La vita cambia in fretta.
La vita cambia in un istante.
Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.
Il problema dell’autocommiserazione.
La vita cambia in un istante.
Un normale istante.
L’anno del pensiero magico di Joan Didion è un libro che immaginavo intenso, ma non credevo potesse toccarmi con questa profondità. È il racconto di un anno di vita che si sgretola, un anno segnato dalla morte improvvisa del marito, John Gregory Dunne, e dalla malattia gravissima della figlia Quintana. Didion attraversa questo dolore con una lucidità che colpisce e ferisce allo stesso tempo, consegnando al lettore un’esperienza di lettura che non lascia indifferenti.
Il romanzo prende avvio da una scena semplice e terribile, una conversazione interrotta dal collasso del marito, una serata come tante che si trasforma in un confine netto tra un prima e un dopo. Da quel momento, la scrittrice è trascinata in un vortice di incredulità e smarrimento, un luogo mentale in cui la realtà diventa difficile da accettare e il dolore assume forme imprevedibili.
È qui che entra in gioco il “pensiero magico” evocato dal titolo, Didion lo racconta con una sincerità disarmante, urla forte tra le righe il bisogno irrazionale di credere che qualcosa possa cambiare, che la persona amata possa tornare, che i gesti quotidiani possano ancora avere un senso. Conservare i vestiti del marito, aspettarsi di sentirlo aprire la porta, continuare a vivere in una sospensione quasi infantile tra ciò che si sa e ciò che si spera. Leggendo, mi sono ritrovata a riflettere su quanto, nelle perdite più grandi, anche noi cerchiamo un appiglio simile, un riflesso di normalità impossibile da sostenere.
Lo stile di Didion è inconfondibile, analitico, misurato, a volte persino chirurgico. Ogni parola sembra essere stata scelta con estrema precisione, come se il linguaggio fosse l’unico strumento rimasto per mettere ordine nel caos. Questa lucidità, per quanto ammirevole, genera però anche una certa distanza emotiva. In più di un passaggio ho percepito una freddezza sottile, una barriera che impedisce di sprofondare completamente nella sua interiorità. Credo che questo effetto nasca dal suo modo di affrontare il lutto, perchè Didion non si abbandona agli sfoghi, preferisce analizzare, ricostruire, osservare da fuori ciò che le sta crollando addosso.
Il racconto della morte del marito è asciutto, privo di enfasi, e proprio per questo risulta ancora più doloroso. Colpiscono anche i passaggi legati alla memoria, ai ricordi che tornano in modo quasi ossessivo, ai “se solo” che accompagnano chiunque abbia conosciuto la perdita. Lo stesso vale per le riflessioni sul tempo, quando il passato sembra più concreto del presente perché il dolore lo rende più accessibile. Sono righe che ho riletto più volte, nel tentativo di coglierne ogni sfumatura.
La lettura non è immediata, richiede attenzione e una certa disponibilità emotiva, forse persino il momento giusto della propria vita. Tuttavia, quando si entra nel ritmo di Didion, si capisce che questo libro diventa una meditazione sulla fragilità umana, sul bisogno di andare avanti anche quando tutto sembra crollare, sulla ricerca di un equilibrio nuovo in un mondo improvvisamente alterato.
O la mente, la mente ha montagne; rupi a picco
erte, spaventose, dall’uomo inesplorate. Poco le stima
chi non vi fu mai appeso.
Mi sveglio e sento l’ispido vello del buio, non del giorno.
E ho chiesto d’essere
dove non arrivano le tempeste.
Titolo: L’anno del pensiero magico
Autore: Joan Didion
Prezzo copertina: 7,00€
Editore: Il Saggiatore
Collana: La cultura
Traduttore: Mantovani V.
Data di Pubblicazione: 2008
EAN: 978-8856500066
ISBN: 885650006X
Katia Ciarrocchi
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