A cura di Giuseppe Iannozzi
Nelle mani giuste è schifezza allo stato puro e non un giallo
Copertina roboante, che ci fa credere d’essere in un mare di fiamme, che ci richiama alla mente uno di quei grandi kolossal americani ricchi di esplosioni mozzafiato e null’altro: così si presenta il romanzo di Giancarlo De Cataldo, famoso soprattutto per un libro piuttosto egregio, “Romanzo criminale”. De Cataldo con “Nelle mani giuste” dà alle stampe quello che dovrebbe essere l’ideale seguito del suo lavoro più riuscito, a livello commerciale: recita la bandella gialla allegata a “Nelle mani giuste”, a caratteri cubitali e neri, “Una storia che comincia dove Romanzo criminale finisce”. Non dice il falso: De Cataldo voleva portare avanti quella storia iniziata nelle 600 pagine del suo romanzo più venduto, sperando forse di ritrovare lo stesso pubblico plaudente di sei anni or sono. Non è andata proprio così: “Nelle mani giuste” è un romanzo che conta la metà delle pagine di “Romanzo criminale”, trecentoquaranta pagine circa, fitte di personaggi e di puntini di sospensione. Il linguaggio di Giancarlo De Cataldo è ridotto all’essenziale, quasi più che minimalista: unica nota degna di rilievo, lo slang dei mafiosi, per cui l’autore ha studiato il loro modo di parlare avvalendosi di alcune registrazioni telefoniche d’archivio. Ma non basta questo piccolo sforzo per fare di “Nelle mani giuste” una spy story godibile: i personaggi sono piatti, amorfi, l’autore dà per scontato che chi leggerà il romanzo abbia letto per forza di cose “Romanzo criminale”.
I personaggi sono, il più delle volte, dei semplici nomi che intavolano dialoghi, che scavano nel loro passato per riportarlo nel presente: ma inutilmente. Più l’autore tenta di agganciarsi a “Romanzo criminale” e alla storia in essa, più perde il filo d’Arianna fino al punto di spezzarlo. Vano il tentativo di dar corpo a della fantapolitica: si ha piuttosto l’impressione d’essere capitati dentro al canovaccio d’una qualche soap opera argentina low cost. La storia non avvince, non può riuscirci perché troppe volte tenta di ricollegarsi agli accadimenti che sono in “Romanzo criminale”: soltanto chi ha letto il precedente capitolo, a fatica, riesce a stare dietro alla storia che Giancarlo De Cataldoha continuato negli anni Novanta.
L’autore inizia la “sua” storia partendo dal 1982: in un casolare della campagna casertana, un giovane, Pino Marino, viene tratto in salvo da Stalin Rossetti. Questi decide che il ragazzo è uno che ha fegato e lo arruola. Rossetti è un ex agente dei servizi segreti, uno di quelli che c’erano prima della caduta del Muro di Berlino. Per Stalin Rossetti il ragazzo è un combattente nato. Dieci anni passano in un botto: ci troviamo nel 1992, dieci anni che sono un buco immenso. Al lettore viene solo fatto di capire che Pino Marino è cresciuto ed è stato istruito da Stalin. In maniera assai sbrigativa, De Cataldo fa una piccola lezione di storia al lettore, gli spiega bene o male che la caduta del Muro ha significato qualcosa d’importante per l’Italia e per Cosa nostra; e ancora gli spiega che Falcone e Borsellino sono caduti nell’adempimento del loro dovere. Morta lì. Non c’è altro che il lettore dovrebbe sapere. L’autore preferisce spostare tutta l’attenzione su Nicola Scialoja, che è colui che ha un piede nei segreti di Stato – in cui lavora – e l’altro nella criminalità organizzata. Nicola parla con entrambe le fazioni. Egli fa il lavoro sporco, scende a patti con Cosa nostra, intrallazza, pulisce, seppellisce quando è il caso e tace, e parla ma sempre con fare machiavellico perché diversamente non potrebbe. E c’è Patrizia, la femme fatale, una doppiogiochista: divide il letto con Nicola ma anche con Stalin Rossetti, e questi è bene immanicato con Angelino Lo Mastro, boss siciliano ogni giorno più pericoloso. Un triangolo ferale quanto scontato. Patrizia, per chi non lo sapesse, è una ex prostituta di rara bellezza: gli uomini cadono ai suoi piedi, e anche Camporesi, giovane carabiniere ligio al dovere, non può fare a meno di notare la fimmina. E’ una di quelle che fa sangue a chiunque. Pino Marino, veniamo a sapere che ha già ammazzato e non una volta: è il braccio più fidato di Stalin Rossetti; peccato che Pino sulla sua strada incontri una tossica di cui s’invaghisce e che vuole salvare dalla scimmia. Dopo le mattanze di ‘u zu’ Cosimo, capomafia pazzoide, dopo il trapasso del Vecchio sostituito dall’ormonale Nicola Scialoja, in “Nelle mani giuste” Giancarlo De Cataldo porta a termine una storia confusionaria, slegata, a tratti nevralgica, altre ancora fin troppo melensa, da romanzetto d’appendice. Chi non ha letto “Romanzo criminale” può solo intuire chi è stato il Vecchio e quale il suo ruolo: l’ombra del Vecchio, seppur morto, è sempre presente in “Nelle mani giuste”, il suo fantasma è più vigile che mai, ma del tutto inutile, non riesce infatti a fare da collante tra gli anni Settanta e gli anni Novanta anche se Scialoja ha preso il suo posto e più o meno conosce alcuni segreti. A fare da contorno lobbies, P2, ma anche la pulce nell’orecchio che c’è forse stata una P1, e in futuro, o già nel presente, forse una P3, una P4… e poi finanzieri sull’orlo d’una crisi di nervi in una Milano ritratta come fosse la Palermo del Nord Italia. E ancora giornalisti che si riciclano senza problemi, secondo le convenienze del momento, che sono sia di Destra che di Sinistra, ed ex senatori del PCI, mentre sullo sfondo il crollo della Democrazia Cristiana e l’agile lunga mano di Giulio Andreotti.
