , quando il poeta spagnolo era ancora vivo e ben lontano dal prevedere la sua tragica morte , nei primi mesi della guerra civile, il 19 agosto 1936. Sono versi incredibilmente “profetici” scritti da uno che presagiva le tragedie del mondo e aveva la forza di un Goya , un umile figlio di macchinista delle ferrovie cilene che si nutrì dei grandi spazi , grandi piogge e terremoti , grandi silenzi e grandi solitudini oceaniche ; di uno che nacque poeta, grande poeta e fu poi tante altre cose, un cantore dell’amore disperato , un diplomatico giramondo , un politico impegnato , un simbolo di una nazione e di un popolo martoriato come quello cileno. E le parole che dice Neruda , le parole che scrive questo poeta sono quelle di un “vero” poeta , parole che acquistano una forza nuova, un significato diverso , profondo, lancinante, come una spada, o un vomere che entra nelle viscere della terra. E le enumerazioni che fa nelle sue poesie non sono elencazioni nude , ma sono vere e proprie scoperte di un meticcio dagli occhi primordiali , occhi più tattili che ottici , occhi che esplorano come palombari , sotto una coltre di sonno , l’interno misterioso dell’oggetto. Ma le sue poesie non si rivolgono agli occhi di uno spettatore , ma all’orecchio di un ascoltatore, perché sono piene di musicalità, hanno ritmo. E il loro ritmo non è determinato da una legge metrica qualsiasi , ma da un timbro che continuamente muta anche all’interno di una stessa poesia. La sua è una voce ad un tempo appassionata e monotona , indifferente e commossa, solitaria e distesa , una voce elementare, simile al mare . La sua risacca, il suo respiro è ampio e inarrestabile , la sua rassegnazione nutrita di sdegno , tenerezza e ribellione. Sulla cresta delle onde-versi porta i relitti del nostro esistere verso un inaccessibile lido: la poesia del futuro.
Neruda lo conoscono tutti , è un poeta famoso, un nobel della letteratura , tradotto in tutte le lingue del mondo, ma per conoscere “veramente” questo poeta cileno è necessario conoscere la sua lingua , lo spagnolo, che ha una gamma straordinaria di registri, toni e musicalità. E’ necessario leggerlo e ascoltarlo nella sua lingua originaria. Per questo abbiamo invitato un’attrice che parla la sua lingua, che è originaria della sua vasta patria , quell’America Latino americana che Neruda canta appassionatamente in quasi tutte le sue poesie. Ed è con gioia e onore che vi presento Brigida Tobon , attrice colombiana , che ci reciterà alcune delle sue poesie più belle:
SOTTOFONDO MUSICALE PER TUTTE LE POESIE
Neruda:
Amore
Donna, avrei voluto essere tuo figlio, per berti
il latte dai seni come da una sorgente,
per guardarti e sentirti al mio fianco e averti
nel riso d’oro e nella voce di cristallo.
Per sentirti nelle mie vene come Dio nei fiumi
e adorarti nelle tristi ossa di polvere e di calce,
perché il tuo essere passasse senza pena al mio fianco
e uscisse nella strofa-puro male di ogni male-.
Come saprei amarti, donna, come saprei
Amarti, amarti come nessuno seppe mai!
Morire e amarti
ancor più.
E ancor più
amarti,
di più.
Matilde
Melisanda
Il suo corpo è un’ostia fine, minuscola e lieve.
Ha gli occhi azzurri e le mani di neve.
Nel parco gli alberi sembran congelati,
gli uccelli si ferman su di essi stanchi.
Le sue trecce bionde toccano l’acqua dolcemente
come due braccia d’oro sbocciate dalla fonte.
Ronza il volo perduto delle civette cieche.
Melisanda s’inginocchia e prega.
Gli alberi s’inclinano fino a toccar la sua fronte.
Gli uccelli s’allontanano nella sera dolente.
Melisanda, la dolce, piange presso la fonte.
