ArteRecensione: Mostra Japan. Arts and Life-La Collezione Montgomery


“Un viaggio interiore nella bellezza della semplicità”, non vi è davvero definizione migliore per dire della mostra Japan. Arts and Life-La Collezione Montgomery allestita al MUSEC di Lugano (Villa Malpensata, Riva Caccia 5/via G. Mazzini 5, entrata dal giardino) fino al 8 Gennaio 2023 (info: e-mail info@musec.ch, sito Internet www.musec.ch, tel. +41 588666960; apertura tutti i giorni, h 11-18, martedì escluso; catalogo SKIRA).
Sono 170 opere, fra il XII e il XX secolo, che si snodano in un percorso di 13 sale, un patrimonio che narra della predisposizione interiore del collezionista e degli ideali estetici del Paese del Sol Levante. Le sezioni, emblematiche e nel segno dell’esaustività, sono 9: Una ricerca interiore; La scoperta di una civiltà; L’arte del quotidiano; La tradizione; Materia e nostalgia; Un’ossimorica bellezza (affermava il collezionista: “capolavori che affascinano perché in grado di combinare la più profonda genuinità con il gusto dell’essenziale. Cose che, se non ti soffermi attentamente a guardarle, possono sfuggirti, ma che, se sei capace di osservarle a lungo, quasi a carpine l’essenza, generano dentro lo spettatore un’inesorabile sensazione di bellezza”; Una fiorita eleganza; La dialettica della vita; L’impermanenza.
Gli oggetti, anche di uso quotidiano, e le opere d’arte esposte sono belle, eleganti, preziose e funzionali, dipingendo il paesaggio culturale, emotivo, esistenziale di una terra remota e fascinosa. Si va dal gancio da focolare, jizaigake, di tipo Daikoku in legno di zelkova (keyaki) con patina alla giara in ceramica per conservazione alimentare (un’ansa è stata riparata con la tecnica kintsugi), dal tokkuri, bottiglia da sakè a forma di melanzana, al piatto – ishizara – realizzato in ceramica Seto con motivo dipinto di foglie d’acero (momiji), la cui iscrizione recita “Al Monte Mimura soffia una tempesta”. E ancora… la giacca maschile, hitatare (cotone filato a macchina, tintura a riserva, stampa con matrici di legno e pittura a mano), utilizzata per il teatro decorata con il motivo delle gru (tsuru) e delle tartarughe millenarie (minogamen), simbolo di longevità; il futonji, copriletto decorato con una carpa (koi) che emerge dalle onde e un simbolo araldico (mon); tavolette votive; uno spettacolare, impressionante stendardo orizzontale proveniente da un santuario – 1010 x 203 cm (cotone, inchiostro e colore, dipinti a mano) – la cui scritta sulla destra reca la datazione “Ventunesimo anno Meiji, anno del Topo, giorno fausto dell’ottavo mese”, mentre sulla sinistra si trova il nome del committente; una lanterna pensile in ferro battuto e patinato con corpo rotondo e tetto a forma di fiore polilobato (incisa la data del 1681); la maschera in legno della divinità della gioia Okame; la cassa  mastra – funadansu – per via marittima con cassetti interni e un cassetto segreto nel doppiofondo; rotoli verticali dipinti, leoni, peonie, paulonie, cavalli danzanti, ferro battuto e patinato, lacche, carta di gelso e tanto altro ancora. Il campionario delle tecniche e dei manufatti è una meraviglia senza pari.
Superfluo aggiungere quanta bellezza trabocchi da questa splendida congerie di oggetti, figli di… “abilità che affondano la loro origine nella notte dei tempi, facendo sentire l’artista parte di una storia di bellezza ininterrotta”. E un’invincibile armonia, aggiungiamo. “L’opera d’arte esprime una materialità che, lungi dall’essere tecnica, come accade in genere nel mondo occidentale, riporta piuttosto all’idea di un’incessante trasformazione del mondo e al sentimento di un’insanabile nostalgia che tale trasformazione comporta”.
La collezione di Jeffrey Montgomery – classe 1937, nascita losangelina da padre inglese e madre norvegese, una giovinezza trascorsa in alterno sulle rive di due oceani, per poi divenire un giramondo, con ultima tappa in quel di Lugano – è stato ben scritto, “ha accompagnato la vita di un uomo che non si considera il padrone, bensì piuttosto un keeper, il fortunato custode di un patrimonio di oggetti legati fra loro da una segreta forma di solidarietà”.
Una mostra che si configura come un viaggio estetico e filosofico, facendoci penetrare con dolcezza nelle vite della moltitudine di creatori (artigiani/artisti) e di persone che utilizzarono quegli oggetti.

Alberto Figliolia

 

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