Voci mute contro la guerra
E’ il 28 ottobre del 1921 e siamo all’interno della Basilica di Aquileia, affollata di vedove di guerra, di reduci, di militari di alto grado e di politici; tutti gli occhi sono rivolti a Maria Bergamas, madre di un irredento disperso nella grande guerra, la quale dovrà scegliere fra gli undici feretri allineati nella navata centrale quello del milite ignoto, che dovrà poi essere traslato a Roma per essere posto dentro il Vittoriano. Quindi la geniale intuizione del generale Giulio Douhet sta per concretizzarsi, intuizione che vuole essere un ringraziamento ufficiale a chi è caduto sul campo di battaglia, a chi si è immolato per la patria. La donna, in gramaglie, che ha già da tempo un colloquio muto con il figlio defunto, si avvicina a ogni bara e percepisce il racconto della vita e della morte che ciascuno di quei corpi ignoti le trasmette e per ognuno lei ha una reazione altrettanto muta, in una sorta di colloquio silenzioso che non viene intuito dai presenti, tutti tesi a vedere quale sarà il feretro scelto da Maria Bergamas.
L’idea di Bubola, poeta, musicista e scrittore, è geniale, con quel suo dare la voce a chi voce non ha, ma il rischio, dato l’argomento, di incorrere in una retorica asfissiante è concreto, anche se l’abilità dell’autore è tale da evitarlo, soprattutto perché gli scopi dell’opera non sono l’esaltazione della nostra vittoria in una guerra sanguinosa, non è l’ode a una patria volta ad affermare la sua supremazia, sono invece quelli ben più nobili di un’invocazione alla pace, alla fratellanza fra i popoli, a ritrovare un’umanità che sappia cogliere nei comuni gesti della vita un punto di unione e non di disaccordo. Fra questi poveri soldati che riposano nelle bare non c’è mai odio e anche la vita che raccontano è quella di gente costretta alla guerra e che si accorge di combattere non per ideali, bensì per l’interesse di chi ha il potere, un sentimento comune che si lascia supporre, da alcune riflessioni, anche nel nemico, che non è più tale, ma che diventa al più un semplice avversario.
Con in mente Niente di nuovo sul fronte occidentale e Un anno sull’Altipiano Bubola confezione un’opera di elevato valore, che pur nella scia dei libri che ho appena citato ha una una sua autonomia di trama e di sviluppo che la rendono ben identificabile e ulteriormente apprezzabile. L’autore è accorto nell’esporre, forte di una struttura ben congegnata, ed è altrettanto abile nel passare dalla creatività che si innesta nel fatto storico alla storia stessa, poiché l’opera si conclude, una volta che Maria ha fatto la sua scelta, con il trasporto della salma a Roma con un treno speciale, coperto di fiori, che procede lentamente di modo che la gente possa accorrere a vederlo, possa entrare in sintonia con l’eroe per eccellenza della patria, ma anche con colui che rappresenta, a nome dei tanti caduti, il simbolo di una tragedia. Nei nostri soldati, accomunati dalla morte, ma anche da una vita fatta di duro lavoro, dall’amore e da sogni che si sono infranti, si specchiano i vivi, i reduci, i mutilati, insomma tutto un popolo che si sente così universalmente rappresentato e che in cuor suo, contento di essere scampato al massacro, grida forte “ Mai più guerre”, purtroppo ignaro che anche per la pace occorre combattere.
Ballata senza nome è stata una piacevolissima sorpresa, uno di quei libri che farei leggere anche a scuola, affinché, fin da giovani, i futuri uomini possano comprendere la scellerata inutilità della guerra.
Titolo: Ballata senza nome
Autore: Massimo Bubola
Prezzo copertina: € 17.90
Editore: Frassinelli
Data di Pubblicazione: ottobre 2017
EAN: 9788893420297
ISBN: 8893420295
Pagine: 181
Massimo Bubola, nome di culto e figura centrale della musica d’autore italiana, poeta, musicista, scrittore. Ha al suo attivo venti album che tracciano un percorso unico nella letteratura musicale del nostro Paese. Già alla fine degli anni Settanta, Bubola crea una poetica che si abbevera alla tradizione della musica popolare e alla poesia contemporanea, arrivando a maturare una formula musicale ricca di suggestioni letterarie, che influenzerà la scena italiana a cominciare da Fabrizio De André, con cui scrive e compone due storici album come Rimini e L’Indiano, contenenti brani come Fiume Sand Creek, Rimini, Sally, Andrea, Volta la carta, Franziska, Canto del servo pastore, Hotel Supramonte, oltre a Don Raffaè, e firmerà altre grandi canzoni popolari come Il cielo d’Irlanda. Nel 2006 ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo Neve sugli aranci, e nel 2009 il suo primo romanzo, Rapsodia delle terre basse (Gallucci). Negli ultimi anni si è dedicato alla riscoperta del patrimonio artistico, musicale e storico legato alle vicende della Prima guerra mondiale in Italia. Da questo lavoro hanno avuto origine due album: Nel 2005 Quel lungo treno e nel 2014 Il Testamento del Capitano, seguito dall’album antologico Da Caporetto al Piave e dal libro Ballata senza nome (Frassinelli 2017).
Se gli uomini, sopratutto quelli di potere, leggessero il libro, lo ruminassero forse non ci sarebbero più guerre.