Un uomo tormentato, un artista geniale. Tutta l’ansia e l’angoscia dell’homo contemporanaeus e la folla delle domande che da sempre investono e travagliano l’umanità e ogni destino individuale. E il desiderio, la passione, con l’impotenza e il delirio, la ricerca di un senso (ve n’è o bisogna lasciarsi andare all’implacabile flusso cosmico?). Il nome è Edvard Munch, norvegese, pittore sublime sempre, anche negli incubi a occhi aperti di tanti dei suoi quadri, fra malinconia, amore, solitudine, disperazione.
Munch. Amori, fantasmi e donne vampiro è il magnifico film d’arte (prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, regia di Michele Mally e co-sceneggiatura di Arianna Marelli) che ne racconta la parabola esistenziale e artistica attraverso le sue vicissitudini e le tele (e la loro ripetizione, quasi un’eco dei turbamenti profondi dello spirito). La dura e rigida educazione impartita dal padre medico, ferventissimo luterano, e soggetto alla depressione, la morte precoce per tubercolosi della madre e di una sorella, e un’altra sorella finita in manicomio per schizofrenia, gli amori sul crinale di un’instabilità perenne, la bohème di Oslo, il silenzio dei fiordi, le presente intuite nei boschi, L’urlo, simbolo della condizione umana, dell’inascolto…
Dal 7 al 9 novembre nelle sale cinematografiche italiane sarà proiettato questo prezioso docufilm, un viaggio nell’odissea umana di Edvard, sondata in ogni sua fibra non solo con l’aiuto dei dipinti o delle stampe (una produzione a propria volta eccellente), ma anche con l’ausilio dei taccuini – la scrittura di Munch era altrettanto netta, tagliente, precisa, acuta, perfetto pendant ai colori.
Sfilano i capolavori e gli episodi di questa vita eccezionale, nello svolgersi del dramma e di una formidabile creatività: La bambina malata, la Madonna così sui generis, in primis splendida sentina di vita, Il giorno dopo, intreccio fra eros e thanatos, e tantissimi altri. Ed è la bravissima attrice Ingrid Bolsø Berdal ad accompagnarci nei meandri delle creazioni munchiane, negli immediati e nei reconditi significati delle sue opere, mai etichettabili in un genere (troppo multiformi il loro svolgersi e l’ispirazione). Per chi poi volesse approfondire la conoscenza dell’arte di Munch a Oslo si trova il museo a lui dedicato, per sede un grattacielo che ospita ben 28.000 opere fra dipinti, stampe, disegni, quaderni di appunti, taccuini di schizzi, foto ed esperimenti cinematografici. Il film… “Allo stesso tempo, è anche un viaggio attraverso la Norvegia di Munch, alla ricerca delle radici e dell’identità di un artista universale, che ci invita a interrogarci sul tema principale del suo multiforme lavoro: la sua idea di Tempo. Munch scrive: Non dipingo ciò che vedo, ma ciò che ho visto. E in effetti ha ripetuto i suoi soggetti, dipingendo e ridipingendo le stesse immagini per conservarle nel suo atelier, ponendo le basi della pratica dei Multipli. Il suo personale concetto di Tempo si rispecchia in un equilibrio delicato e originale tra passato e presente, uno strumento per vivere la propria esistenza, un ponte attraverso le dimensioni dell’universo per entrare in contatto con il mondo dei fantasmi e degli spiriti”. Munch è stato un indagatore della realtà interiore più inaccessibile e un visionario, in cerca delle altre dimensioni che sfuggono ai limitati sensi umani.
