La bambina malata morrà…
L’espressione è languida nell’attesa,
la madre al capezzale china il capo.
La bambina malata sorride debolmente
alla genitrice disperata;
lei non teme lingue di fuoco a lambirla
né nubi di piombo nelle fibre
e, limpida e cosciente,
lenisce le impotenti pene
facendo coraggio a chi ha la sanità;
lei non crede che il destino sia il più feroce,
il più crudele o il più truce degli scherzi:
i suoi anni, pochi, sono stati enciclopedia
di dolore, contro la vanità, contro la vacuità.
Una lacrima le bagna il viso: ha il sapore
dell’oceano che fra non molto navigherà
per approdare a isole orlate di rocce
screziate e bordate di cipressi parlanti.
Raccoglie una lacrima su un dito
e la consegna alla madre.
Poi, chiude gli occhi…
Alberto Figliolia (da Diapositive d’immortalità, 2007, Albalibri)
La natura non è solo tutto ciò che è visibile agli occhi: racchiude anche le immagini interiori dell’anima, le immagini impresse oltre la nostra retina.
Nulla è piccolo, nulla è grande, dentro di noi custodiamo mondi infiniti. Il piccolo è parte del grande, cosi come il grande del piccolo. In una goccia di sangue vi è un intero mondo con il suo sole e i suoi pianeti. Il mare non è che una goccia d’acqua scaturita da una piccola parte del nostro corpo. Dio è in noi e noi siamo in Dio. La luce primordiale è ovunque e illumina dovunque ci sia vita. Tutto è movimento e luce…
Non solo il pittore dell’angoscia che travolge le fragili barriere opposte dalla propria identità, che talora si percepisce come non identità, lasciando soli e disperati. Edvard Munch (Løten, 12 dicembre 1863-Oslo, 23 gennaio 1944) è un visionario. Non solo una devastante, rovinosa e insopprimibile ansia esistenziale, ma anche un afflato cosmico. Un’eterna lotta fra l’abbandono e la deriva da un lato e un formidabile spirito vitalistico dall’altra parte. Certo esprimersi con quest’ultimo concetto riguardo all’artefice de L’Urlo (Skrik) può parere alquanto azzardato, ma trascorrendo per le sale della mostra dedicata a Munch dal Palazzo Reale di Milano si possono cogliere le innumerevoli sfaccettature dell’artista norvegese, intellettuale raffinato, complesso, a tutto tondo e imprevedibile.
L’esposizione milanese è ricca a tal punto che vi si potrebbero passare dentro ore e ore perdendosi in un itinerario oltremodo suggestivo: un tuffo nei colori accesi, inspiegabili e, nel contempo, tanto dolorosamente diretti del pittore norvegese; un’immersione, forse anche “violenta” e traumatica ma catartica, nel proprio inestricabile, talvolta inesplicabile, interno. Ovviamente non manca il sopraccitato Urlo in versione litografica (1895). Poiché la versatilità di Munch era superba e sorprendente, come ben confermato dalla splendida Madonna (1895/1902, litografia stampata a colori), inquietante e, al tempo stesso, dolcissima, sensuale e smarrita nei meandri della passione/Passione. Blasfema? No, semplicemente totalizzante e totalmente commovente. Invero tale opera ha un titolo alternativo, vale a dire Donna che fa l’amore: “Con la sua aureola e il nimbo vorticoso questa immagine costituisce l’epico connubio di dottrina cristiana, sessualità e biologia”. Commentò in merito un amico di Munch, Franz Servaes, scrittore tedesco: “La donna, sull’orlo della più sacra delle consumazioni, raggiunge un momento di bellezza celestiale. La testa è gettata all’indietro in uno stato di estasi passionale, illuminata da un raggio di luce, mentre i capelli sciolti le cadono intorno in morbide onde. E il suo amante, graziato da una simile vista, è come se si trovasse davanti a una visione della Madonna”. Si diceva, per l’appunto, della complessità di Munch, per interpretazioni non sempre univoche della sua ispirazione, così come è arduo collocare l’artista nell’ambito di un movimento o corrente: simbolista e antesignano dell’Espressionismo e anche del Futurismo, in realtà provvisto di una unicità non imitabile (molto gli devono anche i fumettisti del contemporaneo).
