A cura di Gordiano Lupi
Ivan Zuccon (1972) si appassiona al genere horror, gira film in Super 8 e subito dopo in video, si dedica ai cortometraggi e infine spicca il salto verso il cinema professionale. Le sue pellicole nascono quasi sempre in lingua inglese, perché – vista la particolarità del mercato italiano – è più facile vendere film horror in Europa e negli Stati Uniti. Zuccon è un nome noto a tutti gli appassionati del genere horror, nostalgici di grandi presenze come Lucio Fulci, Joe D’Amato e Mario Bava, che ritrovano in pellicole cupe e spettrali un profumo di tempi lontani. Zuccon si avvale della collaborazione dell’ottimo Ivo Gazzarrini, scrittore e sceneggiatore horror che pesca a piene mani nell’opera di H. P. Lovecraft, inserendola in un contesto contemporaneo. La sua troupe conta su un buon musicista come Marco Werba e validi effettisti come Fiona Walsia e Massimo Storari. Il regista lavora in proprio a un montaggio rapido e serrato, realizzando pellicole ad alta tensione davvero ben costruite.
L’altrove (2000) – The Darkness Beyond risente dei limiti tipici di un’opera prima, ma fa intuire doti e possibilità espressive. La sceneggiatura (a tratti farraginosa) è di Enrico Saletti e Ivan Zuccon, produce Valerio Zuccon per Arabesque Film. Fotografia e montaggio sono del regista, in puro stile Joe D’Amato. Il film è più un mediometraggio che un lungometraggio, visto che dura soltanto settanta minuti. Interpreti: Emanuele Cerman, Laura Coratti, Giuseppe Gobbato, Roberta Marrelli, Michael Segal, Massimo Storari e Caterina Zanca. La storia è tratta da un racconto di Howard Phillips Lovecraft, autore importante nell’ispirazione del regista. Si comincia da Baghdad nel 1571, dove un filosofo arabo svolge una traduzione dal Necronomicon, il libro dei morti, ma durante il lavoro viene colpito da un’entità invisibile e resta ucciso. Passano cinquecento anni e ci troviamo in un mondo sconvolto da una guerra condotta da un gruppo di folli che odiano l’umanità. I soldati sono esseri umani, ma agiscono su influsso dei Grandi Antichi che vogliono eliminare la popolazione terrestre. Un drappello di militari vive un’avventura piena di incubi e costellata da ogni sorta di tortura. Gli effetti speciali sono molto suggestivi e l’ambientazione decadente conferisce alla storia un tono melodrammatico. Una donna legge parti del Necronomicon dove si parla di maschere e dei meandri dell’altrove mentre sullo sfondo si ode una vecchia radio che racconta episodi di una guerra senza scampo. L’azione si svolge in un cupo notturno, il colore dominante è un tenebroso blu scuro, mentre la nebbia scandisce i tempi dei flashback segnati dalla maschera applicata sul volto. Una musica cupa e spettrale scandisce i momenti della guerra che viene combattuta in una scenografia desolata. Il film è molto teatrale, scorre su dialoghi impostati, forse eccessivamente recitati e verbosi, ma mai scadenti. L’orrore della guerra è ben rappresentato, così come l’altrove di lovecraftiana memoria pare cupo al punto giusto. Una porta nel buio conduce nei meandri dell’altrove, un tunnel oscuro dal quale non è possibile fare ritorno, una sorta di aldilà nel quale i soldati vanno a morire, inghiottiti da un’oscura entità soprannaturale. “Chi entra nell’altrove muore”, dice il soldato superstite mentre narra la sua avventura alla ragazza. La soggettiva della presenza misteriosa che uccide è ben fatta, così come gli effetti splatter sono essenziali e credibili. La scenografia che funge da teatro all’azione è fantastica, sembra un quadro di un pittore futurista, spettrale e senza speranza, composta di rocce nude e pianure desertiche. Zuccon riesce a trasferire su pellicola la magia dei racconti di Lovecraft, elevando il tasso orrorifico con sequenze splatter di feti estirpati e di donne uccise immerse nel sangue. I soldati con i cervelli spappolati sono un altro elemento splatter ben costruito, così come le torture eccesive e truci, a base di macabre mutilazioni, sembrano anticipare film contemporanei come Hostel (2005). “Esiste un destino peggiore della morte”, minacciano le inquietanti presenze assassine che vogliono impossessarsi del Necronomicon. La pellicola è girata in gran parte in interni oscuri e claustrofobici, l’horror è palese, mai suggerito, zeppo di momenti eccessivi come torture con i fili elettrici. “Noi siamo il male e governiamo gli uomini servendoci di schiavi”, avvisano le presenze assassine che hanno reso schiavi i soldati. L’oscurità, il male, il buio assoluto inghiotte anime e fa apparire soldati con il volto trafitto da chiodi, mentre un ralenti anticipa un flashback onirico che presenta una colorazione anticata. Il Necronomicon viene affidato a un convento, copiato da monaci amanuensi, diviso in varie parti e disperso in molte zone del mondo. Le creature delle tenebre non riescono a recuperarlo, ma alla fine tutto sembra solo un sogno della ragazza che aveva indossato la maschera. Adesso la maschera che provocava allucinanti visioni brucia e l’incubo pare concluso, ma vediamo un’immagine del futuro poco rassicurante. Un uomo trova ancora una volta il Necronomicon e viene aggredito da un’entità misteriosa. L’orrore spalanca di nuovo le porte.