Ogni forma d’arte, di letteratura, di musica deve nascere nel sangue del nostro cuore. L’arte è il sangue del nostro cuore, era il pensiero di Edvard. “Munch visse ottant’anni travagliati, tra problemi psichiatrici, alcolismo e isolamento. Eppure, la lettura psicoanalitica della sua opera non basta. I lasciti di Munch sono troppo potenti: come artista, ha riempito decine di taccuini con pensieri, schizzi e annotazioni e ha accumulato centinaia dei suoi dipinti e stampe. Storici dell’arte come Jon-Ove Steihaug, direttore del
Dipartimento Mostre e Collezione del Museo MUNCH di Oslo, Giulia Bartrum, per decenni curatrice del British Museum, e Frode Sandvik, curatore del Kode di Bergen, analizzano i temi e le ossessioni della sua opera, ma anche le sue abilità artistiche e le diverse tecniche che ha utilizzato. La ricerca di Munch sull’animo umano e il suo tentativo di tradurre le emozioni su tela o carta trovano corrispondenza con le tecniche sperimentali che ha scelto di adottare, rendendo così le sue opere, come spiega la restauratrice Linn Solheim, estremamente fragili. Cruciale è anche l’esperienza della bohème fin de siècle: Munch ha vissuto da bohémien prima a Kristiania, dove rideva dei morti viventi borghesi divertendosi insieme allo scrittore anarchico Hans Jæger, al pittore Christian Krohg e alle donne dallo spirito libero che incarnavano una figura femminile moderna e indipendente nella società; e più tardi a Berlino, dove fece amicizia con il drammaturgo August Strindberg e si innamorò della magnetica Dagny Juel, frequentando satanisti e dottori che sperimentavano l’utilizzo della cocaina. Come spiega il Direttore del Museo MUNCH Stein Olav Henrichsen, gli artisti sono sempre in opposizione al proprio tempo, anche se – guardando indietro – li consideriamo rappresentativi di un particolare periodo della Storia. Anche il complesso rapporto di Munch con le donne, del resto, non può essere spiegato solo a partire dalle vicende biografiche, come la burrascosa relazione con Tulla Larsen, l’amante che sparò a Edvard durante una lite generata dal suo ennesimo rifiuto di sposarla. Tulla era solo una delle “Donne Vampiro” che Munch incontrò durante la sua vita. Per lui, trauma e arte, desiderio e tormento si fondono costantemente in un’intensa riflessione sulla donna: questa “sirena” ed enigmatica “sfinge”, per usare le parole dell’artista, che attrae e spaventa…”.
Nel docufilm riecheggiano i paesaggi del Nord, ora vivi ora lividi, le colorate tempeste delle aurore boreali, paesaggi fisici e, nel contempo, geografie dell’anima, illuminati dalla musica di Edvard Grieg. E la foresta e la spiaggia di Åsgårdstrand, Vågå e le alture degli antenati paterni, la casa dei pescatori a Warnermünde, in Germania, la tenuta Ekely vicino a Oslo, dove Munch passò gli ultimi trent’anni della sua vita, con il cavallo Rousseau e i cani, e dove dipingeva tornando compulsivamente sui temi prediletti della sua meditazione. “Negli occhi anziani degli ultimi autoritratti possiamo vedere la storia di inizio Novecento, le vibrazioni dell’etere che provenivano dalle nuove scoperte scientifiche elettromagnetiche, e quelle ambigue relazioni di amore e dolore che costellarono la lunga vita dell’artista. Ma ancora – come suggeriscono gli storici dell’arte Elio Grazioli e Øivind Lorentz Storm Bjerke – in questa continua ripetizione, così come negli esperimenti visivi attraverso il cinema e la fotografia, possiamo trovare la chiave per entrare nel Tempo di Munch. Ciò che resta è una richiesta di salvezza, una sorta di apertura agli spiriti, ai fantasmi che aleggiano intorno a noi, “con Molecole più leggere e inconsistenti”. A oriente del sole, a occidente della luna”.
Splendida anche la colonna sonora della pellicola che include brani di repertorio, fra cui quelli del compositore e organista norvegese Iver Kleive. Il musicista e compositore Maximilien Zaganelli è invece l’artefice delle musiche originali, che saranno riprese dall’album Munch. Love, ghosts and lady vampires-Music insipired from the film, in uscita a novembre su etichetta Nexo Digital e distribuzione Believe Digital.
Il film è uno spettacolo di bellezza composita, offrendo una vastissima materia di riflessione su ciò che non siamo e su ciò che quindi siamo o vorremmo essere, indovinando, intuendo altri mondi dentro di noi, come scatole cinesi, e fuori di noi, oltre gli orizzonti d’infinita luce. Anche l’angoscia – nonostante l’apparente paradosso – è un’opportunità, una via.
Alberto Figliolia