Dove potevi andare
se le ceneri di una tua frazione di DNA
si rimescolavano nella pioggia
con quelle degli altri
macerate sul marciapiede in un guazzabuglio
paludoso e le identità giacevano
in carte abbandonate, scolorite, gualcite?
Studiavi tutti quei nomi senza futuro
nei frammenti sopravvissuti, inconsulti,
sapendo di avere perduto il tempo
in un’attesa vana e ostinata,
sconfortata, scorticata.
Non vi sarebbero state dilazioni,
neppure nella biblioteca dei propri pensieri
(e geroglifici d’oro lampeggiavano
incisi sulle neuronali tavole in trasparenza).
Non rimaneva che chiedere
del terminal più prossimo: ti risposero
-chi aveva compiuto il viaggio
nell’oscurità immobile,
le braccia incrociate sul petto-
che la speranza è un gioco a perdere,
che il virus dell’immortalità colpisce
nell’ignoto, senza alcuna consapevolezza
da parte nostra, casuali molecole.
Ti rispondevano che l’umanità era già separata
in sé e questo era ineluttabile.
La luce s’irradiava sulla città
da nubi che navigavano
in molteplici sfumature e opposte direzioni,
attraversava le vetrate dividendosi
in silenzi colmi di ricordi
(che cosa sono? sogni mutanti?):
provavi ad afferrare i raggi senza corpo
e fluivano come sabbia fluorescente
fra le dita ossute mentre il vento trascinava
in un ultimo loop di vertigine
lontano, lontano, parole d’amore.
San Giacomo Filippo, lunedì 19 agosto 2024-ore 8,16
Alberto Figliolia