Giancarlo De Cataldo dà sfogo a un ritratto low cost, canovaccio di quella che nell’essenza è solo una soap opera, una metafora fantapolitica sfilacciata e slegata, dove i buchi storici sono stati coperti e riempiti da tante microstorie di impossibili relazioni amorose e triangoli fatali.
Non c’è appello per questo lavoro di Giancarlo De Cataldo: tra i più brutti degli ultimi dieci anni. L’autore ci ha tentato a raccontarci Cosa nostra. Ci ha tentato, e ha fallito sia sul piano stilistico che su quello del costrutto narrativo. Dimenticate “Nelle mani giuste”, ma non dimenticate che Cosa nostra esiste: “Cosa di noi. I ragazzi di sala Paradiso” di Vito Zingales, questo sì che è un romanzo. Vito Zingales indaga nella violenza che ammorba le strade: lo stile, a volte iperbolico, è una necessità per evidenziare che qualche cosa di grosso sta accadendo, anche se all’occhio non allenato, sprovveduto, potrebbe sembrare inezia. Niente accade per caso e anche i fatterelli da poco sono sintomo che qualcosa di grande si sta preparando, o che qualcosa è già accaduto; ed è così che quella che poteva sembrare una inezia, un fatterello, è invece puleggia d’un ingranaggio mostruoso, che non concede pietà a nessuno, né allo Stato, né al mafioso, né al povero cristiano. Il linguaggio spinto, volutamente maccheronico, adotta registri popolari non dimenticando però di passare dal più sofisticato Leonardo Sciascia al più tradizionale Andrea Camilleri. I personaggi sono macchiette, ridicoli fino all’estremo, ma nella ridicolaggine c’è tutta la loro forza espressiva: il malavitoso, Don Giacomo Galanti, così come Sebastiano Vinci, ispettore di polizia, sono vittime dei tempi, del passato, della tradizione che li vede impegnati in una caccia all’uomo, a confrontasi l’uno di fronte all’altro, perché entrambi hanno un conto in sospeso e in comune da risolvere, da lavare col sangue, con la sconfitta o la vittoria. Vito Benicio Zingales, palermitano, nato nel 1963, svolge attività di criminologo presso la Prefettura di Palermo in qualità di Coordinatore didattico di Criminologia (Zingales è anche collaboratore del Professore Gianvittorio Pisapia), dopo “Là, oltre i campi di Sfaax” (2002), ha dato alle stampe “Cosa di noi. I ragazzi di sala Paradiso”, un romanzo attualissimo, che colpisce duro, un pugno dritto alla bocca dello stomaco, che fa star male, perché impossibile è non riconoscere le ragioni di una terra, la Sicilia, e della sua gente. Un romanzo coraggioso, come pochi, da leggere assolutamente.
“Nelle mani giuste” di Giancarlo De Cataldo è molto più semplicemente il canovaccio per una soap opera low cost, incapace di arrivare al punto o quantomeno di avvicinarsi a Cosa nostra per dirne in maniera credibile. Un fallimento madornale. Una schifezza allo stato puro e non un giallo fantapolitico.
Titolo: Nelle mani giuste
Autore: Giancarlo De Cataldo
Editore: Einaudi
Prezzo: € 12.00
Collana: Super ET
Data di Pubblicazione: Maggio 2010
ISBN: 8806202774
ISBN-13: 9788806202774
Pagine: 340
Reparto: Gialli