Franz Krauspenhaar – Era mio padre


A cura di Giuseppe Iannozzi

Una Liala neonazista coi pantaloni
Franz Krauspenhaar, dopo il mezzo flop ottenuto con “Cattivo sangue” edito da Baldini Castoldi Dalai, noir che io ho comunque apprezzato in quanto noir e non altro, torna in libreria con “Era mio padre” per i tipi Fazi. E’ però, purtroppo, solo autobiografismo spicciolo per un diario. Un romanzetto lialesco, che di storico accoglie solo fragili briciole sconnesse, senza un evidente legame con il costrutto narrativo. Una vera e propria pletora poi le riflessioni dell’autore su sé stesso, perlopiù utili solo a Franz ma poco o nulla agli eventuali lettori.
Il pregio di questo lavoro, ma anche il difetto più evidente, è il solipsismo che Franz Krauspenhaar mette in campo, senza vergogna alcuna: se solo l’autore non fosse un quasi cinquantenne, lo si potrebbe etichettare giovanilistico in ogni senso questo romanzetto. E forse, furbescamente, Krauspenhaar fa il giovane – pur consapevole della vecchiaia incipiente che non gli lascia speranze -, strizzando l’occhio a stereotipi lialeschi portando in libreria una storia scritta in un linguaggio fin troppo semplice, che sembra sposare le idee di una sinistra idealistica critica verso sé stessa, e non da ultimo una verbosità sensazionalistica riesumata a forza dai cadaveri della Beat Generation. Nel libro troviamo difatti la ribellione, la ricerca di sé stessi, proclami di indipendenza di amore e di odio urlati in una forma che, alla lontana, ricorda la genuina rabbia di Allen Ginsberg e quella più lisergica di William S. Burroughs. Tuttavia la verità è che siamo di fronte al diario di un signore di quasi cinquanta anni, troppo attento ai suoi drammi interiori (mai risolti!) e attento agli accadimenti storici per un mero incidente di percorso narrativo. Krauspenhaar non è Kerouac, non ha la forza espressiva della leggenda di Duluoz ed è impensabile paragonarlo a un Céline alle prime armi nonostante i tanti e frettolosi puntini di sospensione sparati a raffica.
In “Era mio padre” di Franz Krauspenhaar non c’è traccia della ribellione anarcoide che è invece evidente in un autore maturo e fuori dalle etichette sociali e politiche come Michel Houellebecq, giustamente definito dalla critica mondiale il nuovo Céline, né c’è la spericolatezza di linguaggio di Beppe Fenoglio o la bellezza adamantina di Pavese, c’è invece l’espressione di una superficialità tipica di un Federico Moccia. Attenzione però: Krauspenhaar non parla di lucchetti e di amori scolastici fra diciassettenni e quasi quarantenni in carriera, no, questo per fortuna ce lo risparmia; tuttavia l’autore dichiara “questo libro è un salvataggio estremo”, “io qui sperimento me stesso”, ed è proprio quello che fa Moccia, pur rifacendosi a ossessioni ninfali. Kraupenhaar non ci parla di ragazzine minorenni, ci parla dell’ossessione di sé stesso e basta, ci conduce sulla strada della noia più semplice e pura esprimendo il desiderio di voler essere il padre di suo padre, di quell’uomo che conobbe gli orrori del nazismo, mentre lui Franz (scimmiottando un po’ Charles Bukowski) ammette che anche lui ha avuto simpatie per il nazismo in età giovanile.
Il libro “Era mio padre” scritto da Franz Krauspenhaar è una schifezza totale, senza ritegno alcuno; un romanzetto infarcito di volgarità sparate a tutto spiano, nonché da una masochistica voglia di piangersi addosso sempre urlando però. L’autore rivela soltanto l’incapacità di dar corpo a una narrazione che abbia una qualsivoglia parvenza di comprensibilità: manca la trama, mancano i personaggi. In verità manca tutto in questa pletora di parole condita da una marea di inutili puntini di sospensione; manca tutto tranne Krauspenhaar e suo padre, che invece d’incontrarsi – o anche solo di sfiorarsi per un attimo – idealmente per un dialogo, danno sempre e solo voce al loro egotismo al pari di primedonne mancate.
Non bastano davvero due voce isolate per poter dichiarare d’aver scritto un romanzo. Purtroppo “Era mio padre” di Franz Krauspenhaar può forse solo ambire ad essere etichettato come diario personale o, per un eccesso di critica generosità, lialesco, giovanilistico à la Federico Moccia, pur non accogliendo la romantica spontaneità narrativa della generazione tre metri sopra il cielo.
In realtà non siamo di fronte a un libro: chi oggi dovesse leggere “Era mio padre”, purtroppo si troverà a dover fare i conti con un diario molto personale, scritto male e con eccessi di gratuita volgarità per giunta. Ottimo esempio di non-scrittura questo “Era mio padre”, che ci viene da un quasi cinquantenne incapace di risolvere le proprie contraddizioni interiori per far finalmente posto all’anima o al suo surrogato.
In definitiva, ci vuole tanto ma tanto pelo sullo stomaco per riuscire ad arrivare alla fine di questo diario senza capo né coda; bisogna essere disposti ad affrontare ore di noia; e non da ultimo bisogna essere in una disposizione d’animo gentile sin dall’inizio nei confronti dell’autore, perché una volta giunti all’ultima pagina la tentazione forte è quella di scagliarglielo addosso il libro, in piena faccia.
A voi la scelta se leggere Krauspenhaar o un qualsiasi titolo di Liala o Moccia.

Giuseppe Iannozzi

Titolo: Era mio padre
Autore: Franz Krauspenhaar
Editore: Fazi
Collana: Le vele
Prezzo: € 16.50
Data di Pubblicazione: Aprile 2008
ISBN: 8881129124
ISBN-13: 9788881129126
Pagine: 281
Reparto: Narrativa > Narrativa contemporanea

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