AUTORE:Forse sarà anche vero , come ha scritto qualcuno , che bisogna “attraversare pianure desolate di versi talora compiaciuti e retorici , chilometri di reboanti deserti costellati da imbarazzanti apologie staliniane , savane sentenziose e ideologizzanti, per accedere alla grotta prodigiosa dei cembali sonori , alle limpide e sfolgoranti vette immacolate , solcate da ruscelli impetuosi , musiche bachiane o beethoveniane , dai timbri alti e solenni, immagini dotate di una potenza magnetica straordinaria e primordiale, com’è la natura nella sua rappresentazione più imponente. Neruda da poeta, da grande poeta trasforma ogni oggetto, anche il più vieto e banale , in un miracolo appena realizzato ; sarà anche il poeta dei negozi di ferramenta , dove si trovano tutte le meraviglie possibili , dalla vitarella al trattore , dall’ode alla cipolla all’erotismo più spinto e allo stesso tempo metafisico, ma non vi è alcun dubbio che Pablo Neruda sia stato il profeta , l’ occhio insaziabile che guarda il futuro e retrocede al caos originario, e la sua lingua ha leccato le pietre una a una per conoscerne la struttura e il sapore ; è suo l’orecchio dove iniziano ad entrare gli uccelli, è suo l’olfatto ubriaco di sabbia , di salnitro, di fumo di fabbriche e tecnologia .
Pablo , nella sua panicità , è l’uomo-dio che ci dà l’impressione che prima di lui non esistesse nulla . Ma è anche colui che lotta in prima persona per la sua gente , per il suo riscatto facendo l’elogio delle piccole cose della quotidianità ( gli animali, i pesci, gli insetti, i fiori, i capelli rossi di Matilda , le verdure, il mercato, i negozi, insomma la spesa della casalinga) .
La sua poesia è insieme estatica e visionaria , fatta di materialismo e misticismo . Neruda è un poeta totale che riesce a recuperare il lontano fraterno legame che esiste tra la poesia e il lettore; la poesia è spoglia , è nuda, cammina nell’oscurità per incontrarsi con il cuore dell’uomo. E’ questo il suo scopo. Ed è per questo che rimane uno dei poeti più letti e amati al mondo , “perché la sua è una poesia magica e sensuale , che si può mangiare, bere, si può toccare , accarezzare, prendere a schiaffi, respingere , odiare e amare come fosse persona in carne e ossa”.
Neruda:
En ti la tierra…
Pequeña rosa, rosa pequeña,
a veces,
diminuta y desnuda,
parece que en una mano mía cabes,
que así voy a cercarte y a llevarte a mi boca,
pero de pronto
mis pies tocan tus pies y mi boca tus labios,
has crecido
suben tus hombros como dos colinas,
tus pechos se pasean por mi pecho,
mi brazo alcanza apenas a rodear la delgada
línea de luna nueva que tiene tu cintura:
en el amor como agua de mar te has desatado:
mido apenas los ojos más extensos del cielo
y me inclino a tu boca para besar la tierra.
Matilde
In te la terra
“Piccola
rosa,
rosa piccina,
a volte,
minuta e nuda,
sembra
che tu mi stia in una
mano,
che possa rinchiuderti in essa
e portarti alla bocca,
ma
d’ improvviso
i miei piedi toccano i tuoi piedi e la mia bocca le tue labbra,
sei cresciuta,
le tue spalle salgono come due colline
i tuoi seni si muovono sul mio petto,
il mio braccio riesce appena a circondare la sottile
linea di luna nuova che ha la tua cintura:
nell’ amore come acqua di mare ti sei scatenata:
misuro appena gli occhi più ampi del cielo
e mi chino sulla tua bocca per baciare la terra.”
Neruda
Se tu mi dimentichi
Voglio che tu sappia
una cosa.
Tu sai com’è questa cosa:
se guardo
la luna di cristallo, il ramo rosso
del lento autunno alla mia finestra,
se tocco
vicino al fuoco
l’impalpabile cenere
o il rugoso corpo della legna,
tutto mi conduce a te,
come se ciò che esiste,
aromi, luce, metalli,
fossero piccole navi che vanno
verso le tue isole che m’attendono.
Orbene,
se a poco a poco cessi di amarmi
cesserò d’amarti a poco a poco.
Se d’improvviso
mi dimentichi,
non cercarmi,
ché già ti avrò dimenticata.
