Vai avanti tu che mi vien da ridere di Giorgio Capitani


A cura di Gordiano Lupi

Giorgio Capitani nasce a Parigi nel 1927. Ha soltanto diciotto anni quando entra nel mondo del cinema, cominciando a collaborare alla realizzazione di film commerciali a basso costo. Il suo primo lavoro è come aiuto regista ne Lo sconosciuto di San Marino di Michal Waszynski e Vittorio Cottafavi. Si mette in proprio a partire dai primi anni Cinquanta, gira alcuni film mitologici (Ercole Sansone Maciste e Ursus gli invincibili – 1964), oltre a commedie brillanti, mai grevi e scurrili, ma sempre dotate di classe e buon gusto (L’arcangelo, 1969 – Pane, burro e marmellata, 1977 – Vai avanti tu che mi vien da ridere, 1982 – Missione eroica – I pompieri 2, 1987). Capitani è un regista che ama il racconto popolare, semplice e per tutti, senza sottili implicazioni psicologiche e privo di riferimenti subliminali. Non ha velleità da autore, ma confeziona buoni prodotti per il cinema e fortunate serie televisive amate dal pubblico. Basti pensare a serie di successo come Il maresciallo Rocca (1996) e Commesse (1999).

Vai avanti tu che mi vien da ridere (1982) è una commedia che ricicla vecchie battute e presenta il sapore della fiction televisiva. Produce Galliano Juso per Titanus. Interpreti: Lino Banfi, Agostina Belli, Gordon Mitchell, Pino Colizzi, Nando Paone e Aldo Massasso. Lino Banfi conferisce comicità genuina alla storia, ma non sono più i tempi d’oro della commedia sexy e la sua prima volta con Capitani, alle prese con il cinema di serie A, non è memorabile. Il film è interessante perché ironizza con intelligenza sul poliziottesco, un genere che ha dato lustro al cinema italiano. Gli sceneggiatori Toscano, Marotta e Nasca imbastiscono una modesta trama gialla che mostra inseguimenti, sgommate, un minimo di vita poliziesca e di indagine, condita da battute da avanspettacolo. La musica di Piero Umiliani conferisce ritmo alla pellicola e sottolinea i momenti più divertenti. Il montaggio di Antonio Siciliano presenta tempi televisivi, ma ha un buon ritmo

Pasquale Bellachioma (Banfi) è un imbranato commissario di polizia che ogni volta combina guai sulla scena del crimine. Pino Colizzi è il superiore, un tipo determinato che porta a termine ogni missione con successo, nemico giurato di Bellachioma, al punto che vorrebbe trasferirlo in provincia di Trento. Il povero commissario è vessato da una ex moglie, da un cane San Bernardo che lo segue ovunque e da un figlio terribile che usa la sua casa per organizzare feste. Il commissario Bellachioma cerca di riabilitarsi agli occhi dei superiori seguendo la pista di un travestito (Belli), importante testimone in una storia di attentati e utile per smascherare un killer internazionale (Mitchell). Il commissario perde la testa per il bel travestito, va in crisi per un sentimento che giudica contro natura, a un certo punto lei confessa di essere una donna, ma uno spiazzante finale fa capire che non è così vero.
Il film si basa su vecchi equivoci già visti in precedenti commedie sexy e su battute abbastanza divertenti ma riciclate. Le trovate sono mediocri, ma resta comunque una discreta commedia sofisticata che evita cattivo gusto e cadute di stile, trattando un argomento spinoso con classe ed eleganza. Il tono è tipico della farsa, anche se lo schema narrativo segue le regole del giallo comico, della commedia  poliziesca, basandosi su un interprete sfortunato e su una comprimaria sexy. Lino Banfi ha tutte le caratteristiche per interpretare un imbranato commissario di polizia colpito da sfortuna e inettitudine. Tra l’altro l’aveva già fatto con buoni risultati comici in Brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia (1973) di Luca Davan (Mario Forges Davanzati) – è un carabiniere ma il senso non cambia – e lo farà di nuovo nel più importante  Il commissario Lo Gatto (1986) di Dino Risi. Agostina Belli è molto sensuale, regala alcuni castigati striptease, diverse poste plastiche sul letto matrimoniale, ma si ricorda soprattutto quando Banfi le strappa la gonna e resta in calzamaglia trasparente. Molte sequenze citano la pochade e la commedia sexy, come la parte che vede Banfi e Belli sul cornicione di una finestra mentre nella stanza si consuma un rapporto sadomasochista tra un uomo e una donna. Immancabile la persiana spalancata che colpisce sul volto il povero commissario che in tale occasione pronuncia la frase fondamentale del film: “Vai avanti tu che mi vien da ridere!”. Alcune battute trash sono tipiche del vecchio Lino Banfi della commedia sexy: “Quando la pasta non è al dente il cuoco è un deficiente!”, “La pasta al dente e il commissario non è fetente”, cose ingenue che dette con la tipica inflessione pugliese fanno sorridere. Infine citiamo la lite in autobus quando un forzuto passeggero tocca il sedere ad Agostina Belli e le sequenze dove Banfi si finge gay sfoderando una serie di movenze effeminate.

Vai avanti tu che mi vien da ridere è anche un film che cerca di affrontare il problema dei gay e di un amore diverso che mette in crisi un uomo che si reputa normale. Capitani vuol far riflettere sul tema senza essere didascalico, ma con gli strumenti della farsa che si compie nel rocambolesco finale. Agostina Belli è scoperta da Lino Banfi mentre fa pipì in piedi nel bagno degli uomini. “Sei proprio sicuro di volermi bene?”. La parola Finelascia tutti nel dubbio.
Gordon Mitchell è il killer dall’espressione truce che non dice una parola, ma fa rimpiangere i tempi in cui interpretava Maciste.

Gordiano Lupi
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