A cura di Augusto Benemeglio
1. Malafede
Nel quartiere di “Malafede”, antico fosso del Tevere sito tra la Cristoforo Colombo, la via Acilia e l’Ostiense , dove , – nonostante le insidie, le paludi e i briganti , – i romani agiati del IV secolo a.C:, si costruivano le loro ville rustiche ( ne è un esempio la villa Fralana, sita nel parco, di cui è visibile la recinzione del 2001 , ormai semi-smantellata, qualche pietra bianca , e l’erbaccia incolta che si arrampica nel cielo) , tutte le strade sono dedicate a pittori contemporanei , che nessuno conosce , tranne gli addetti ai lavori e i cultori dell’arte. Abito in quel comprensorio da otto anni ,e all’inizio m’era venuta l’idea strampalata di fare delle piccole monografie di tutti gli artisti di “ Malafede” , magari con l’ausilio di qualche immagine o audiovisivo. Niente di particolare, ma dare l’idea agli abitanti del luogo ( sparuti , siamo meno di duemila ) di chi fossero quei signori delle strade in cui sono domiciliati, Usellini, Menzio, Calderara, Gioja, Irolli, Battaglia, Viner etc.. Ne parlai ad un pittore dilettante locale, poi ad una rivista-contenitore di pubblicità e cronaca di periferia residenziale come “Zeus” , infine al Comitato di Quartiere, ma non se ne fece nulla.
2. Modì
Ora mi trovo alla prese con “Modì”, il grande Amedeo Modigliani, artista inconfondibile, unico nel suo genere , – madonne senesi e angeli decaduti, arabesco quasi botticelliano, colli da cigno , ritmo e segreta architettura del movimento, delicato e mirabile pittore del dolore , Babele e unità dell’anima . Modigliani è stato- dice Carrieri – un peccatore rovinoso , uno di quelli che tutto bruciano per arrivare al centro dell’anima , malinconico aristocratico nobile e popolare , sensuale, amatissimo dalle donne d’ogni genere e classe sociale ( modelle, prostitute . poetesse come l’Achmatova e Beatrice Hastings , o ragazze di buona famiglia come Jeanne Hèbuterne , l’ultima sua compagna e musa) , sempre innamorato e sempre disperato, angosciato , devastato da alcool, assenzio, hascish e cocaina , vero poeta “maudit”, alla francese, e forse anche “personaggio” romanzesco ( molti sono i libri e i film ispirati alla sua vita e alla sua arte); ed ecco imbattermi in alcuni pittori di “Malafede” che attraversarono la sua esistenza travagliata , o furono dei punti di riferimento della sua formazione artistica, parlo di Oscar Ghiglia ( a cui è intitolata la più brutta delle vie del quartiere , ma anche la più alacre, industriosa, frequentata, con una teoria di officine, bar, scuole, ristoranti e pizzerie), o altri , come Leonetto Cappiello (è una traversa breve silenziosa di via Menzio) , che sfondarono letteralmente ,come disegnatori o cartellonisti , a Parigi , la città che lo consegnò alla storia e alla leggenda , ma anche la città in cui patì letteralmente la fame e vendette i suoi disegni nei caffè a cinque franchi per un piatto di minestra , un po’ assenzio e hascish , una specie di “uscita di sicurezza” dall’inferno della sua malattia, la tubercolosi. Ed a causa di questa malattia, manifestatasi prestissimo, sotto forma di febbre tifoidea , che la madre, Eugenia Garsin, donna colta , poliglotta, di temperamento artistico, decide – ai primissimi del novecento – , di accompagnare il figlio diciassettenne in un viaggio verso il magico sole del Sud. Si recano a Napoli, Capri, Amalfi , poi a Roma, dove Modigliani passa l’inverno del 1902 a copiare opere nei musei.