Se consideri lungo e pazzo
il vento di bandiere
che passa per la mia vita
e ti decidi
a lasciarmi alla riva
del cuore in cui ho le radici,
pensa
che in quel giorno,
in quell’ora,
leverò in alto le braccia
e le mie radici usciranno
a cercare altra terra.
Ma
se ogni giorno,
ogni ora
senti che a me sei destinata
con dolcezza implacabile.
Se ogni giorno sale
alle tue labbra un fiore a cercarmi,
ahi, amor mio, ahi mia,
in me tutto quel fuoco si ripete,
in me nulla si spegne né si dimentica,
il mio amore si nutre del tuo amore, amata,
e finché tu vivrai starà tra le tue braccia
senza uscire dalle mie.
AUTORE: Ma com’era, questo poeta giramondo dalla vita intensa e disordinata, che ebbe tre mogli e molte altre donne , che fece innamorare fanciulle di tutto il mondo con i suoi versi che celebrano l’amore in tutti i modi? Sentiamo la testimonianza di un altro poeta messicano come Luis Cardoza y Argon , che fece sodalizio con lui.
CARDOZA :Era alto e quasi grasso , con faccia da ubriaco spaurito, con una conversazione lenta e monotona, disseminata d’inflessioni cilene. Assomigliava ad un pelotaro fuori allenamento. Era vestito negligentemente come se per molte notti avesse dormito senza spogliarsi . Una testona da sedano o da cipolla: un sorriso spesso illuminava il suo viso da ruminante ; i suoi occhi erano di bimbo o di pesce …A me parve un vegetale , una ceiba, cucurbitacea , un bambino viziato con faccia da mammifero bovino e lirico, astuto e vanitoso come un vecchio soprano d’opera. C’era in lui un tale orgoglio che credeva che la gratitudine fosse un sentimento superfluo . Leggeva le poesie con voce strangolante di boa, quasi senza modulazioni e senza gesti. La sua poesia, con i suoi molluschi, i suoi caudillos e suoi sindacati , s’impadroniva di chi lo ascoltava e lui se ne accorgeva e cominciava a sfumare la sua voce , come se vedesse quei versi per la prima volta, sorpreso da ciò che stava leggendo. Dimenticavamo la sua farragine populista e la sua voce ostinata continuava a martellare convulsamente , in noi più che nella sua gola, finchè invadeva tutto lo spazio…All’improvviso nel bagno degli elefanti della memoria , emerge dalla superficie del mare la proboscide di Neruda attaccata alla sua testa di tapiro che lancia zampilli d’acqua gioiosa.
AUTORE Io credo che al di là della singolare descrizione ricca di poetica immaginazione ci possiamo fare benissimo un’idea di Neruda ricordando il Philippe Noiret del “Postino” , ultimo grande film di Massimo Troisi , tratto dal romanzo di Skarmeta. Per chi crede nella poesia e nel riscatto dell’uomo nonostante tutte le sue immonde atrocità, c’è sempre un motivo per ricordare e celebrare Pablo Neruda ( pseudonimo di Ricardo Neftalì Reyes Basoalto ), nato il 12 luglio 1904, a Parral, nell’estremo sud del Cile , da una famiglia di pionieri, perché significa celebrare la bellezza dell’esistenza, quel poema che è in ciascuno di noi, poeti inconsapevoli , basta andare a cercarlo. In Pablo c’è , fin dagli inizi , quel paesaggio meraviglioso , il fascino della frontiera , che domina subito tutta la sua poesia :la pioggia, i grandi boschi, i terremoti , un mondo primitivo destinato a scavare in profondità nella spiritualità nerudiana. Da quel fango e da quel silenzio egli iniziò il cammino del suo canto.
NERUDA “In questa frontiera da Far West della mia patria nacqui alla vita , alla terra, alla poesia e alla pioggia…Qui la pioggia cade continua e paziente, fin quando non impazzisce in uragano: allora bisogna ancorare le cose alla terra per sottrarle alla sua rapina , e stendere letti di sassi fra le traversine perché non si porti via le rotaie”.
AUTORE :Ricardo è precoce in tutto: brillante studente liceale a Temuco , vince numerosi concorsi di poesia , nascondendosi sempre dietro qualche pseudonimo, finchè nel 1921 ( ha solo diciassette anni ) assume quello definitivo di Neruda , non sapendo in realtà chi fosse realmente Jan Neruda , autore dei “Racconti di Màla Strana” , scrittore e poeta ceco di ardente spirito patriottico .
