Citazioni: Susanna Kaysen, La ragazza interrotta


Citazioni tratte da: La ragazza interrotta di Susanna Kaysen

Magari anche qual cosina di più pericoloso, come ficcarsi una pistola in bocca. Ma poi ce la metti, ne senti il sapore, è fredda e scivolosa, il dito è sul grilletto e scopri che c’è un mondo intero fra questo preciso istante e quello in cui progettavi di premere il grilletto. E quel mondo ha la meglio. Così riponi la pistola nel cassetto. Ti toccherà trovare un altro sistema.

Il suicidio è una forma di omicidio: omicidio premeditato. Non lo fai la prima volta che ti passa per la testa. Ti ci devi abituare. E ti servono mezzo, occasione, e movente. Un suicidio riuscito esige buona organizzazione e sangue freddo, cose solitamente incompatibili con lo stato d’animo suicida.
L’importante è coltivare il distacco. Un modo per farlo è esercitarsi a immaginarsi morta, o in punto di morte. Quando vedi una finestra, devi immaginare il tuo corpo che cade dalla finestra. Quando vedi un coltello, devi immaginare il coltello che ti lacera la pelle. Quando arriva un treno, devi immaginarti col torace schiacciato dalle ruote. Esercizi come questi servono a ottenere la giusta distanza.
Assolutamente fondamentale è la motivazione. Senza forti motivazioni, hai chiuso.

Devo ammetterlo, però: sapevo di non essere pazza. Era un diverso presupposto a spostare l’ago della bilancia: l’opposizione a oltranza. Negare era la mia ambizione. Il mondo, denso o vuoto che fosse, provocava in me soltanto negazioni. Quando avrei dovuto stare sveglia, dormivo; quando avrei dovuto parlare, tacevo; quando mi si offriva qualcosa di piacevole, lo evitavo. Tutte le mie armi: fame, sete, solitudine, noia e paura, erano puntate sul mio nemico: il mondo. Naturalmente, al mondo non importava un fico di loro, e loro infastidivano me, ma dalle mie sofferenze traevo una macabra soddisfazione. Dimostravano la mia esistenza. Sembrava che tutta la mia integrità consistesse nel dire No.

L’alienazione mentale esiste in due varietà base: lenta e rapida.
Non sto parlando di sintomi o decorso. Mi riferisco alle caratteristiche dell’alienazione mentale, al trantran dell’essere matto.
Ci sono un sacco di nomi: depressione, catatonia, mania, ansia, agitazione. Non dicono poi molto.
Caratteristica predominante della forma lenta è la viscosità.

Pensieri che non significano nulla. Mantra idioti che compongono un ciclo preordinato: sono una buona a nulla, sono l’Angelo della Morte, sono stupida, non servo a niente. Il primo pensiero mette in moto l’intera sequenza. È come l’influenza: prima mal di gola, poi, immancabilmente, naso chiuso e tosse.
Una volta, forse, questi pensieri avevano un significato. Volevano dire quel che dicevano, ma la reiterazione li ha logorati. Sono diventati musica di sottofondo, un pot-pourri di musichette autolesionistiche.
Cosa è peggio, essere sovraccarichi o scarichi? Per fortuna, non ho mai dovuto scegliere. L’una o l’altra condizione si imponeva, scorreva o sgocciolava attraverso me, per poi andarsene.
Se ne andava dove? Tornava ad annidarsi nelle mie cellule come un virus, in attesa della prossima occasione? O usciva allo scoperto, nell’etere del mondo, ad aspettare eventi che ne provocassero la ricomparsa? Endogena o esogena, natura o cultura: è il grande mistero della malattia mentale.

I matti sono un po’ come i calciatori scelti per battere il rigore. Spesso è pazza l’intera famiglia, ma poiché non può entrare tutta in ospedale, si sceglie una sola persona come pazza e la si interna. Poi, a seconda di come si sentono gli altri componenti, la si tiene dentro o la si risbatte fuori, per dimostrare qualcosa sulla salute mentale della famiglia stessa.

