– Questo masso che comprime le emozioni e ne impedisce il loro fluire è insopportabile. –
Questo è quello che pensa Paolo quel giorno, seduto sulla panchina dei giardini. Ha con sé notes e penna, che più volte estrae dallo zaino, con l’intenzione di scrivere, rimanendo però con la penna a mezz’aria e il foglio immacolato.
Sono giorni che ci prova, ma le parole non trovano via di uscita, ma rimangono all’interno, imprigionate e compresse.
Si sente vuoto. Come se i suoi sensi non avessero più la capacità di percepire. -Non entrando niente, niente può uscire- si dice a malincuore. Da innumerevoli giorni il termometro delle sue emozioni, rimane fiondato sullo zero senza accennare a muoversi.
Eppure c’erano stati momenti in cui anche un minuscolo insetto od un filo d’erba riuscivano a scatenargli un’emozione sincera, allora un’ energia positiva si impossessava di lui e, lo aiutava a tradurre quel sentimento in parole, che riusciva a fermare sulla carta.
Parole preziose come perle, che rotolavano fuori dalla sua anima, per rimanere impresse su una pagina da condividere con la comunità.
Lo osservo, noto il suo sguardo: la sua traiettoria è diretta verso un punto lontano. Un punto distante dalla terra, distante dal tempo e dallo spazio. Forse è alla ricerca di un mondo diverso da questo.
Nei suoi occhi, leggo lo smarrimento di un bambino che ha perduto la strada.
Si guarda intorno: tutto gli appare distante ed ostile. Il paesaggio in cui è immerso non lo conforta. In giro non c’è l’ombra di un fiore. In quella che doveva essere stata un’aiuola, sono accatastati sacchetti di plastica colorati.
Alcuni sono in parte rotti e, l’immondizia fuoriesce senza pudore appiccicandosi ai pochi asfittici fili di erba, che si affacciano sul terreno.
Due ragazzi, seduti sulla panchina dietro alla sua, bevono una birra dietro l’altra, cospargendo il suolo di lattine gialle. Altri fumano, in fondo ai giardini, sdraiati su quella specie di prato malato di alopecia: sono tre ragazzini e una ragazza, talmente rimbecilliti dal fumo, che fanno il gesto di cogliere i fiori che non ci sono e farne un mazzo.
Tutto questo lo intristisce molto, lo sconvolge.
Adesso, non estrae, più nemmeno la penna, il suo sguardo sembra rassegnato. Non riesce più a decifrare i segni di questa civiltà, pensa che forse sia più appropriato denominarla inciviltà.
Vorrebbe capire, o almeno riuscire ad avvicinarsi al pensiero giovanile. Ci ha provato più volte, senza risultato.
Ha cercato di mettersi nei panni di suo nipote, ma a volte questi, gli calzavano talmente stretti da non sopportarli, altre volte cadevano da tutte le parti.
Così ha preferito rinunciare. Avrebbe voluto dargli aiuto, con i suoi consigli, mettergli a disposizione le sue esperienze, magari fare una risata insieme a lui, ma purtroppo fino ad ora tutto ciò, non è stato possibile.
Questa incapacità di comunicare con il nipote lo affligge profondamente, si sente impotente.
Qualsiasi conversazione tenti di avviare con lui, finisce sul nascere, puntualmente con la medesima frase di Lorenzo -Quelli erano tempi diversi caro nonno !-
Alla fine Paolo trova un appiglio tra i ricordi: il suo sguardo adesso si appoggia sul vialetto dove, riesce a scorgere l’immagine della sua ragazza.
Intravede da lontano, il suo abitino azzurro. La sua andatura è veloce e armoniosa, quasi a voler interpretare quella musica gioiosa che tiene dentro e che il Paolo, riesce ancora a percepire. Adesso, Bianca è proprio davanti a lui, con il suo cerchietto dorato tra i capelli scuri e ordinati, ha il sorriso pulito e gli occhi splendenti. Paolo, con la mano fa il gesto antico di scostarsi i capelli dagli occhi, quel suo ciuffo scuro che piace tanto alle ragazze “Forse le sue dita ingannate dal ricordo riescono anche a percepirne la morbidezza.”
Adesso i ragazzi hanno chiome voluminose che non lavano, anzi sporcano con sostanze appiccicose, appositamente, per poter sfoggiare strabilianti capelli rasta. I jeans, scuciti in più parti, e la vita è talmente bassa da mostrar le chiappe.
Il ricordo di Bianca lo ha scosso dal torpore. Il suo sguardo è diverso. Adesso, Paolo, sorride. Sembra che la vita sia tornata a fluire dentro di lui.
Rimane seduto sulla panchina, si sente il Paolo con il ciuffo, di cinquanta anni fa.
E’ talmente preso da quel vecchio ruolo, che non si accorge che una ragazza lo sta osservando. Sobbalza quando lei gli chiede:
E’ il nonno di Lorenzo?-
– Si ! Si sente rispondere, sono il nonno di Lorenzo.- E’ allora che alza lo sguardo e incontra due occhi che brillano, riconosce in essi la stessa luce, che risplendeva nello sguardo di Bianca. -Sono la ragazza di Lorenzo è un piacere conoscerla-
Paolo le tende la mano, sussurrando- il piacere è mio-
Poi si alza, saluta e s’incammina verso casa.
Sono quasi le diciannove, Bianca lo aspetta per la cena, e lui stasera, si accorge di avere un certo appetito.
Serenella Menichetti
Il silenzio interiore, lo scoramento e la visione di una realtà che riteniamo ormai estranea (e a volte offensiva) sono spesso dovuti a shermi soggettivi.
A volte basta solo un ricordo, uno sguardo o una luce di speranza che emana da occhi giovani per riallacciare i fili con la vita. Occorre cogliere questa opportunità, illuminarsi a quella luce e far ritornare la gioia di vivere.
Bella ed emblematica la chiusa: con la speranza ritorna persino l’appetito.
Grazie di riuscire ad entrare così bene all’interno dei miei semplici racconti.
Serenella