Letteratura: Matapan, il luogo della memoria


1.Dopo ottant’anni , immobile, sulla sommità della plancia della “Vittorio Veneto” , l’Ammiraglio Angelo Iachino fissa ancora instancabilmente le acque lontane dove cinque sue navi vennero distrutte in battaglia, e sembra chiedere agli dei del mare e ai 2335 marinai scomparsi nei suoi abissi: perché?

Ora che il maestrale risale le correnti
fino ai crocifissi ardenti del mare Jonio
e trasporta onde ferite  ed echi di battaglie,
lance e spade spezzate, grida e preghiere,
– il ponte dell’Incrociatore  “Vittorio Veneto”
è divenuto un altare vivo di generazioni di marinai.
Marinai di Matapan , per voi un coro intimo
e partecipe di fede, un’ode commossa
al vostro sacrificio vano…
Marinai di Matapan,  giovani, ardenti e ignari
cui la morte agguatata  nelle silenziose tenebre
colse come frutti acerbi, con fragore di scoppi
e cenere di fuoco  sulle navi di ferro dormienti,
o naufraghi , nudi e inesperti nel mare di gelo…
Fratelli di Matapan , che cadeste nel potere
delle maligne stelle senza mai più riveder la riva,
e che ora giacete nel gran sacrario degli abissi marini
insieme alle moltitudini di eroi e di umili ignoti
pescatori  di Licodia
perchè non rispondete all’appello dei vostri nomi?

2.Fare memoria di Capo Matapan significa rileggere una storia remota, ormai lontanissima come quella dell’Impero Romano di cui i ragazzi di venti o trenta e anche quarant’anni, non hanno mai sentito parlare . Le acque che videro quella tragedia sono deserte e immemori, da gran tempo hanno cessato di far scaturire al crepuscolo i fantasmi inghiottiti dal mare, eppure si direbbe che l’ammiraglio Iachino non si dia ancora pace , non tollerando di dover portare il peso della sconfitta. Continua a scrivere e riscrivere diari, memoriali, libri su Gaudio e Matapan che nessuno ha mai letto , né leggerà mai. Del resto  perché rileggere una pagina così buia della “guerra dei convogli” nel Mar Mediterraneo? E’ solo voler rinnovare un dolore , una ferita sempre aperta e una  umiliazione che non avranno  mai fine. Ma sono ancora in vita i parenti delle vittime che vogliono ricordare i loro cari , i 2.335 marinai che perirono a seguito dell’attacco britannico avvenuto tra il 28 e il 29 marzo 1941 quando la squadra navale della Regia Marina agli ordini dell’ammiraglio Iachino, costituita dal Vittorio Veneto, 8 incrociatori e 13 caccia si diresse verso Creta per bloccare il traffico mercantile inglese tra l’Egitto e la Grecia.

3.La Regia Marina si lanciò verso un estenuante inseguimento di quattro incrociatori leggeri e otto caccia britannici, che era solo una trappola tesa dagli inglesi . Quella flottiglia era solo l’avanguardia della Mediterranean Fleet, comandata dall’ammiraglio Andrew Cunningham e costituita dalle corazzate Warspite, Valiant, e Barham, dalla portaerei Formidable e da altri nove caccia. Lo scontro non si fece attendere. Gli aerei della Formidable e altri provenienti da basi a terra attaccarono. L’ammiraglio Iachino decise di ripiegare anche per via del mancato supporto degli aerei tedeschi della Luftwaffe. Al tramonto, nei pressi di Capo Matapan, in mezzo alle cortine fumogene l’incrociatore pesante Pola venne colpito da un siluro. L’ammiraglio Iachino ordinò agli incrociatori pesanti Zara e Fiume e ad altri quattro cacciatorpediniere di prestare soccorso al Pola. Ma le navi britanniche erano più vicine di quanto si poteva pensare. Il fuoco a bruciapelo sulle navi italiane arrivò di colpo.
E così che vennero affondati gli incrociatori Fiume, Zara e i due cacciatorpediniere Alfieri e Carducci.