3. Oscar Ghiglia
E da Roma scrive a Oscar Ghiglia ,ragazzo di umili origini che frequentava insieme a lui , pur avendo otto anni di più, la stessa scuola dei post-macchiaioli del maestro Massimo Micheli, discepolo di Giovanni Fattori: …ti scrivo per dirti che ho raccolto verità sull’arte , dopo aver compreso le bellezze di Roma, e di essere sulla soglia dell’orgasmo che precede la gioia , a cui succederà l’attività vertiginosa , ininterrotta dell’intelligenza. Vorrei che la mia vita fosse come un fiume ricco d’abbondanza, che scorresse con gioia sulla terra. Tu , caro Oscar, sei l’unico a cui posso dire tutto: ebbene io sono ricco e fecondo di germi ormai e ho bisogno dell’opera …Mentre ti parlo, io guardo Roma che non è fuori, ma dentro di me, come un gioiello terribile incastonato sopra i sette colli, come sopra sette idee imperiose….
“Dedo”, come tutti lo chiamavamo a Livorno – dirà Ghiglia – in quell’esaltazione un po’ dannunziana , aveva già ripudiato la scuola dei macchiaioli e Livorno. Voleva esprimersi e realizzarsi attraverso un proprio linguaggio e per farlo doveva andar per forza a Parigi, che allora era la capitale del mondo della cultura. La sua insofferenza gli farà distruggere tutti i suoi disegni e i suoi dipinti giovanili. Mi ricordo un episodio. Una mattina di primavera il Micheli ci portò in campagna, camminava davanti con Lloyd e Romiti. Io e Dedo rimanemmo indietro. Lui aveva appena sedici anni, era timido, ma molto risoluto, quando gli frullava qualcosa per il capo. Io, pur essendo già ventiquattrenne , ero un autodidatta, non avevo studiato , né frequentato scuole in precedenza. Lui mi guardò dritto negli occhi e mi disse che era scontento del suo lavoro; allora io , considerata la sua giovanissima età, lo incoraggiai rispondendo che la strada artistica era lunga e difficile, ma che prima o poi saremmo giunti a fare le stesse cose di Romiti e Lloyd, che studiavano da molto più tempo, e già avevano fatto delle mostre con discreto successo. Ma Dedo mi raggelò dicendomi che non gli interessava affatto quello che faceva con Micheli. Non voleva continuare quel cammino, anzi, voleva uscirne a tutti i costi. Era uno che detestava il passato prossimo , la tradizione dei macchiaioli toscani. Odiava dipingere i paesaggi. Amava andare nei musei e guardarsi i maestri preferiti, i senesi per esempio. A Napoli conobbe le sculture di Tino di Camaino e se ne innamorò. Nelle sculture che ho visto a Parigi , quando lui non era più in vita, si sente più l’influenza di Tino che dei negri d’Africa. Dedo era più avanti di tutti noi, culturalmente parlando, parlava quattro lingue , conosceva Nietzsche, Baudelaire, e aveva un senso critico fuori dell’ordinario. Ma era troppo drastico. I suoi giudizi erano pistolettate. E non accettava il contraddittorio.
4. Firenze
In quel periodo i due fanno sodalizio, hanno uno studio in comune a Firenze , e si iscrivono alla Scuola libera di nudo retta da Giovanni Fattori in cui le lezioni si tenevano in una soffitta decrepita , male illuminata e con scarso riscaldamento. Ad un certo punto Dedo dice all’amico che Fattori sarà pure un maestro di cavalli e di battaglie celebrative, di paesaggi, maestro sommo di incisione, per carità, ma non del nudo. Del nudo non sa nulla! E poi quella squallida soffitta! Decise di lasciare la scuola, ma non smise di frequentare i caffè di Firenze e le donnine allegre , che poi invitava nella sua stanza per ritrarle discinte , a letto. Erano modelle prese dalla strada, vive e dissolute, donne autentiche , con una loro umanità, una loro sessualità, donne del suo tempo e non manichini di carne, mi disse Modigliani. Le dipingeva e poi ci andava a letto.