NERUDA: Trovai su una rivista questo nome ceco , senza neppure sapere che si trattava di un grande scrittore , venerato da tutto un popolo, autore di ballate e romanze bellissime e con un monumento eretto nel quartiere di Mala Strana, a Praga.
AUTORE : A 20 anni è già famosissimo , grazie a “Venti poesie d’amore e una canzone disperata” , autentico campionario della passione e dell’erotismo che ha alimentato le fantasie di milioni di lettori ed è diventato – caso più unico che raro – un vero best seller della poesia .
NERUDA:“In virtù di un miracolo che non comprendo , questo tormentato libro di poesia ha indicato a molti uomini la strada della felicità…Mi hanno sempre domandato chi sia la donna dei Veinte poemas , una domanda a cui è difficile rispondere. Le due o tre che s’intrecciano in questa melanconica e ardente poesia corrispondono , diciamo a Marisol e a Marisombra. Marisol è l’idillio della provincia incantata con immense stelle notturne e occhi scuri come il cielo bagnato di Temuco. E’ presente con la sua allegria e la sua vivace bellezza in quasi tutte le pagine , circondata dalle acque del porto e dalla mezzaluna sulle montagne. Marisombra è la studentessa della capitale . Basco grigio, occhi dolcissimi , il continuo profumo di caprifoglio dell’errante amore studentesco, l’appagamento fisico degli appassionati incontri nei nascondigli di città”
AUTORE:L’amore è per Neruda fonte di dolore ; anzi esiste proprio in quanto è veicolo attraverso il quale si esprime il dolore radicale. Nel corpo della donna, che l’uomo desidera in contrastanti impulsi , con lo spirito non meno che con i sensi , si manifesta la straziante amarezza dell’inappagato, di ciò che sembra raggiunto e si rivela irraggiungibile , di ciò che è attuale e presente proprio perché trascorso o solo intraveduto . Unica presenza reale è il ricordo , presenza che lacera continuamente nell’infinito. L’amore , per Neruda , sta unicamente nel ricordo deluso.
Neruda:
Nella sua fiamma mortale
Nella sua fiamma mortale la luce ti avvolge.
Assorta , pallida , dolente, eretta davanti
alle vecchie spire del crepuscolo
che ti girano attorno.
Muta, amica mia,
sola in questa solitaria ora di morte
e colma di tutte le vite del fuoco,
pura erede del giorno distrutto.
Un grappolo di sole cade sulla tua veste scura.
Grandi radici notturne
improvvise ti salgono dall’anima
e quant’era in te occulto riaffiora
sì che un popolo pallido e azzurro
si nutre di te, appena nato.
O grandiosa e feconda e magnetica schiava
del cerchio che avvicenda il nero all’oro:
in piedi , rappresenta una creazione così viva
che muoiono i suoi fiori e colma è di tristezza.
Matilde:
Non t’amo
” Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
O freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, entro l’ombra e l’anima.
T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
Dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato amore che ascese dalla terra.
T’amo senza sapere come, né quando né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno”.
Neruda:
Bella
Bella,
come nella pietra fresca
della sorgente, l’acqua
apre un ampio lampo di schiuma,
così è il sorriso del tuo volto,
bella.
Bella,
dalle fini mani e dai piedi sottili
come un cavallino d’argento,
che cammina, fiore del mondo,
così ti vedo,
bella.
Bella,
con un nido di rame intricato
sulla testa, un nido
color di miele cupo
dove il mio cuore arde e riposa,
bella.
Bella,
gli occhi non ti stanno nel volto,
gli occhi non ti stanno nella terra.
Vi son paesi, vi son fiumi
nei tuoi occhi,
la mia patria sta nei tuoi occhi,
io cammino in mezzo ad essi,
essi danno luce al mondo,
dove io cammino,
bella.
Bella,
i tuoi seni sono come due pani fatti
di terra cereale e luna d’oro,
bella.
Bella,
la tua cintura
il mio braccio l’ha fatta come un fiume quando
è passato mill’anni per il tuo dolce corpo,
bella.