Dopo la battaglia di Capo Matapan, la Royal Navy si dispose al soccorso dei sopravvissuti italiani ma dovette ritirarsi perché solo in quel momento arrivarono gli aerei tedeschi. Gli inglesi comunicarono comunque la posizione dei naufraghi a Supermarina , che inviò le navi ospedale italiane quand’era troppo tardi. Quasi tutti i naufraghi morirono in poche ore per assideramento.

5.Come mai la Marina Italiana non sapeva niente dell’addestramento alla guerra notturna sia degli inglesi che dei tedeschi? Come mai ignorava che gli uni e gli altri possedevano il radar, peraltro inventato da un italiano? ( Il prof. Ugo Tiberio nel 1936 , in una relazione ufficiale, aveva scritto allo Stato Maggiore della Marina : “Esiste la probabilità che la nostra Marina si trovi, in caso di guerra, di fronte a un avversario provvisto di mezzi per il tiro notturno delle artiglierie a grande distanza, antiaeree e navali” . E alla fine del 1939  lo stesso realizzò due esemplari di radio-detector  telemetro, funzionanti rispettivamente su onde di 1,50 metri e o,70 metri , ma i Comandi della nostra Marina li considerarono pure e semplici esercitazioni di laboratorio, e quindi il radar non fu mai impiegato.
E,  infine , com’è possibile che il nostro servizio di informazioni, la nostra “intelligence” fosse così scarsa da non conoscere nessuna di queste cose fondamentali. Ma , soprattutto,  non fu segno di una madornale ingenuità ed insipienza tecnica, – come scrisse Buzzati sul Corriere della Sera  – escludere l’eventualità di uno scontro notturno, al punto che quando lo “Zara” e il “Fiume”  incontrarono il nemico avevano addirittura “i cannoni per chiglia” , cioè non in grado di sparare un colpo?
E la dolorosa sorte della squadriglia Margottini, falciata nottetempo dal fuoco degli incrociatori nel canale di Sicilia ,non aveva insegnato nulla, non aveva aperto gli occhi a nessuno?

6.Ma l’enigma più grave è l’indifferenza totale di Supermarina alla notizia, documentata da una fotografia, che tutte e tre le corazzate di Alessandria erano in piena efficienza, e non soltanto una , come avevano fatto credere due presunti siluramenti da parte di aerei tedeschi. Era un dato di somma importanza che avrebbe dovuto modificare la condotta sia del Comando Supremo a terra, sia del comandante in mare. Ma ancora una volta, il pressapochismo e la burocrazia, oserei dire la mancanza di coraggio e anche di senso di responsabilità da parte dell’Alto Comando avevano avuto la meglio su tutto. Preferirono il silenzio, mentre cinque navi affondavano e duemilatrecentotrentacinque marinai scomparivano negli abissi marini.

Anch’io sono andato in quelle fatali acque di Matapan trent’anni fa, nel cinquantesimo anniversario dei fatti narrati, per ricordare i nostri marinai con un messaggio in bottiglia. Ero a bordo del nuovissimo Incrociatore “Vittorio Veneto” come inviato speciale del Notiziario della Marina. E con me c’erano tanti ex marinai che avevano partecipato a quella battaglia.

Undici anni dopo il tragico evento, nell’agosto del  1952,  su una spiaggia nei pressi di Cagliari, venne trovata una bottiglia con dentro questo messaggio: “Regia Nave Fiume – Vi prego, Signore, di informare la mia cara madre che io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, Salerno. Grazie Signore – Italia!”. La madre venne informata e suo figlio ricevette la Medaglia di Bronzo al Valor Militare,  alla memoria, una memoria che grazie alla tenacia della figlia di uno dei marinai periti, il Capo di 1^ classe  Nazareno Bramante, imbarcato proprio sulla nave Fiume, la signora Lucia Bramante, è stata storicizzata con la dedicazione del Monumento ai Caduti nella Battaglia di Capo Matapan, e il Largo ai caduti della battaglia di Capo Matapan, a Siracusa, che è divenuto il luogo della Memoria di tutti non solo i congiunti o i parenti dei caduti, ma di tutti gli italiani, un doveroso omaggio a chi ha onorato veramente la Patria, donando per essa, come il marinaio Chirico,  la propria giovane vita.

Roma, 29 marzo 2021
Augusto Benemeglio

 

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