Fu in quel periodo – dice Giglia , che aveva continuato a frequentare la scuola di nudo del Fattori , a prezzo anche di notevoli sacrifici,- che Dedo iniziò a bere assenzio, e beveva forte. Un giorno, seduti al caffè “Giotto” di Firenze , mi fa: Perché non vieni con me a Parigi? Faremo cose favolose, insieme. Ma io gli dissi di no, e aggiunsi che lui si stava comportando male , da ragazzino viziato , nei confronti della madre e dello zio Amedeo che lo spesavano in tutto e per tutto. “Tu sperperi i loro soldi, Dedo. Loro ti mantengono convinti che tu studi, e ti curi, e invece fai il vagabondo, vai con le donnine, e bevi come un alcolizzato. Non ti vergogni? … E allora lui mi mandò a quel paese, alla maniera livornese.
5. Venezia
Ma la loro amicizia rimase immutata, tant’è che l’anno dopo, da Venezia, dove Dedo proseguiva il suo viaggio di formazione artistica , (si fermerà due anni nella città lagunare) , gli scrive un’altra lettera “dannunziana”: “ L’uomo che dalla sua energia non sa continuamente sprigionare nuovi desideri e quasi nuovi individui destinati per affermarsi sempre , e abbattere tutto quello che è di vecchio e di putrido restato, non è un uomo, è un borghese , uno speziale, quel che vuoi. Tu soffri, hai ragione, ma il tuo dolore non può forse divenire per te uno sprone perché tu riesca a ritrovarti ancora e a portare il tuo sogno più in alto ancora, più forte del tuo desiderio? Avresti potuto in questo mese venire a Venezia: però decidi, non ti esaurire , abituati a mettere i tuoi bisogni estetici al di sopra dei doveri degli uomini. Se vuoi fuggire da Livorno, io posso fornirti finché posso , ma non so se è il caso. Sarebbe comunque per me una gioia. Ad ogni modo rispondimi. Da Venezia ho ricevuto gli insegnamenti più preziosi nella vita; da Venezia sembra di uscirmene adesso come accresciuto dopo un lavoro”
Fuggire da Livorno, fuggire dai macchiaioli. Fuggire e mettere i bisogni estetici al di sopra dei doveri degli uomini, ecco abbozzata la sua morale vagamente nicciana , che lo farà ballare sui tizzoni ardenti, che lo brucerà , lo consumerà, lo distruggerà nel corso di pochi anni. E vorrebbe che fuggissero anche gli amici e gli artisti che stima come Ghiglia. Gli rinnova l’invito di andare a Parigi. Ma Oscar non ha abbastanza coraggio e follia da seguirlo, e poi non sente il desiderio irresistibile come lui di andarsene dalla sua terra, non avverte l’esigenza di tagliare il cordone ombelicale che lo tiene legato al mondo pittorico del suo amatissimo maestro Giovanni Fattori. Ghiglia rimane a casa, e rimarrà un post-macchiaiolo, che oggi si fa fatica – onestamente – a trovare, anche fra i minori, nelle enciclopedie dell’arte.
6. Parigi e Lenin
Ma per Dedo Ghiglia rimarrà sempre un grande talento, l’unico pittore italiano degno di nota, dirà pubblicamente , a Parigi, nel 1909, -ormai diventato “Modì” , – ad Anselmo Bucci, architetto navale, incisore, pittore, e a un gruppo di suoi amici francesi nella “Butte”, in un alberghetto di place du Tertre sfiorato dai rami delle vecchie acacie. “In Italia non c’è nessuno. Sono stato dappertutto . Non c’è un pittore che valga. Sono stato a Venezia , negli studi…In Italia c’è Ghiglia, c’è Oscar Ghiglia e basta E chi è questo Carneade?, gli disse Bucci. E’ l’unico che abbiamo, ribadì Modigliani.
