Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo
Il nuovo libro di Graziella Priulla in uscita a giugno
«Come insegnano poche ore nel traffico di una città, un automobilista avventato o prepotente è un grandissimo stronzo, mentre una automobilista ugualmente pericolosa è una grandissima puttana»
(Lorenzo Gasparrini)
Trentacinque anni fa, il 20 giugno 1979, Nilde Iotti veniva eletta Presidente della Camera, prima donna ad assumere la terza carica dello stato. Da allora molto è accaduto e mutato, ma il sessismo è ancora ampiamente diffuso nella politica.
Per riaffermare la necessità di un linguaggio politico e quotidiano che elimini insulti, stereotipi e pregiudizi di genere, la casa editrice Settenove pubblica a giugno Parole tossiche, nuovo libro di Graziella Priulla.
La violenza verbale è culturalmente legittimata, in casa, nelle piazze, nelle istituzioni. Ci esprimiamo con i termini di una cultura razzista, omofoba e sessista, che amplifica la pancia del paese e che nessuna political correctness riesce a debellare.
Graziella Priulla, docente ordinaria di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Catania, analizza il linguaggio principe di questi decenni – quello triviale, usato senza timori da politici, personaggi pubblici e persone comuni – facendo riferimento a contesti, luoghi, persone ed eventi. Indaga le cause degli automatismi verbali più diffusi e identifica le conseguenze sul piano delle relazioni sociali.
«[…] Bossi durante un comizio a Curno, nel 1993, disse: “Cara Boniver, cara Bona, bonazza nostra, la Lega non ha bisogno di armarsi, noi siamo sempre armati di manico”, accompagnando la frase con il gesto dell’ombrello. E ancora: “Ci siamo rotti le palle e allora faccio come Braveheart: torno su, mi tolgo la giacca e tiro fuori lo spadone”. […]. Nel giugno 2011 in una trasmissione televisiva la deputata del Pd Pina Picierno stava rimproverando alla Lega di essersi “calata le braghe” e il leghista Massimo Polledri offrì come risposta: “Se ci caliamo le braghe noi, può esserci una bella sorpresa per te”. Il parlamentare europeo Mario Borghezio: “A chi dice che siamo come Roma ladrona ditegli di andarsela a prendere nel culo!” […]»
Il testo raccoglie e cataloga gli insulti scagliati da politici e persone pubbliche; percorre il sentiero linguistico delle parolacce e dei termini offensivi, delle imprecazioni e degli insulti usati comunemente e ne traccia la storia a partire dal significato originario; analizza il loro uso odierno ed esplicita il contesto storico, culturale e sociale che ogni termine riproduce (e rigenera).
«Le parole non sono inerti – sostiene l’autrice – ma definiscono l’orizzonte in cui viviamo». Le parole generano la sostanza del mondo e hanno un ruolo determinante nella costruzione delle soggettività individuali e dell’identità collettiva. La violenza verbale genera violenza negli schemi mentali e nell’immaginario. Fra la violenza verbale e il suo sviluppo in quella fisica dovrebbe stare il rigetto sociale, e con esso la riprovazione esplicita nei contatti quotidiani.
Ma questo, a quanto pare, non accade.
Protagonisti assoluti del turpiloquio sono i commenti e insulti di stampo sessista e razzista. L’italiano medio non ci fa più caso ma l’Huffington Post dichiara, incredulo, nel 2013: «I commenti sessisti in Italia sono parte della vita quotidiana, sono considerati non solo pienamente accettati ma perfino divertenti». Pochi anni prima il rapporto Donne e Media in Europa, definiva l’Italia un «paese in resistenza», in cui la rappresentazione stereotipata è considerata un tratto antropologico così radicato che non si pensa possa essere contrastato con politiche «evolutive».
Il linguaggio fa la sua parte, ed è anche per il suo tramite che vengono gettate le basi per la costruzione di situazioni di disparità e di relazioni di prevaricazione nella vita quotidiana.
L’autrice chiede di interrogarci sugli automatismi verbali collusi con la violenza e sottrarci alle inerzie linguistiche apparentemente innocue, sulle frasi fatte e sugli stereotipi, praticando quotidiani esercizi di dissenso. Recuperare la capacità di indignarsi senza nascondersi dietro il conformismo dei costumi evoluti e della nuova morale.
Graziella Priulla, piemontese, è una sociologa della comunicazione e della cultura, docente ordinaria di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Catania. Svolge attività di formatrice sui temi della differenza di genere. Tra le sue pubblicazioni più recenti: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi: storie, corpi, immagini e parole (FrancoAngeli), I caratteri elementari della comunicazione (Laterza), L’Italia dell’ignoranza (FrancoAngeli).
Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo è l’ultimo libro di Settenove, il primo progetto editoriale interamente dedicato alla prevenzione della violenza di genere. Settenove affronta la discriminazione e la violenza contro le donne attraverso tutti i generi letterari e pone un’attenzione particolare alla narrativa per ragazzi, con il meglio della letteratura infantile europea e con progetti italiani diretti alla prevenzione e alla rottura degli stereotipi di genere. Settenove è un diretto riferimento all’anno 1979. Un anno importante per le donne, durante il quale le Nazioni unite hanno adottato la CEDAW, la Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna; un anno nel quale la Rai ebbe l’audacia di mandare in onda il documentario Processo per Stupro, di Loredana Rotondo, e che vide la prima donna in Italia, Nilde Iotti, salire alla terza carica dello Stato.
Parole tossiche, di Graziella Priulla
Uscita in libreria: inizio luglio
Isbn 9788890860577
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