A cura di Gordiano Lupi
L’ira dei corvi di Ivan Zuccon
Ivan Zuccon è uno dei nostri migliori registi di genere, un autore duro e puro, uno che non accetta compromessi con la grande distribuzione, ma porta avanti un ben preciso discorso horror sin dalle incerte suggestioni lovecraftiane de L’altrove (2000), Maelstrom (2001) e La casa sfuggita (2003), raggiungendo vette claustrofobiche in Bad Brains (2005), NyMpha (2006) e firmando il suo capolavoro con Colour from the dark (2009). Wrath of the Crows impiega ben quattro anni per uscire ma un eccellente risultato tecnico ripaga la lunga attesa.
Vediamo in sintesi la trama. I detenuti di una sgradevole prigione costruita in un seminterrato, popolato da topi e corvi, devono sottostare alle torture perpetrate dal capo delle guardie e dai suoi aguzzini. Tutto è disposto da un temuto giudice, che nessuno ha mai visto, ma che impone le leggi da rispettare. I prigionieri sanno quali sono le regole da seguire, ma non ricordano nulla delle loro vite, a parte il male che hanno fatto. A un certo punto compare dal niente un nuova prigioniera: Principessa. Si tratta di una bellissima donna, coperta soltanto da una pelliccia di piume di corvo, ma presto capiremo che non è una semplice detenuta.
Il film di Zuccon è un prison-movie che strizza l’occhio al nazi-porno anni Settanta e al moderno torture-porn. Molti i registi italiani che come sempre Zuccon cita con dovizia di riferimenti: Lucio Fulci (gli occhi estirpati), ma persino Luis Buñuel, Joe D’Amato (il pasto cannibale in ginocchio, dopo aver estratto le viscere), Luigi Batzella (La bestia in calore, 1977), persino Ruggero Deodato per gli eccessi cannibali. Il regista più citato da Zuccon è Bruno Mattei, che ricordiamo per molti women in prison contaminati dal nazi-porno come K.Z 9 lager di sterminio (1977), Violenza in un carcere femminile (1982), Blade violent – I violenti, (1983) e, a sottogenere morto e sepolto, il nostalgico Anime perse (2006). Pellicole come Hostel (2006) di Eli Roth e Saw (2004) di James Wan sono alla base di un film simile, ma anche la saga de Il silenzio degli innocenti, che ha avuto la sua consacrazione nel 2001 con Hannibal di Ridley Scott. Per non parlare del claustrofobico ed ecccessivo The Torturer (2005) di Lamberto Bava, che è figlio di simili ispirazioni d’oltreoceano. Nonostante tutto Ivan Zuccon conserva una sua ben precisa originalità, perché non si limita a filmare un campionario di eccessi splatter e gore a base di carmi sbranate, giugulari penetrate, gole sgozzate, occhi scavati, corpi maciullati e ridotti in poltiglia da violenti cazzotti. La sua cifra stilistica di matrice lovecraftiana sta nell’improvvisa e impensabile svolta soprannaturale, quando compare la figura del giudice supremo e ci rendiamo conto che Principessa è una strega al suo servizio. Peccato che un simile film in Italia uscirà (forse) soltanto a fine 2014, grazie a Distribuzione Indipendente, mentre negli Stati Uniti è sbarcato addirittura a Hollywood, dove il nostro Zuccon ha presentato il film nella capitale mondiale del cinema.
Gli attori sono diretti molto bene e si muovono nelle catacombe di uno squallido braccio della morte che fa pensare all’ambientazione claustrofobica di Bad Brains. Ricordiamo molti attori dei b-movies statunitensi come Debbie Rochon, attrice della casa produttiva Troma, vista in Terror firmer e Poultrygeist – Night of the chicken dead, protagonista del precedente lavoro di Zuccon, Colour from the dark, ma anche Domiziano Arcangeli (Nella terra dei cannibali, 2003), Suzi Lorraine, Tara Cardinal (Zombie massacre, 2013), Tiffany Shepis, già vista in NyMpha (2007). Tiffany Shepis è la protagonista più inquietante, piuttosto svestita, molto sexy, avvolta in un mantello di piume di corvo, rappresenta il male, l’enigmatica strega al servizio del giudice, la dispensatrice di orribili punizioni per i prigionieri che attendono il loro destino.