Nel frattempo, a Venezia, con Boccioni, Marussig, Mauroner e il giovanissimo Cadorin ( ha solo 14 anni) , Dedo ha frequentato poco i corsi di studio, ma molto i musei ( Tiziano, Tiepolo, Bellini) e le ragazze del sestiere , dove, alla Giudecca, insieme ad un baronetto napoletano, si davano alla gioie dello spiritismo e dell’hascish, alla maniera baudelariana. Insomma il mito del pittore maudit in realtà parte da lontano ( allora aveva appena diciannove anni) , ma un conto è drogarsi a Venezia e un altro a Parigi, dove, insieme all’amico Maurice Utrillo sarà presto famoso per le solenni sbornie che si prendevano quasi ogni sera nella vera Accademia di Parigi di quel tempo, ossia i caffè, i bistrot, i cabaret e le osterie, dove venivano condotte le discussioni più accese sull’arte, la poesia, la musica , e si riunivano i nuovi spiriti del XX secolo. E’ qui che Modigliani conosce Picasso, Matisse , Derain, Apollinaire, Diego Rivera , Max Jacob , Lipchitz , Soutine , Brancusi, artisti e poeti provenienti da tutta l’Europa , è qui che conosce Lenin , a cui farà uno scherzo memorabile , dando fuoco al giornale che stava leggendo , cosa che fece molto arrabbiare Matisse, che tolse il foglio in fiamme dalle mani del leader russo, mentre lo stesso Lenin assisteva divertito alla scena; è qui che Modigliani, ancora in cerca della propria arte, che lo renderà unico per eleganza eletta e armoniosa, per i suoi “rossi” da Santa Caterina, per il perfetto equilibrio tra l’angelica e decaduta poesia interiore e la profonda tristezza del suo destino , che troviamo riflessa in tutti i visi delle donne ritratte permeate e quasi fasciate di un ineffabile pathos . E’ qui , in una Parigi in cui si mescolano miseria, disperazione, umiliazione, incomprensione, castità e spudoratezza, grandezza generosità e violenza sensuale , che viveva Leonetto Cappiello, anche lui livornese, di nove anni più grande di Modigliani , uno dei pochi artisti italiani di successo , uno che era veramente riuscito a conquistare Parigi
7. Cappiello
E’ il 1910 e Leonetto Cappiello è il più famoso disegnatore del “Figaro”, e il caricaturista più in voga della vita teatrale francese. Ma è anche uno che ha rivoluzionato l’arte dell’affiche , il suo cavallo rosso montato da una donna in abito verde sfolgorava su tutti i muri di Parigi. Ed è il cartellonista che ha firmato il famosissimo “ciccolato Klaus”. Lui e Dario Nicodemi ( il drammaturgo livornese de “La Nemica” ) sono delle potenze nel vero senso della parola, gli dice Natali, un altro allievo della scuola di Micheli che è andato a scovare Modì a Parigi e l’ha visto messo davvero messo male. “Era irriconoscibile , aveva la testa rapata, e vestiva con un sacco di iuta. Viveva in una specie di serra , un orticello stretto fra delle palizzate. Contro la serra stavano allineati dei lastroni di pietra , erano le sue sculture. Abbracci e frenetiche manate sulle braccia. Si avviano verso il bistrot.” Si brindò alla nostra città, al nostro mare”. Natali ordina un cappuccino, Modì un assenzio . “Gli dissi, vai da Cappiello, da Nicodemi, sono nostri concittadini , si faranno in quattro per aiutarti , ti introdurranno nell’ambiente del teatro , ti faranno conoscere persone che contano , piene di quattrini. E tu, Dedo, nei hai un gran bisogno. Ma lui faceva segno di noi, sogghignava , con una smorfia di gran disgusto. Non andrò mai a bussare alla porta di quei livornesi altolocati, influenti, danarosi, per fare la stessa fine del povero Viani. E gli raccontò la vicenda dell’artista viareggino.
