A cura di Massimo Ghelfi
Da Deaver ci si aspetta sempre il meglio. Ogni suo romanzo è un appuntamento sicuro con il coinvolgimento e la suspence, ogni pagina che si legge spinge a non interrompere la lettura, ad arrivare all’appuntamento con la scoperta dell’identità dell’assassino, pur con il rammarico che il romanzo, inevitabilmente, volga alla sua conclusione.
Vero maestro non ha mai deluso i lettori, e non lo fa di certo con quest’ultimo libro che anzi ha quel qualcosa in più di interesse che supera lo stesso genere e che quindi può diventare strumento di dibattito e di riflessione.
Ma ecco a grandi linee la trama. A tirare le fila della storia è come già si può immaginare quel personaggio genialmente creato da Deaver, il detective tetraplegico Lincoln Rhyme. La genialità della creazione sta proprio nel dimostrare che è l’agilità della mente e non del corpo ad averla vinta, che se il cervello si muove rapidamente può guidare gambe e braccia altrui verso soluzioni a cui i normodotati difficilmente sarebbero giunti.
Questo come premessa, ma l’azione ha avvio quando si trova il corpo di una ragazza, Alice Sanderson, violentata e uccisa, e del delitto odioso viene incolpato, con prove schiaccianti, proprio il cugino di Rhyme Arthur.
Nonostante antiche, e più recenti, ruggini Lincoln decide di prendere in considerazione il caso, incredulo delle accuse mosse al cugino. La scoperta, compiuta attraverso la sua capacità di riflessione e gli strumenti tecnologici a sua disposizione, è sconvolgente: c’è chi ha costruito delle prove (conoscendo molto bene il “capro espiatorio”) per far ricadere la responsabilità di quello, ma anche di molti altri delitti, su di un innocente. E tutto il romanzo si svolge nella ricerca del vero assassino e di come sia riuscito a fare tutto ciò.
Ma come si possono sapere particolari tanto dettagliati e intimi di individui diversi e senza alcuna relazione tra loro? L’attenzione degli investigatori quindi si sposta dal caso alla società di raccolta dati più importante degli Stati Uniti, la SSL. C’è qualcosa del Grande Fratello di orwelliana memoria nell’attività di questa società: ogni acquisto, ogni spostamento, ogni relazione, ogni avvenimento nella vita di ogni cittadino americano viene schedato e racchiuso in un data base a cui possono accedere dei clienti con fini evidentemente commerciali. Ma sono pochissimi coloro che possono avere il quadro completo, ogni impresa può venire a sapere di un determinato individuo solo quello cha in qualche modo la riguarda.
Ma, diversamente dalle intenzioni molto “tutelanti” la privacy dei cittadini espresse dal dirigente della SSL agli inquirenti, c’è chi utilizza quelle informazioni con ben altro scopo e soprattutto chi riesce ad accedere all’intero quadro del soggetto in causa, ad aprire insomma tutte le “finestre”.
Il linguaggio che viene utlizzato da chi lavora in questo mostruoso centro di raccolta dati è molto tecnico: le singole persone sono indicate con una serie di sedici cifre, e le varie sezioni, le varie operazioni hanno un loro termine specifico incomprensibile a chi non è del campo.
Tutto ciò è molto interessante. Prima di entrare nel merito del tema della privacy, dell’ingerenza nelle vite dei singoli da parte del “mercato”, mi soffermerei proprio su questo aspetto linguistico. Ogni disciplina, da sempre, ha utilizzato dei tecnicismi, ma in genere questi avevano un’etimologia che richiamava la funzione stessa, la loro origine era classica, insomma servivano a dire in modo più corretto un concetto o un’azione. Ora, in questo come in alcuni altri ambiti, il codice linguistico invece traspone da un ambito a un altro il termine, quasi si trattasse del gioco di un bambino che in accordo con altri dice una parola, ma le attribuisce un senso diverso. Oppure c’è la creazione di neologismi, un po’ ridicoli, usati con grande serietà, più onomatopeici che significanti.
Ma che significa tutto ciò? un linguaggio iniziatico, sicuramente, che esclude i profani, come è sempre accaduto, ma anche l’uso spregiudicato della parola che in un certo senso perde dignità diventando qualcosa che puà essere deformato e distorto.
Questo discorso forse tocca solo alcuni appassionati di linguistica, quello che invece colpisce tutti è l’ingerenza così totale nella vita privata di un cittadino: e questa non è certo solo creazione romanzesca. Ogni volta che usiamo una carta di credito c’è chi sa quali acquisti facciamo, ogni volta che navighiamo in internet c’è chi sa quali siti visitiamo, lo stesso vale per i programmi televisivi, per i nostri viaggi e le nostre telefonate.
E quindi non ci stupiamo più quando arrivano messaggi pubblicitari mirati ai nostri interessi e coerenti con nostre precedenti scelte, così come non ci colpisce il fatto che arrivino nelle nostre caselle della posta delle pubblicità relative a scuole guida (al compimento dei 18 anni), corsi di ogni tipo post universitari (se ci siamo appena laureati) e via dicendo, fino alla promozione di tombe di ogni tipo quando muore qualche parente…
Ecco questo libro mette sotto gli occhi di tutto, attraverso un appassionante thriller, la distorsione massima, l’uso più pericoloso di qualcosa che in ogni caso pericoloso è: il controllo della nostra vita da parte del mercato.
Questo discorso, estraneo ma assolutamente implicito nella trama nulla, ma proprio nulla, toglie all’interesse narrativo del romanzo che rimane appassionante fino all’ultima pagina e che spiazza con continui colpi di scena l’esercizio deduttivo del lettore e proprio per questo lo tiene incollato alle 565 pagine senza mai annoiarlo. Garantita lettura estiva che però, come si diceva, invia anche messaggi tutt’altro che lievi, anzi molto amari sul presente e sul futuro della nostra libertà.
Massimo Ghelfi
Titolo: La finestra rotta
Autore: Jeffery Deaver
Traduttore: Cappi A. C.
Editore: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Prezzo: € 13.00
Collana: Bur big
Data di Pubblicazione: Giugno 2009
ISBN: 8817031305
ISBN-13: 9788817031301
Pagine: 567
Reparto: Narrativa > Thriller