Ivan Zuccon punta molto sugli effettacci gore e splatter ma non rinuncia alla sceneggiatura e alla complessità di un’opera che si fa suggestiva e terrificante ogni volta che un condannato rivede come in un incubo la sua orribile colpa. Lo smilzo ricorda di aver fatto abortire a cazzotti la sua donna, legata alla sedia di un tavolo, e di averla divorata con morsi efferati inferti dai suoi denti aguzzi. Per questo subisce torture di ogni tipo e viene inseguito nel parco da una sorta di uomo – cane liberato dagli aguzzini, che lo bracca e infine lo sbrana. Una donna ammazzava i suoi bambini ed è tormentata dal loro ricordo. Una lanciatrice di coltelli del circo ha massacrato una collega tormentata dal dubbio che la tradisse con il marito. Uno storpio che serve una sbobba maleodorante in galera ha la sua pena da scontare per essere stato un estirpatore di bulbi oculari. Un uomo uccideva i preti e i religiosi che si comportavano come santi perché il mondo non li meritava. Un altro turpe individuo viveva come drogato dal destino di dover uccidere donne che massacrava con dolce voluttà. Gli ospiti della cupa prigione sono tutte persone che meritano la fine orribile che stanno facendo, in una sorta di purgatorio costruito a immagine e somiglianza dei loro peccati. Ottimo il personaggio di Charlie, custode della anime perdute, catturate da un strega che viene dal passato, da un mondo che l’ha condannata a vivere in eterno come una dannata.
Il film è quasi completamente girato in interni umidi e maleodoranti. La musica è sepolcrale, cupa e ossessiva. I movimenti di macchina nervosi. Il regista cura in prima persona montaggio e fotografia per conferire il suo tocco d’autore alla pellicola. Il montaggio è rapido, tra dissolvenze, flashback e ricordi d’un triste passato. La fotografia è molto curata, scura e tendente al verde. L’atmosfera angosciante e claustrofobica. Il sadismo la fa da padrone e ogni prigioniero viene punito secondo una dantesca pena del contrappasso. La sceneggiatura non è ispirata a una storia di Lovecraft, ma le atmosfere sono quelle del solitario di Providence; manca l’aiuto del valido collaboratore Ivo Gazzarrini, ma Gerardo Di Filippo è altrettanto bravo a sceneggiare un’idea originale del regista.
Il film non annoia, anche se spesso le violenze e gli eccessi gore sono ripetitivi e l’unita di luogo e di tempo in cui si svolge l’azione non giova alla dinamica degli eventi. Il regista è bravo ad alternare passato e presente, incubi e tempo reale, conferisce un taglio spettacolare alla vicenda e la svolta soprannaturale dà un senso a quel che abbiamo visto durante la prima parte.
Ivan Zuccon meriterebbe maggior attenzione in un paese che ancora distribuisce lo stanco cinema di Dario Argento, un grande del passato che non ha più niente da dire, e non è capace di valorizzare i nuovi ispirati talenti.
Regia: Ivan Zuccon. Soggetto: Ivan Zuccon. Sceneggiatura: Ivan Zuccon, Gerardo Di Filippo. Montaggio: Ivan Zuccon. Fotografia: Ivan Zuccon. Effetti Speciali: Crea FX, Luca Auletta. Suono: Antonio Masiero. Costumi: Donatella Ravagnani. Produttori: Zack Ewans, Roberta Marrelli, Ivan Zuccon, Valerio Zuccon. Produzione: Studio Interzona, Zack Ewans Production. . Distribuzione: Distribuzione Indipendente. Genere: Horror fantastico. Durata: 87’. Girato: Adria, Rovigo, Bologna.
Interpreti: Tiffany Shepis (Principessa), Debbie Rochon (Debbie), Tara Cardinal (Liza), Domiziano Arcangeli (Larry), Suzi Lorraine (Pierrot), Michael Segal (ufficiale), Brian Fortune (Hugo), Gerry Shanahan (Charlie) Emanuele Cerman (Spoon), Matteo Tosi (soldato, prete), Giuseppe Gobbato (soldato), John Game (Skinny), Carl Wharton (scava tombe), Andrea Togan (prostituta), Chris Pybus (Junkie), Svetlana Bekleseva (Lenora), Marcella Braga (madre).
Gordiano Lupi
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