8. Lorenzo Viani
L’anno prima, nel dicembre del 1909, Lorenzo Viani, un altro artista povero e geniale- il pittore espressionista dei vecchi marinai e degli urli silenziosi munchiani delle donne dei pescatori, che morì ad Ostia pieno di pessimismo nichilista, – si era recato da Cappiello: “In quello studio ci si moriva, il tubo della stufa sfiatava gelo, il cranio del freddo pareva si screpolasse alle suture, e i lobi del cervello ghiacciati perdevano la facoltà di suscitare pensieri, come quando si perde il tatto e pare di essere sospesi sopra un abisso…Le strade sembravano interminabili, allungate dalla mia stanchezza e dalla mia disperazione. Era notte quando si aprì sul cielo l’Arco di Trionfo . Oltre l’arco il cielo aveva il rossore cupo dell’incendio…A Parigi d’inverno è sempre notte, non fa mai giorno largo”
Lì , in quella cornice catastrofica descritta da Viani , abitava il re del manifesto. Mi rifugiai nel suo studio, nella sua casa regale, introdottovi da un servo che mi guardava dall’alto in basso e mi squadrava le mani. Cappiello mi accolse con affabilità, stava dipingendo un gran quadro in cui ritraeva la sua famiglia, la sua bella signora e le bimbe. Portato alle stelle come cartellonista, aveva la stravolta ambizione di essere innalzato anche nell’olimpo dei ritrattisti. Ma era una vera pippa. L’artista aveva mosso il capo e il soffio di Dio non lo raggiungeva più. Mi chiese un parere sul dipinto. Vidi i gialli arancio, i rossi lampone, i bleu mare, i bianchi elettrici, i verdi acri dei suoi manifesti incorniciati dal bandone delle strade, facevano più quadro del dipinto inquadrato nell’imperiale cornice: quelli erano fatti con la testa a filo dell’alito di Dio. Ma fui circospetto nel giudizio: Garibaldi teneva più ai suoi versi che alle sue battaglie.
Poi venne un signore francese, Paul Adam, era suo cognato, mi disse che si interessava alla mia arte forandomi con i suoi occhi salati. Nel dialogo tornarono i nomi di Steinlen, Forain e Toulose-Lautrec. I due si appartarono e parlarono fitto fitto fra di loro, quando ebbero finito, Cappiello mi disse: “Lei esporrebbe volentieri da Georges Petit? A giorni vi si inaugura la “Commedia Umana” . Sarà in buona compagnia.
Sì, rispose Viani. Certamente. E fu tutto.
Viani non farà mai quell’esposizione. Tornerà a Viareggio come un barbone, coperto di stracci , sporco , lacero e pestilenziale, tanto da far vergognare il fratello e la madre, Ti ha visto nessuno in città ?. No. Spogliati. La madre gli prepara il bagno e gli porta la biancheria pulita, gli abiti piegati nell’armadio, lo fa rivestire, poi grida al vicinato : “E’ ritornato il mi Lorenzo da Parigi. Come sta bene! Venite a salutarlo!.
9. Livornesi e viareggini
Modigliani non andrà mai a bussare alla porta di Cappiello, né cercherà mai raccomandazioni per esporre i suoi disegni. Lui si sente superiore a Picasso, manda al diavolo Apollinaire e Jacob che pure vorrebbero aiutarlo. Si batte, se mai, per l’ingenuo Rousseau e per amico Utrillo , che è come un bambino. Modigliani non si umilia. Non si piega. Ed è questa sua dignità che ce lo fa amare di più, scrive Aldo Santini, uno dei suoi biografi, livornese come lui. E aggiunge, con un pizzico d’orgoglio campanilistico: Viani era viareggino. Viareggio è una città di sabbia. Livorno è una città di scoglio.
Roma, 31 ottobre 2013 Augusto Benemeglio
bello!!!!!
Grazie. Frank. Vorrei che lo leggessero le persone
che abitano a Malafede, così tanto per avere un’idea dei nomi delle strade…Ma tu credi che troveranno mai il tempo per farlo?