Non facile fu la sua vita, presto sconvolta dalla precoce morte della madre e di una sorella, quindi da quella del padre, uomo di rigida religiosità – Edvard non riusci mai a liberarsi del tutto di un latente/conclamato senso di colpa (vedi il dipinto Autoritratto all’inferno, 1903, olio su tela), germe, nonostante il proprio spirito d’indipendenza, i sentimenti di trasgressione eversiva e il senso di libertarietà, depositatogli nel profondo dal modello paterno… Morte e malattia quindi fanno spesso e volentieri la loro comparsa nei lavori di Munch: attingendo da episodi reali o in un’apparente spietata trasfigurazione: La morte di Marat (1907, olio su tela), la stessa Malinconia (1900-1901, olio su tela), in cui traspare tutto il vuoto mentale, l’abisso e l’oblio della coscienza, Lotta contro la morte (1915, olio su cartone), una soggettiva allucinatoria, La bambina malata (1894, puntasecca), La morte e la primavera (1893, olio su tela), dove si fa largo tuttavia l’idea che con la decomposizione e la distruzione del simulacro corporale si inneschi il ciclo della rigenerazione. E l’amore? L’amore… Il tormentoso rapporto amoroso con Tulla Larsen, che gli sparò ferendolo a una mano (e fine della tossica relazione), segnò un’altra tappa, una dolorosa cesura nei giorni di Edvard. I vari accidenti “e l’alcolismo – vivendo la vita “sull’orlo di un precipizio” – lo portarono a un crollo psicologico per il quale cercò di recuperare in una clinica privata tra il 1908 e il 1909”.
La mostra si suddivide in sei sezioni: Allenare l’occhio (“La formazione artistica di carattere accademico che riceve in gioventù si trasforma presto in tecniche inventive capaci di esprimere i ricordi e le emozioni che sfuggono all’occhio umano. Dopo una breve parentesi quale studente di ingegneria e poi di disegno accademico nel 1880, l’artista viene rapidamente catturato dalla sfera d’influenza di Christian Krohg, autore e pittore dai toni politici e radicali, nonché di un gruppo artistico e letterario (il Kristiania Bohème) che, secondo lo stesso Munch, contribuisce a “far maturare” le sue idee in materia di predominanza dell’esperienza interiore sulla realtà materiale); Fantasmi (“Se le raffigurazioni sentimentali della malattia erano popolari nei paesi nordici, le immagini di Munch sono, di contro, cariche dell’agonia che si prova nel guardare qualcuno morire, e della lotta con la morte che immagina i malati debbano affrontare. Le sue rappresentazioni di allucinazioni, ombre allungate dietro alle figure e rivoli di pittura che evocano l’immagine di corpi che si dissolvono, vogliono suggerire il modo in cui i pazienti fanno esperienza del mondo”); Quando i corpi si incontrano e si separano (“In un’epoca di promiscuità tanto pubblica quanto privata, la determinazione di Munch a rendere visibile quella che lui definisce la “grandiosità della sessualità” è avanguardistica e controversa […] Negli anni ’90 del XIX secolo Munch comincia a organizzare le sue immagini di desiderio erotico, risveglio sessuale e desolazione in una serie chiamata Amore che sviluppa nel corso dei decenni successivi e trasforma nella serie intitolata Il Fregio della vita, che per lui simboleggia un ciclo essenziale della vita umana”); Munch in Italia (il primo viaggio nel 1899, foriero di stimoli nello studio di Michelangelo e Raffaello: Penso alla Cappella Sistina… Trovo che sia la stanza più bella al mondo); L’universo invisibile (La terra è un gigantesco atomo vivente… Ha pensieri e una volontà; le nuvole sono il suo respiro, i temporali i suoi sbuffi profondi, la lava rovente il suo sangue brillante. Perché, allora, non dovrebbe anche il Sole avere una volontà, grazie a cui irradia la luce di cui è ricco in tutto lo spazio? Tutto ha vita e volontà e movimento, le rocce e i cristalli quanto i pianeti o anche… il fuoco della vita può essere trovato persino nella pietra); Di fronte allo specchio (Autoritratto) (“Munch è stato un prolifico creatore di autoritratti, proprio come Rembrandt e Picasso. Questo tipo di soggetto offre al pittore il modo di esplorare l’espressione, la postura, i piani di luce e ombra e altre caratteristiche del soggetto umano grazie ad un modello sempre disponibile e a basso costo: sé stesso”); L’eredità di Munch (“In tutta la sua carriera Munch è stato un grande sperimentatore, che ha saputo intrecciare numerose forme di creatività: dalla pittura classica al cinema, dall’incisione alla fotografia, la sua ricerca ha mantenuto una straordinaria coerenza ed un potere evocativo ancora oggi estremamente contemporaneo. In mostra sono raccolti alcuni suoi capolavori che permettono di rileggere attraverso precise scelte compositive il suo immaginario disturbante, inquieto, eppure seducente. Sono paesaggi accomunati dalla sua personale e innovativa costruzione dello spazio, risolta attraverso la progettazione di una prospettiva irregolare, definita spesso da un elemento architettonico che proietta il nostro sguardo con decisione all’interno del quadro”).