Bella,
non v’è nulla come i tuoi fianchi;
forse la terra possiede
in qualche luogo occulto
la curva e l’aroma del tuo corpo,
forse in qualche luogo,
bella.
Bella, mia bella,
la tua voce, la pelle, le tue unghie,
bella, mia bella,
il tuo essere, la luce, la tua ombra,
bella,
tutto è mio, bella,
tutto è mio, mia,
quando cammini o riposi,
quando canti o dormi,
quando soffri o sogni,
sempre,
quando sei vicina o lontana,
sempre,
sei mia, mia bella,
sempre.
AUTORE :Neruda è precoce anche come diplomatico e giramondo : a soli 23 anni è già console ; a 28 non ha più nulla da vedere: è stato sulla muraglia cinese, ha visto le geishe e i samurai , i fachiri e i santoni indiani , i monaci del Tibet , gli sciamani dell’Africa nera , la statua della libertà e le montagne rocciose ; in Europa conosce come le sue tasche la Spagna , la Francia e il Portogallo; ha visto il Big Ben , il Colosseo e il Cremlino .A quarant’anni è reduce dalla guerra civile spagnola, in cui ha visto morire molti suoi amici , tra cui Garcia Lorca . Quando diventa comunista e senatore della repubblica cilena ha solo quarantacinque anni , ma è come se avesse vissuto un paio di vite. Nel 1950 è costretto a fuggire dal proprio paese, che lo fa ricercare dalla polizia di tutto il mondo. Perseguitato, guardato a vista dalle poesie occidentali, arriva in Italia, dopo aver fatto sosta a Parigi , ospite di Pablo Picasso .
In Italia è accolto a braccia aperte dagli intellettuali italiani, ma , tranne loro , nessuno conosce il poeta Neruda. Nessuna poesia è stata pubblicata in italiano. Va a Milano, Firenze, Siena, Genova, Venezia, ospite di scrittori, pittori, artisti che organizzano delle letture pubbliche dei suoi versi; alcune città lo nominano cittadino onorario; ma per il governo italiano è un cittadino senza documenti, espulso dal suo paese che ne reclama l’arresto, ed è guardato a vista…
Finché , siamo nel gennaio del 1952, un giorno , il Ministro dell’Interno (Scelba) decidedi liberarsi di questo ingombrante cileno e firma un decreto di espulsione. Il poeta viene condotto alla Stazione Termini , ma non si riesce a farlo partire, con gli agenti incaricati dalla scorta che vengono sopraffatti da una folla – udite , udite! – di scrittori , intellettuali e artisti , tra cui Guttuso , Carlo Levi , Ricci, Moravia , Trombadori , Napolitano ed Elsa Morante che non esita a colpire con l’ombrellino di seta la testa di un poliziotto… Finirà all’italiana , col ritiro del provvedimento.
E Neruda viene ospitato a Capri , in una villa messa a disposizione dallo storico Erwin Cerio “ Sei mesi memorabili” in cui potrà vivere a pieno l’amore con la nuova compagna, Matilde Urrutia e portare a termine un altro libro d’amore appassionato e doloroso ( Los versos del capitàn ) che verrà pubblicato , grazie alla colletta degli amici intellettuali , in 44 esemplari numerati , che oggi costituiscono una vera e propria rarità.
