DocuFilm: DeAndré Storia di un impiegato 1


Un viaggio nella mente e nel cuore di un genio musicale (e poetico). La storia di un rapporto padre-figlio oltremodo complesso, con gli inevitabili alti e bassi (o picchi e abissi): ora faticoso fardello ora potente spinta emozionale e intellettuale. Il racconto di anni cruciali per il Paese fra politica e sociale, e pulsioni, ideali, belle illusioni e amare disillusioni. Deandré#De André Storia di un impiegato è un docufilm bellissimo, profondo, sovente molto toccante, fra nostalgia e impegno, ricordi, desideri e creatività, un’indagine sui motivi dell’ispirazione, sulle ragioni dell’arte, sulla ribellione all’ingiustizia attraverso gli strumenti forniti dalla cultura e dalla voglia/volontà di mutare in meglio il corso del mondo.
Già evento speciale fuori concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, la pellicola, prodotta da Intersuoni, Nuvole Production e Nexo Digital, sarà nei cinema italiani solo il 25, 26 e 27 ottobre. Ad accompagnarci lungo tutto il suo svolgimento è il figlio di Faber, Cristiano De André, musicista a sua volta, con un proprio registro sonoro, ed eccezionale polistrumentista, “capace di far suonare anche le noci”. Magnifica peraltro la regia di Roberta Lena, autrice anche del soggetto, magistrale nel mixare documenti visivi di quegli anni ruggenti, fra i Sessanta e i Settanta in particolare, carichi di aspettative nonostante lo spettro delle devianze da strategia della tensione – al potere oscuro si opponeva un “contropotere” intellettuale e popolare potente – e inserzioni artistiche di vario genere, scene di concerto con Cristiano, interviste (anche a Dori Ghezzi) e i paesaggi sardi, che assumono la vera e propria valenza di paesaggi dell’anima.
La somiglianza fra Cristiano e Fabrizio è incredibile, non solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello della parola e del suo uso sapiente, immaginifico, evocatore, tanto più con l’alato destriero della musica. La musica, sì, la musica di De André & De André… che conduce a mondi lontani e fascinosi e pure interpreta la realtà come meglio non si potrebbe, fra dramma e gioia, tragedia e speranza. Il sano e pacifico anarchismo di Fabrizio – pedinato e schedato allora dai servizi segreti – era un meraviglioso sentiero di pace e armonia, le canzoni un viatico che donava istanti felici, istanti di immortalità.
“Un nuovo tributo a Fabrizio De André. L’omaggio musicale e personale di un figlio all’eredità artistica umana e politica di un grande poeta, testimonianza di un rapporto d’amore profondo. Cristiano De André ha riproposto al pubblico italiano, in un Tour durato due anni, il concept album “Storia di un impiegato”, capolavoro quanto mai attuale di De André, scritto nel 1973 con Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani. Il film, di Roberta Lena, è un percorso musicale e visivo attraverso quei concerti dal vivo, repertori di lotte sociali, memorie storiche, familiari e filmati inediti. Un intreccio di storie dove aspirazioni e aneliti di libertà dell’impiegato, convivono con quelli della vita personale e musicale di Cristiano in un discorso sul nostro contemporaneo. La Sardegna più che uno sfondo è luogo del cuore dove emergono i ricordi del passato e le voci del presente. Una sorta di biografia, attraverso il rapporto speciale tra padre e figlio, del loro comune sentire fino ad arrivare a un riconoscimento simbiotico.”
La parola alla regista: “Quando nel 2018 mi è stata affidata la regia dell’opera rock ‘Storia di un impiegato’ mi sono resa conto della potenza e della contemporaneità delle parole contenute nell’album. La storia è una metafora della società di allora ma che sembra un monito al rimanere umani, valido e necessario ancora nella nostra epoca. Nelle gesta dell’impiegato ho ritrovato la parabola di una generazione e un monito per quelle future in un destino umano che si ripete; la violenza come arma inutile e goffa e la necessità ancora oggi di invocare una giustizia sociale in nome di quell’umanità di cui spesso ci riempiamo la bocca qui declinata in parole sapienti, utili a focalizzare concetti di cui riappropriarci. Nella parabola narrativa del personaggio principale, che ho spesso mescolato metaforicamente alla vita di Cristiano, sono compresi conflitti e risoluzioni del carattere umano in cui tutti possiamo riconoscerci. La contemporaneità degli eventi storici in corso durante la messa in scena mi confermava inoltre l’estrema urgenza di riproporre in forma visiva anche per un pubblico cinematografico le parole del grande poeta. Cristiano De André è l’erede di questo patrimonio e in questo passaggio di testimone, uno dei temi principali del docufilm, è insito quel rapporto padre/figlio in cui ognuno può specchiarsi. In una narrazione cinematografica potevo mostrare inoltre cosa significa essere figli di un genio, una domanda che stimola la curiosità dei fans ma non solo. Nel racconto stesso di ‘Storia di un impiegato’ già si celano le interazioni tra la vita privata del nostro protagonista (Cristiano) e la sua famiglia (“La canzone del padre”), il tutto inserito in un discorso sociale più ampio (“La mia ora di libertà”).”
Storia di un impiegato è un concept album estremamente elaborato, che esplora e sviscera temi complessi, tuttora attuali: la nera spirale del potere, l’assimilazione e la dissoluzione del sé, il controllo delle persone e il condizionamento/distorsione del pensiero, il banale che diviene orrore, la cattura del consenso e la non tanto sotterranea opera di repressione, la scelta e l’utilizzo dissennato della violenza, il grottesco insito nel convulso tragico quotidiano e istituzionale, l’autodistruzione, infine la presa di coscienza per cui dall’io si passa al noi.
“Fabrizio De Andrè è stato un artista di grande coerenza, coerenza che ha mantenuto per tutta la vita e che si riflette nelle sue opere sempre attuali. Il suo gesto artistico coincideva con quello politico. Era convinto che gli scrittori, i poeti, i cantautori dovessero essere un anticorpo degli aspetti negativi della società. Cosa direbbe del mondo che stiamo vivendo, e dei movimenti di oggi? Per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti.” Un memento fondamentale per ciascuno di noi, perché in ciascuno di noi vive l’Utopia realizzabile di un pianeta diverso: “… e poi ad un tratto l’amore scoppiò dappertutto”.
“… memoria e futuro. Suoni che diventano tappe nel viaggio di un rapporto complicato tra padre e figlio attraverso ricordi, immagini e luoghi di famiglia. Le gioie, le assenze, la durezza e pignoleria quasi autolesionista del padre verso le proprie creazioni, che inevitabilmente ha condizionato tutti, la fatica di Cristiano a trovare una sua identità nonostante la natura gli abbia fornito gli stessi strumenti vocali e la stessa necessità di musica, fino all’accettazione di sé al punto di poter oggi far rifiorire quel bagaglio tanto necessario all’umanità facendolo suo senza più conflittualità ma come missione.”
Dal docufilm trapela bellezza, una bellezza sognante, così tanta da avvolgerci e dolcemente penetrarci.

Alberto Figliolia

 

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