Non se ne ricordava. « Platone diceva che tutto al mondo è soltanto l’ombra della cosa reale che non vediamo. E la cosa reale non è come l’ombra, è una specie di cosa-essenza, come un… » Per un minuto, non riuscii a immaginare cosa. « Come un supertavolo. »
« Potresti parlarne di più? »
Il supertavolo non era stato un buon esempio. « E come una nevrosi », dissi. Inventavo. « Come quando si è arrabbiati, e quella è la cosa reale, mentre in apparenza si ha paura che un cane ci morda. Perché quel che si vuole davvero è mordere tutti. Capisce? »
Poi il futuro iniziò a chiudersi su di me e mi dimenticai di lui

Comunque la si chiami – psiche, carattere, anima – ci piace pensare che abbiamo qualcosa di più grande della somma dei nostri neuroni e che ci « anima ».
Gran parte della psiche, in fondo, non è che cervello. Un ricordo è un particolare tipo di mutazione cellulare in particolari punti della testa. Uno stato d’animo è un composto di neurotrasmettitori: troppa acetilcolina, poca serotonina, e si ha una depressione.
Cosa resta, quindi, della psiche?
C’è una bella differenza tra il non avere abbastanza serotonina e pensare che il mondo sia « stantio, monotono e inutile »; per non parlare dello scrivere un dramma su un uomo dominato da un tale pensiero. Lascia un sacco di spazio per la psiche. Qualcosa sta interpretando il ticchettio dell’attività neurologica.
Ma quest’interprete è per forza metafisico e disincarnato? Non è probabilmente solo un numero – sia pure un numero enorme – di funzioni cerebrali che lavorano in parallelo? Se l’intera rete di piccolissimi atti simultanei che costituiscono un pensiero venisse identificata e rappresentata su una mappa, allora la « psiche » sarebbe visibile.
L’interprete è convinto che non sia né rilevabile né visibile. « Sono la tua psiche », afferma. « Non puoi scomporrai in dendriti e sinapsi. »
È piena di pretese e spiegazioni. « Sei un po’ depressa per via dello stress sul lavoro », dice. (Mai che dica: « Sei un po’ depressa perché il tuo livello di serotonina è calato ».)
A volte le sue interpretazioni non sono credibili, come quando ti tagli un dito e lui si mette a strillare: « Stai per morire! » A volte le sue affermazioni sono inverosimili, come quando dice: « Venticinque biscotti al cioccolato sarebbero il pranzo perfetto ».
Spesso, poi, non sa nemmeno cosa dice. E quando decidi che sbaglia, chi o cosa prende questa decisione? Un secondo interprete, uno superiore?
E perché fermarsi a due? Ecco il problema di questo modello: è senza fine. Ogni interprete ha bisogno di un capo a cui fare rapporto.
Ma c’è qualcosa in questo modello che descrive la vera natura della nostra esperienza della coscienza. C’è il pensiero, e poi c’è il pensare ai pensieri, e non è proprio la stessa cosa. Devono riflettere aspetti ben diversi delle funzioni cerebrali.
Il punto è che il cervello parla a se stesso e, parlando a se stesso, muta le proprie percezioni. Per fare una nuova versione del modello non-del-tutto-falso, immaginate che il primo interprete sia un corrispondente dall’estero che ci dà notizie dal mondo. Per mondo in questo caso s’intende tutto quello che c’è fuori o dentro il corpo, livelli di serotonina nel cervello inclusi. Il secondo interprete è un commentatore che scrive editoriali. Leggono l’uno il lavoro dell’altro. A uno servono i dati, all’altro una sintesi; si influenzano a vicenda. Fanno conversazioni…

A volte, quando avete capito che il vostro treno non si sta veramente muovendo, potete passare un altro mezzo minuto sospesi tra due regni della coscienza: quello che sa che non vi state muovendo e quello che invece ne ha la sensazione. Potete svolazzare avanti e indietro tra queste percezioni e provare una specie di vertigine mentale. E se è così, siete nel territorio della pazzia: un luogo dove le false impressioni hanno tutte le caratteristiche della realtà.

Unire gli sforzi, come fa il cervello, ci farebbe comodo.
Per quasi un secolo gli psicanalisti hanno scritto corrispondenze sul funzionamento di un paese che non han-no mai visitato. Un posto che, come la Cina, è rimasto a lungo isolato e all’improvviso ha aperto le frontiere e brulica di corrispondenti dall’estero, neurobiologi che mandano dieci articoli a settimana, pieni zeppi di nuovi dati. Ognuno di questi gruppi di scrittori, tuttavia, pare che non legga i lavori dell’altro.
Questo perché gli analisti scrivono di un paese che loro chiamano Psiche e i neuroscienziati mandano notizie da un paese che chiamano Cervello.

Interrotta mentre suona: com’era stata la mia vita, interrotta nella musica dei miei diciassette anni, com’era stata la sua vita, strappate e fissata su tela: un momento reso immobile, per tutti gli altri momenti, qualsiasi cosa fossero o avrebbero potuto essere. Quale vita può guarirne?

Titolo: La ragazza interrotta
Autore: Susanna Kaysen
Prezzo copertina: € 9.00
Editore: TEA
Collana: Tea Trenta
Data di Pubblicazione: maggio 2017
EAN: 9788850245758
ISBN: 8850245750
Pagine: 166

 

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