Maelstrom – il figlio dell’altrove (2001) è il secondo film di Zuccon, vero e proprio sequel de L’altrove, tratto come consuetudine da un racconto di Howard Phillips Lovecraft. La sceneggiatura è di Enrico Saletti, ma anche questa volta registriamo limiti di scorrevolezza, forse ancor più evidenti che nel primo lavoro. Produce Valerio Zuccon per Arabesque Film. La fotografia cupa e spettrale è di Andrea Marchi, il montaggio è a cura del regista, gli ottimi effetti speciali e il trucco sono di Massimo Storari. Le musiche sono di Nicola Morali e i costumi di Donatella Ravagnani. Interpreti: Michael Segal, Emanuele Cerman, Roberta Marrelli, Giusepe Gobbato, Alessio Pascutti, Francesco Malaspina, Caterina Zanca, Laura Coratti, Giorgia Bassano, Liliana Letterese, Piergiorgio Schiona e Roberta Romagnoli.
Il film racconta una nuova lotta tra gli umani e l’altrove descritto nei romanzi di Lovecraft, ma cita pure L’aldilà di Lucio Fulci, soprattutto lo splendido finale con i protagonisti perduti nella scenografia surreale di un quadro. Ci troviamo in un futuro apocalittico, da film postatomico, vediamo gli umani alle prese con i Grandi Antichi che vogliono renderli schiavi. Un plotone di soldati, composto da uomini e donne, cerca di non soccombere all’assedio, condotto dagli uomini dei Grandi Antichi, lottando contro una sorte che sembra ineluttabile. La pellicola non si sviluppa seguendo una trama logica e lineare, ma vive di suggestioni oniriche e di notevoli effetti visivi. Lo splatter la fa da padrone, ma anche le sequenze fantastiche non sono meno importanti. Un uomo crocefisso scende dalla croce e uccide un soldato, sentiamo il pianto di un bambino inciso su un nastro insanguinato, vediamo due mani che sbucano dal terreno, afferrano una donna e permettono che un demone la violenti. Una fotografia surreale corretta in studio descrive un mondo apocalittico popolato da presenze oscure che vengono dal passato per uccidere e schiavizzare. La pellicola è molto psichedelica, la scenografia ricorda i deserti lovecraftiani, mentre il tema portante è quello della lotta alle presenze demoniache. Il figlio dell’altrove è nato dalla violenza carnale e adesso si muove per notturni stupendi, cupi e surreali, illuminati da una luna piena che rende livida l’angoscia. Gli effetti visivi sono fantastici: cieli arrossati in modo innaturale, nuvole biancastre, mentre il sole pare sciogliersi al tramonto. Il limite del film sta in un eccesso di sperimentalismo e in una sceneggiatura poco curata, ma la genialità del regista viene fuori con prepotenza, perché le soluzioni visive sono potenti. Un esempio importante lo vediamo nella sequenza del figlio che nasce come una larva, già adulto, uscendo da un bozzolo come una farfalla. