A cura di Mario Ughi
Quanti ritenevano inevitabile una collisione distruttiva tra vecchi e nuovi media dovranno ricredersi: internet non ucciderà il cinema così come il cinema non ha ucciso la televisione. La rivoluzione alla quale stiamo assistendo è il risultato della diversificazione e modificazione degli strumenti atti a veicolare i contenuti, nonché della loro evoluzione: computer e cellulari non solo si trasformano in televisione, stereo e telecamera, ma facilitano la distribuzione dei prodotti che con quegli stessi dispositivi si possono creare. In questo modo i contenuti della comunicazione possono essere elaborati e adattati a una sempre più vasta e diversificata condivisione.
Si apre così uno scenario di produzione e fruizione culturale del tutto nuovo, molto spesso osteggiato dalle grandi Major e dai Network broadcast, ma col quale è ormai necessario fare i conti. La trasmissione broadcast (da uno a molti) si aspetta dei consumatori passivi, prevedibili e in qualche modo facili all’indottrinamento, pronti a fruire acriticamente i format dell’intrattenimento decisi dall’alto e dall’alto imposti, spettatori immobili e quasi ipnotizzati di fronte alla scatola che trasmette contenuti sui quali è impossibile intervenire. Oggi invece per il consumatore diventa possibile l’appropriarsi di una canzone, per esempio, e trasformarla utilizzandola come colonna sonora per un video da trasmettere in internet o come file da condividere sul computer. E’ diventato molto facile interagire con immagini, suoni e informazioni, creando nuovi contenuti o utilizzando i vecchi in contesti nuovi. E’ la nascita di una cultura popolare, intesa come proprietà di chi la recepisce, se ne appropria e la reinventa in formule diverse per poi ridistribuirla, una cultura partecipativa, che non risente dell’acceso dibattito tra chi sostiene che tutto si riduce ad un “copia e incolla” e quanti invece affermano che la rielaborazione è alla base della creatività.
Aspetto non irrilevante di queste modalità di fruizione (e produzione) è la possibilità di interagire con persone che coltivano gli stessi interessi, a prescindere dalla collocazione geografica, magari aventi caratteristiche personali di approccio ai media e competenze specifiche, usufruendo quindi di una forma di scambio e confronto e apprendimento reciproco. Si assiste alla formazione di comunità eterogenee che hanno come come motivazione comune la passione per un prodotto televisivo o cinematografico, fino ad arrivare alla creazione di veri e propri “mondi paralleli” caratterizzati da quella che Jenkins definisce intelligenza collettiva distribuita. La fortuna di alcuni reality quali Survivor, versione americana dell’isola dei famosi, si deve in gran parte all’opera delle comunità di fan che alla ricerca di informazioni sul possibile vincitore (Survivor viene registrato per intero prima della messa in onda) ingaggiano un duello con i produttori i quali a loro volta sono ben felici di sfruttare il fenomeno per massimizzare gli ascolti e fidelizzare gli spettatori. Tale atteggiamento aperto verso la condivisione delle informazioni potrebbe rivelare potenzialità interessanti, una volta che giungesse ad esprimersi in campi quali la politica o l’attivismo sociale, e Jenkins interpreta questo fenomeno come un allenamento al pensare collettivamente, abilità che poi consentirebbe peculiari sviluppi alle modalità di partecipazione al vivere sociale.
La formazione di una intelligenza collettiva produce convergenza, ovvero la capacità di utilizzare le varie piattaforme di distribuzione dei contenuti per creare veri e propri mondi da esplorare guidati dai personali gusti e usando il mezzo preferito. Operazione non facile: in alcuni tentativi poco felici può semplicemente ridursi al riprodurre gli stessi contenuti in forme diverse, ma in altri casi, ad esempio nella serie The Matrix, si sviluppa una narrazione articolata attraverso media del tutto diversi come i fumetti, videogiochi, web e film di animazione, in questo modo ampliando e completando la storia narrata in tre film, nei quali i registi (i fratelli Wachowski) inseriscono elementi e indizi che risultano incomprensibili fino a che non giochiamo al video game.
The Matrix è l’intrattenimento per l’era dell’intelligenza collettiva: seguine la narrazione transmediale (storia raccontata su diversi media) richiede uno sforzo maggiore di quello che serve per recarsi al cinema: la distinzione tra autori e lettori, produttori e spettatori, creatori e interpreti si confonde per formare un circuito di espressione in cui ogni partecipante è impegnato a sostenere l’attività degli altri (pag.83).
Le corporazioni dei media stanno pian piano prendendo atto del valore che la partecipazione dei fan aggiunge alle loro produzioni, ma questo non impedisce che, pur parlando di “capitale emozionale”, riferendosi al coinvolgimento del pubblico, da alcuni questa partecipazione sia vista come un’ingerenza e una minaccia. In ballo, naturalmente, c’è il concetto dei diritti d’autore.
Quando una ragazzina americana, Heather Lawver, dopo aver letto un libro di Harry Potter decide di mettere online uno spazio web chiamato “The daily prophet” ( http://www.dprophet.com/) nel quale si racconta il diario di classe dell’immaginaria scuola di Hogwarts, si trova inevitabilmente a scontrarsi con la casa cinematografica Warner Bros, detentrice dei diritti. E con lei, molti altri bambini che in tutto il mondo gestiscono, a proprie spese, siti simili.
La Warner ha giocato le carte che aveva a disposizione: dalle minacce alle azioni legali, con il risultato di assistere ad una levata di scudi globale contro le case cinematografiche tanto ingrate nei confronti dei loro sostenitori. E la Warner, in qualche modo, si è vista costretta a fare marcia indietro.
Questa vicenda e le altre simili, che vedono coinvolti gli appassionati, per esempio, di Star trek e Star wars, oltre a mettere in luce quello che si potrebbe ben definire un nuovo genere letterario, la fan fiction, potrebbe verosimilmente portare a un cambiamento nell’atteggiamento delle imprese mediatiche verso le comunità di fan, a tutto vantaggio dell’emergente cultura grassroots, caratterizzata dall’utilizzo che i consumatori possono fare, spesso in modo non autorizzato, di un flusso di contenuti mediatici.
La cultura convergente è il futuro che sta prendendo forma oggi, un futuro nel quale la partecipazione sarà vista sempre più come un diritto politico fondamentale.
Titolo: Cultura convergente
Autore: Henry Jenkins
Traduttori: Susca V., Papacchioli M., Sala V. B.
Editore: Apogeo
Prezzo: € 22.00
Collana: Apogeo Saggi
Data di Pubblicazione: Settembre 2007
ISBN: 8850326297
ISBN-13: 9788850326297
Pagine: XLVIII-368
Reparto: Politica e società > Società e cultura > Studi sui mezzi di comunicazione di massa
Henry Jenkins è direttore del Comparative Media Studies Program del MIT. Autore e curatore di molti libri sui vari aspetti dei media e della cultura popolare tra cui Fans, Bloggers, and games: Exploring Partecipatory Culture, New York University Press, 2006 e From barbie to Mortal Combact: Gender and Computer Games, MIT Press, 2001, collabora ai mensili Tecnology Review e Computer Games.