AUTORE: In quasi settanta anni di vita ( è morto a 69 anni e tre mesi) , Neruda è stato un mucchio di cose, per il Cile, per il Sudamerica e il mondo intero : cantore , ora lucido , ora appannato , delle antiche civiltà ; ora pessimista, ermetico , cantore della solitudine , della morte e delle rovine , che – come disse Lorca – intingeva la penna nel sangue piuttosto che nell’inchiostro. Ora creatore di una nuova poesia epica (ma c’è qualcosa che sa di antico e lo avvicina a grandi visionari estatici come Withman e Hugo ) fatta di speranze e utopie che scardina il vecchio e stantio gioco formale e incarna speranze di riscatto ,libertà e giustizia del popolo cileno , ora poeta dell’ideologia marxista e della politica che presta voce agli umili ferrovieri come suo padre , ai pescatori, ai contadini, ai minatori , ai perseguitati , ma anche – senza volerlo – ai demagoghi e ai populisti .Lui nega tutto e dice:
NERUDA :La mia poesia non è politica né amorosa né metafisica; essa rappresenta una logica fusione di tutti questi temi, queste sollecitazioni, come del resto avviene nella vita. E attribuisce alla poesia quella funzione salvifica e di speranza che non “può andare perduta… in quest’età della cenere , degli innocenti distrutti e divorati da mandibole delle macchine , soltanto con un’ardente pazienza conquisteremo la splendida città che darà luce e giustizia , dignità a tutti gli uomini .“
AUTORE : Ma poi , alla fine della storia , negli ultimi anni di vita , stanco , malato , disilluso , nella sua casa di Isla Negra a picco sul Pacifico comincia a perdere fiducia in questo suo ottimismo pragmatico, riaffiora la visione angosciosa della sua stagione giovanile, quella feroce profondità , quella reiterazione sonnambula che attraversa un linguaggio sordo e compatto, la visione di un mondo in disfacimento , di un corpo a corpo con la morte .Viene assalito da tormenti paure, delusioni, timori per il futuro dell’umanità e della poesia (vds. La fine del mondo ), ma l’anima gli rimase appiccicata al mare, al grande oceano che vedeva ai suoi piedi.
Fu , infatti, un grande cantore del mare , forse uno dei maggiori poeti del mare di tutti i tempi ( vds. la sezione “El gran océano” del “Canto General” e tutte le raccolte dedicate alla costa e alle isole del Cile ) . Ma quella che rimane impressa nella memoria e nel cuore dei lettori delle sue poesie è la poesia d’amore, come ad esempio i cento sonetti dedicati alla sua amata Matilde.
NERUDA:
Ho fame della tua bocca
Ho fame della tua bocca , della tua voce, dei tuoi capelli
E vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,
non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge,
cerco il suono liquido dei tuoi piedi , nel giorno.
Sono affamato del tuo riso che scorre,
delle tue mani color di furioso granaio ,
ho fame della pallida pietra delle tue unghie ,
voglio mangiare la tua pelle , come mandorla intatta.
Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
il naso sovrano dell’aitante volto,
voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia
e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,
cercandoti, cercando il tuo cuore caldo
come un puma nella solitudine di Quitratùe
AUTORE:Neruda cantò il mare nella sua dimora selvaggia battuta dalle onde frementi dell’oceano. Era simile ad un nido di gabbiani , edificata su una spiaggia rocciosa del Pacifico e come trattenuta a terra da una gigantesca ancora pronta metaforicamente a salpare non appena il vento fosse riuscito a far suonare tutti insieme i sei batacchi del suo insolito campanile . Così lo ricorda la sua ultima compagna, Matilde Urrutìa nel suo libro “Mi vida junto a Pablo Neruda”:
MATILDE: E’ da tanto tempo che guardo il mare : è là, come sempre , che si infrange gioioso contro gli scogli e sembra invitarmi. Vado sulla sponda, il vento che percuote il mio volto mi rianima. Guardo il cielo, le nuvole stanno viaggiando , spinte da un vento che le disfà con incredibile sveltezza. Le guardo allontanarsi , tutte mi offrono il profilo di Pablo, che se ne va sempre sorridente. Mi fa molto bene lo scherzo delle nuvole . Il sole comincia a tramontare . L’aria del mare porta odore di alghe e iodio oceanico ; tutto questo , come un soffio balsamico, mi porta il ricordo di come Pablo difendeva il suo mare; per lui non c’era al mondo una spiaggia come Isla Negra. Una volta ( eravamo in Europa), Pablo mi disse:
NERUDA:Voglio tornare , non resisto più al desiderio di vedere il mare.
MATILDE: Ebbe per tutta risposta una gran risata mia perché mi diceva questo mentre passeggiavamo sul lungomare di Viareggio ( Eravamo stati invitati là, perché appunto quell’anno gli dettero il Premio Viareggio). Lui mi guardò e disse:
NERUDA: Ma questo non è mare. Non vedi che non si muove, non ruggisce e neanche odora? Questo non è mare.
MATILDE: Era convinto che i mari civilizzati della Costa Azzurra non fossero mari. Il suo mare era l’oceano.
