José Saramago – L’uomo duplicato


A cura di Giuseppe Iannozzi

L’impossibile era l’ultima illusione che ci restava, Parola di José Saramago
Le parole sono l’unica cosa immortale; quando uno è morto, ai posteri rimangono solo loro.” – José Saramago
José Saramago, nato ad Azinhaga nel 1922, narratore, poeta e drammaturgo portoghese, ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1998. Tra le sue opere pubblicate è d’obbligo ricordare almeno L’anno della morte di Ricardo Reis, La zattera di pietra, Storia dell’assedio di Lisbona, Viaggio in Portogallo, Cecità, Oggetto quasi, Tutti i nomi, Il racconto dell’isola sconosciuta, La caverna, Il Vangelo secondo Gesù Cristo, Manuale di pittura e calligrafia, L’uomo duplicato, Poesie e Teatro, Saggio sulla Lucidità.

Che la vita riservi delle impossibilità che all’improvviso si realizzano in realtà tangibili, non è una novità, anche se non sempre accade che i desiderata e la realtà corrispondano alle impossibilità immaginate. Ne sa qualcosa José Saramago, che in un’ottica perfettamente oggettistica ma umana, quella di “Oggetto quasi”, spiega che “l’impossibilità era l’ultima illusione che ci restava”. “L’uomo duplicato”, questa una delle ultime fatiche dello scrittore insignito nel 1998 del premio Nobel per la Letteratura, è romanzo come un giallo, la cui maestria è quella dello scrittore consumato capace di dar spessore nuovo di significati a quella che per altri colleghi sarebbe materia per una storia banale. Ma non si pensi a Saramago come ad un epigono di P.K. Dick che replica i suoi simulacri, non si pensi a Saramago come a un semplice parolière scevro di valori e sentimenti, si consideri piuttosto Saramago scrittore epico omerico pirandelliano in grado di disegnare la realtà moltiplicando ogni sua possibile ed impossibile sfumatura in coriandoli di casi possibili, di micro-realtà che si inseriscono nella nostra identità per proiettarla in un universo che è la realtà stessa, non semplice modello d’un mondo parallelo. La concretezza di Saramago non è metafisica sciorinata in parole e contenuti, è pragmatismo, anche se il libro è un oggetto e come tale si comporta anche se non toccato da mani umane, perché il libro è libero quindi suscettibile di mille incidenti di percorso, l’aria che ne ingiallisce le pagine, la polvere che si accumula su di esso, ma anche vittima delle azioni che l’uomo potrebbe operare nel tentativo di interpretarne i contenuti.

