Recensione: Alexandre Dumas – Il conte di Montecristo


“Il conte di Montecristo” di Alexandre Dumas è un capolavoro senza tempo che cattura l’essenza della vendetta, del perdono e della redenzione con una maestria narrativa straordinaria; un romanzo storico che non è solo una storia, ma un’esperienza emotiva e intellettuale che lascia un’impronta indelebile nel cuore dei lettori.
Edmond Dantès, un giovane marinaio onesto e promettente, sta per essere promosso a capitano della sua nave e sposare la sua amata Mercédès, una  vita perfetta che viene sconvolta da una cospirazione ordita da persone gelose e corrotte: Danglars, Fernand e Caderousse. Tradito e ingiustamente incarcerato nel terribile Château d’If, Edmond passa quattordici anni in prigione, nutrendo la disperazione e pianificando la vendetta.
Durante la sua prigionia, incontra l’abate Faria, un prigioniero saggio che diventa suo mentore e amico. L’abate rivela a Edmond l’esistenza di un immenso tesoro nascosto sull’isola di Montecristo. Dopo la morte di Faria, Edmond riesce a fuggire e, recuperato il tesoro, assume l’identità del misterioso e potente Conte di Montecristo.
Con nuove risorse e un’astuzia affinata, Edmond ritorna nella società francese per attuare la sua meticolosa vendetta contro coloro che lo hanno tradito. Usando la nuova identità, si infiltra nelle vite dei nemici e li distrugge sistematicamente, ma con un tocco di giustizia poetica. La trama si infittisce con colpi di scena, rivelazioni e momenti di intensa drammaticità, che tengono il lettore incollato fino all’ultima pagina.
“Il conte di Montecristo” è molto più di una semplice storia di vendetta, Dumas intreccia abilmente temi di giustizia, lealtà, amore e redenzione, creando personaggi sfaccettati che evolvono in modo credibile e affascinante. La trasformazione di Edmond da vittima innocente a implacabile avenger e, infine, a un uomo che cerca il perdono, è raccontata con una profondità psicologica sorprendente.
La ricchezza dei dettagli storici e l’ambientazione esotica aggiungono un ulteriore livello di immersione, trasportando il lettore nella Francia del XIX secolo. Ogni personaggio, grande o piccolo, è dipinto con vividezza, e le loro storie si intrecciano in un arazzo narrativo avvincente.
“Il conte di Montecristo” è una lettura imperdibile per chiunque ami la letteratura classica e le storie avvincenti, non c’è nulla in questo romanzo che non meriti di essere letto e apprezzato. Motivo per il quale, assegno senza esitazione cinque stelle a questo straordinario capolavoro.

Titolo: Il conte di Montecristo
Autore: Alexandre Dumas
Prezzo copertina: € 9.90
Editore: Crescere
Collana: Grandi classici
Edizione: 2
A cura di: A. Interno
Data di Pubblicazione: 2 agosto 2022
EAN: 9791254541944
ISBN: 1254541942
Pagine: 1008

Citazioni tratte da: Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas

Ma il dolore non si lascia respingere in questo modo. Come la freccia mortale di cui parla Virgilio, l’uomo ferito lo porta con sé.

«Penso prima di tutto a una cosa, alla quantità enorme d’intelligenza che avete dovuto impiegare per giungere ai risultati che avete ottenuto; che cosa non avreste fatto se foste stato libero…»
«Forse niente: queste qualità eccessive del mio cervello si sarebbero disperse in futilità. Servono le sventure per scavare certe miniere misteriose nascoste nell’intelligenza umana; serve la pressione per far esplodere la polvere. La prigionia ha concentrato in un solo punto tutte le mie facoltà fluttuanti qua e là: si sono scontrate in uno spazio angusto; e voi sapete che dallo scontro delle nubi nasce l’elettricità, dall’elettricità il lampo, dal lampo la luce».

«Due anni! – disse Dantès; – credete che potrei imparare tutte queste cose in due anni?»
«Non nella loro applicazione; nei loro principî, sì: imparare non è sapere; ci sono gli eruditi e i sapienti: è la memoria a fare i primi, ma è la filosofia che fa i secondi».
«Ma non si può imparare la filosofia?»
«La filosofia non s’impara; la filosofia è l’unione delle conoscenze acquisite e del genio che le applica: la filosofia è la nube splendente sulla quale Cristo posò il piede per risalire in cielo». «Vediamo – disse Dantès; – cosa mi insegnerete prima di tutto? Ho fretta di cominciare, ho sete di scienza».

Gli mostrava la topografia delle coste, gli spiegava le variazioni della bussola, gli insegnava a leggere in quel grande libro aperto sopra le nostre teste che si chiama cielo e dove Dio ha scritto sull’azzurro in caratteri di diamante.

Gli alberi, vedete, signor Bertuccio, non piacciono se non perché fanno ombra, e la stessa ombra non piace se non perché è piena di fantasticherie e visioni.

… fortunatamente resta la coscienza, senza la quale saremmo terribilmente sventurati. Dopo ogni azione un po’ energica, è la coscienza a salvarci, fornendoci mille buone giustificazioni di cui siamo i soli giudici; e queste ragioni, per quanto eccellenti per conservarci il sonno, sarebbero probabilmente di scarso valore davanti a un tribunale per conservarci la vita.
«Eh, mio Dio! – disse Beauchamp: – ma che cos’è la vita, se non una sosta nell’anticamera della morte?»

«Sì, capisco – disse Morrel, – la morte, come la vita, ha i suoi segreti di dolore e di voluttà: tutto sta nel conoscerli».
«Proprio così, Maximilien, e avete detto la cosa più importante. La morte è, a seconda della cura con cui costruiamo una buona o cattiva relazione con lei, un’amica che ci culla dolcemente come una nutrice, o una nemica che ci strappa con violenza l’anima dal corpo. Un giorno, quando il nostro mondo avrà vissuto ancora un migliaio di anni, e saprà dominare le forze distruttive della natura per metterle al servizio del bene comune dell’umanità, quando l’uomo conoscerà, come dicevate poco fa, i segreti della morte, la morte diventerà dolce e voluttuosa come il piacere del sonno tra le braccia della persona amata».

Quanto a voi, Morrel, ecco il motivo segreto della mia condotta nei vostri confronti: in questo mondo non ci sono né felicità né infelicità, esiste solo il confronto tra una condizione e l’altra, ecco tutto. Solo chi abbia provato l’estremo dolore è in grado di percepire l’estrema felicità. Bisogna aver voluto morire, Maximilien, per sapere quanto è bello vivere.

Katia Ciarrocchi
© Redazione Lib(e)roLibro

* Nelle citazioni riportate, non ci sono i riferimenti alle pagine, perché ho ascoltato il libro su Audible.

 

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