NERUDA: Chino sulle sere , lancio le mie reti tristi/ nei tuoi occhi oceanici / Lì si stende e arde nella pira più alta/ la mia solitudine che annaspa come un naufrago/ Lancio segnali rossi oltre i tuoi occhi assenti/ che ondeggiano come il mare sulla sponda di un faro/ Sorvegli solo le tenebre , femmina distante e mia/ , dal tuo sguardo talora emerge la costa dello spavento.
Il tuo sorriso
“Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l’ aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l’ acqua che d’ improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d’ argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d’ aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amor mio, nell’ ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d’ improvviso
vedi che il mio sange macchina
le pietre della strada,
ridi, perchè il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.
Vicino al mare, d’ autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.
Riditela della notte,
del giorno, delle strade
contorte dell’ isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l’ aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perchè io ne morrei.”
AUTORE: A Isla Negra , in questa sua casa ora divenuta un museo , come le altre due , Qui compose la maggior parte delle sue liriche , coriandoli di parole blu mentalis che precipitavano dalle incontaminate alture di Macchu Picchu e
s’accendevano come un manifesto amore. Era lì negli ultimissimi giorni della sua sua vita, sofferente , malato di cancro, non in grado neppure di alzarsi dal letto , con Matilda che lo curava come un bambino ( gli nascose il golpe di Pinochet dell’11 settembre 1973) , e disse guardandosi allo specchio:
NERUDA: “Ho tanto amato e camminato, ora posso solo guardarmi morire”.
AUTORE:Si lascia andare del tutto , quando viene a sapere , tre giorni dopo , della morte del suo grande amico Salvador Allende, presidente della Repubblica Cilena, delle torture e uccisioni di settemila persone avvenute presso lo stadio di Santiago , trasformato in un orrendo campo di concentramento
MATILDE: Pablo seppe tutto ciò guardando la televisione , da quel momento non volle più essere nutrito. Si lasciò deliberatamente morire, rifiutando , come aveva fatto invece altre volte, di riaprirsi alla speranza.
Neruda:
Si muero sobreviveme
“Si muero sobreviveme con tanta fuerza pura
que despiertes la furia del pàlido y del frìo,
de sur a sur levanta tus ojos indelebles,
de sol a sol que suene tu boca de guitarra.
No quiero que vacilen tu risa ni tus pasos,
no quiero que se muera mi herencia de alegrìa,
no llames a mi pecho, estoy ausente.
Vive en mi ausencia como en una casa.
Es una casa tan grande la ausencia
que pasaràs en ella a través de los muros
y colgaràs los cuadros en el aire.
Es una casa tan transparente la ausencia
que yo sin vida te veré vivir
y si sufres, mi amor, me moriré otra vez.”
Matilde
Se muoio sopravvivimi
“Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che tu risvegli la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso nè i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità di gioia,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.
E’ una casa sì grande l’assenza
che entrerai in essa attraverso i muri
e appenderai i quadri nell’aria.
E’ una casa sì trasparente l’assenza
che senza vita io ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò nuovamente.”
A: E’ IL 23 settembre 1973 , l’inizio dell’autunno, e Pablo Neruda muore nella sua casa di Isla negra , che verrà devastata dai golpisti , a marchiare col loro sconcio sigillo di sangue l’uomo che aveva cantato con amore smisurato la vita degli uomini , dei suoi fratelli , che ora erano come foglie disperse d’autunno .
Neruda : Modesto è l’autunno/ come i taglialegna/ Costa molto/ togliere tutte le foglie / da tutti gli alberi/ di tutti i paesi. La primavera le cucì in volo e ora bisogna lasciarle cadere come se fossero uccelli gialli. Non è facile . Serve tempo. Bisogna correre per le strade , parlare lingue, svedese, portoghese, parlare la lingua rossa, quella verde. Bisogna saper tacere in tutte le lingue , e dappertutto, sempre, lasciare cadere, cadere , lasciare cadere , cadere /le foglie
A: Il giorno del suo funerale , sfidando i divieti dei soldati coi mitra spianati, un fiume di persone uscì dalle case si riversò per le strade per accompagnare e onorare il loro poeta. Ecco la descrizione che ne fa l’amico Edoardo Galeano:
GALEANO :In mezzo alla devastazione, nella sua casa anch’essa fatta a pezzi a colpi d’ascia, giace Neruda, morto di cancro, morto di pena. La sua morte non bastava, poiché Neruda è uomo di lunga sopravvivenza, e i militari gli hanno assassinato le cose: hanno ridotto in frantumi il suo letto felice e la sua tavola felice, hanno sventrato il materasso e hanno bruciato i libri, hanno spaccato le sue lampade e le sue bottiglie colorate, i suoi vasi, i suoi quadri, le sue conchiglie. All’orologio a muro hanno strappato il pendolo e le lancette; e hanno conficcato la baionetta in un occhio del ritratto di sua moglie.