L’universo-uomo è il pragmatismo che Saramago sa: attraverso “L’uomo duplicato”, per l’ennesima volta, l’autore ci dimostra che non esiste l’alieno ma solo l’uomo che è animale, oggetto umano, duplicato e duplicabile, nelle azioni, nel corpo ma più difficilmente nell’anima. Il DNA non spiega l’esistenza e neanche la metafisica né le supposte religioni inventate dall’uomo per dirsi tale. Ne “L’uomo duplicato” assistiamo al grande dilemma in chiave epica che spinge l’uomo a domandarsi “chi è”. Accade per caso che Tertuliano Máximo Afonso, professore di Storia, un individuo non dissimile da tanti milioni che invadono città metropoli e deserti, si imbatta in una videocassetta dove scorge il suo duplicato, un attore che ricopre ruoli secondari, ma che è in tutto e per tutto uguale a lui, Máximo Afonso perché il nome-parola Tertuliano è per il protagonista una appendice inutile e fastidiosa non solo per se stesso ma per chiunque abbia a che fare con lui, l’unico Máximo Afonso. Eppure il protagonista scopre di non essere il solo ad avere la sua faccia, il suo corpo: è una folgorazione l’evidenza che gli si para di fronte, inopinatamente. Deve sapere, ma intanto l’amante non gli dà requie: lui è combattuto, vorrebbe lasciarla, con delicatezza, come un oggetto a cui ci si è sentiti attaccati per convenienza, ma quando se la trova davanti le parole gli muoiono in bocca, e in bocca i baci saporiti di lei fanno il resto, mettono a tacere quelle cose assurde che sarebbero parole su parole, un rotolamento, significati a raffica sparati a salve. Ma Máximo Afonso sa che prima o poi finirà anche il sapore dei baci, e rimarrà forse solo il pallido ricordo di un letto odoroso di loro a fare all’amore nel tentativo di compenetrare significati troppo reali perché siano comprensibili a due corpi distratti dalle carezze, dall’erotismo inventato per non staccarsi l’uno dall’altra. Ma la relazione di Máximo Afonso con Maria da Paz è un effetto quasi collaterale nel dramma del protagonista; la sua ossessione è il duplicato, o almeno, quell’uomo che lui crede essere un simulacro eppure esistente e che ha un nome, un nome da artista, Daniel Santa-Clara, mica l’insulto anagrafico che si trascina lui e che risponde al nome-parola di Tertuliano. Máximo Afonso, dopo non poche ricerche, scopre il nome del sosia e la sua vita, almeno quella che può essere percepita spiando di nascosto, ma comprende che Daniel ha un suo nome e cognome e anche una vita, forse migliore della sua. Ora che sa che un altro è lui, che replica Máximo Afonso, ma che è se stesso, come dovrebbe comportarsi? L’unica via per uscire fuori da questa claustrofobia di identità è incontrare Daniel vis-à-vis, vedere se è proprio così, se è uguale a Máximo Afonso che ha pure lui nomi e cognomi mal legati fra di loro, pasticciati, che sono vergogna per l’identità indelebile scritta all’anagrafe. Il “doppio”, perché non può essere diversamente nell’innocenza speculativa di Máximo Afonso, non può che essere un doppio, reale quanto si vuole, ma comunque un doppio, un incidente dovuto al caso, non un teratoma, ma comunque un incidente che deve essere indagato, con discrezione, perché né lui, Máximo Afonso, né Daniel Santa-Clara direbbero mai di se stessi al mondo per finire sulle pagine dei giornali.
Il tema del sosia, del doppio risale al mito della nascita di Ercole: Alcmena crede di avere accanto a sé nel letto il suo sposo Anfitrione, mentre a lui si è sostituito Giove che ha assunto le sue sembianze per sedurla. Da Plauto a Heinrich von Kleist, da Molière a Dostoevskij, a Luis de Camoes, la tragedia del sosia, del doppio, del simulacro, trova ne “L’uomo duplicato” un destino non solo letterario, ma anche, e soprattutto, una profondità espressiva umana che solo José Saramago poteva mettere in piedi senza scadere nel ridicolo. Ci ricorda il premio Nobel attraverso “Tutti i nomi” che “Tutte le risposte sono nell’aria. Le risposte ci sono tutte nel mondo, se non c’è la risposta è la domanda che è sbagliata”. Sappiamo che è praticamente impossibile che due persone siano perfettamente identiche, ma allora perché uno scrittore a partire da un’impossibilità dovrebbe dar corpo a una storia di sosia? Perché nell’impossibilità, nel qualcosa che non può accadere c’è una sorta di provocazione nei confronti della vita, del lettore, uno stimolo che non può essere ignorato.
Par quasi un giallo “L’uomo duplicato”: l’atmosfera si condensa in mistero, una perfetta commistione di reale e irreale reale, e come ne “L’anno della morte di Ricardo Reis” dove il fantasma di Pessoa e il corpo reale del suo eteronimo d’invenzione coesistevano, i “doppi di sé” irrompono sulla scena, e nelle vite dei protagonisti. Il messaggio onirico è la straordinaria biografia di un uomo ir-reale che rinnova quell’impalpabilità tragica che è il vivere forse in un sogno o anche il sogno che vive il nostro Sé.

Giuseppe Iannozzi

Titolo: L’ uomo duplicato
Autore: José Saramago
Traduttore: Desti R.
Prezzo: € 9.00
Editore: Feltrinelli
Collana: Universale economica
Data di Pubblicazione: Aprile 2010
ISBN: 8807721716
ISBN-13: 9788807721717
Pagine: 270
Reparto: Narrativa > Narrativa contemporanea

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