Migliaia furono le opere, fra stampe e dipinti, realizzate da Munch nella sua ottantennale esistenza e innumerevoli pagine scritte furono da lui lasciate. “Questa mostra ruota attorno al ‘grido interiore’ di Munch, al suo saper costruire, attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, lo scenario per condividere le sue esperienze emotive e sensoriali: un processo creativo che sintetizza ciò che l’artista ha osservato, quello che ricorda e quanto ha caricato di emozioni. Altre opere, invece, cercano di immortalare le forze invisibili che animano e tengono insieme l’universo”.
Notte stellata (1922-24, olio su tela), Le ragazze sul ponte (1927, olio su tela), il dolente Autoritratto tra il letto e l’orologio (1940-43, olio su tela), dove il brulichio del tempo muta in assenza, il “vampiresco” Bacio (1897, olio su tela), L’artista e la sua modella (1919-21, olio su tela), Visione (1892, olio su tela), L’assassinio (1906, olio su tela), Autoritratto a Bergen (1916, olio su tela), Autoritratto davanti al muro di casa (1926, olio su tela), l’Autoritratto su sfondo verde / Tulla Larsen (1905, olio su tela), quadro diviso in due, geniale scelta per definire una non risolvibile frattura sentimentale/esistenziale, emblema di tristezza senza possibilità di conforto, sofferenza e separazione senza rimedio.
Eppure, eppure… Il sole (1910, olio su tela), fra potenza fisica e astrazione simbolica, Verso la luce (1914, litografia stampata a colori), con il suo incontenibile slancio verso una dimensione aperta all’infinito, e Il falciatore (1917, olio su tela), con la connessione delle energie e l’intreccio delle pulsazioni che compongono il pianeta, vibrazioni in armonia, raccontano di un Munch non propenso a statiche corse in oscure gallerie solipsistiche, al rinchiudersi nelle gabbie della incomprensione/prosopopea egoistico-narcisistica, bensì intento a cercare e creare feconde relazioni, una proiezione verso il futuro, soprattutto verso l’altro. Anche questa una lezione o, meglio, un lascito.
Sto conducendo uno studio sull’anima, giacché posso osservarmi da vicino e usare me stesso come esperimento vivente per il mio studio. Proprio come Leonardo da Vinci ha indagato l’anatomia umana sezionando cadaveri così io cerco di sezionare anime.
Con la mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo significato, ma anche di aiutare gli altri a comprendere la propria vita.
Alberto Figliolia
Munch. Il grido interiore, a cura di Patricia G. Berman in collaborazione con Costantino D’Orazio per il supporto nella redazione dei testi di approfondimento in mostra. Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano, Fino al 26 gennaio 2025. Mostra promossa da Comune di Milano – Cultura, con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo.
Info e prenotazioni: tel. 028929921; siti Internet www.palazzorealemilano.it e www.arthemisia.it.
Orari apertura: lun chiuso; mar, mer, ven, sab e dom 10-19,30; gio 10-22,30.