A: Dalla sua casa rasa al suolo, inondata d’acqua e di fango, il poeta parte per il cimitero. Lo scorta un corteo di amici intimi, capeggiati da Matilde Urrutia.
A ogni nuovo isolato, il corteo cresce. A tutti gli incroci si aggiungono persone che si mettono a camminare nonostante i camion militari irti di mitragliatrici e i carabineros e i soldati che vanno e vengono, su motociclette e autoblinde, che fanno rumore, che fanno paura. Da dietro qualche finestra, una mano saluta. Dall’alto di qualche balcone, sventola un fazzoletto. Oggi sono passati quattordici giorni dal colpo di Stato, quattordici giorni di tacere e morire, e per la prima volta si ode l’Internazionale in Cile,
L’Internazionale mugolata, pianta, singhiozzata più che cantata, finché il corteo diventa processione e la processione diventa manifestazione e il popolo, che cammina contro la paura, comincia a cantare per le strade di Santiago a perdifiato, a voce piena, per accompagnare come si deve Neruda, il poeta, il suo poeta nell’ultimo viaggio.
MATILDE : Pablo Neruda è morto.
AUTORE: Pablo Neruda è morto
M:Venid a ver ahora su casa violada sus puertas y cristales destrozados
A : Venite ora a vedere la sua casa violata, le sue porte e i vetri frantumati M:Venid a ver sus libros ya cenizas e ver sus colecciones reducidas a polvo
A :Venite a vedere i suoi libri inceneriti, le sue collezioni ridotte in polvere
M:Venid a ver su cuerpo alli caido, su inmenso corazòn allà volcado
sobre la escoria de sus suenos rotos
A : Venite a vedere il suo corpo caduto. Il suo cuore immenso caduto, lì,
sulle macerie dei suoi sogni infranti
M: Mientras sigue corriendo la sangre por las calles
A: Mentre continua a scorrere il sangue per le strade
M : Venid a ver…
A: Venite a vedere…
M: Venid a ver…
A: Venite a vedere
M – A: (escono tenendosi per mano) Venid a ver
Augusto Benemeglio
buon pomeriggio
sono stato colpito dalla frase
“perché la sua è una poesia magica e sensuale , che si può mangiare, bere, si può toccare , accarezzare, prendere a schiaffi, respingere , odiare e amare come fosse persona in carne e ossa”.
potrebbe dirmi l’autore o il testo da cui e’ tratta ?
grazie mille saluti
Caro Giovanni, il testo risale almeno a 17 anni fa, anche se il recital fu rappresentato per la prima volta credo nel 2009 presso la biblioteca di Acilia, poi più volte replicato. Quando un autore prepara un profilo di un grande personaggio come Pablo Neruda ( rappresentato in mille salse, non sempre positive), va a toccare un po’ la critica dei quattro continenti, oltreché ovviamente le opere del personaggio e quelle scritte su di lui. Se mi ricordo bene , credo che mi colpì il titolo non so di quale giornale ( forse l’inserto domenicale , che si occupava di letteratura e arte in genere , del SOLE 24 ORE ): ” PABLO NERUDA FERRAMENTAIO LETTERARIO”, che non era propriamente positivo.
Da un brano di quell’articolo feci una trasposizione personale. Ma , ripeto, son passati talmente tanti anni, che non ricordo chi fosse l’autore dell’articolo, nè l’effettiva proposizione sulla quale feci la mia trasposizione. Insomma, a dirtela tutta, credo che potrei affermare che quella frase è mia. Saluti. Augusto Benemeglio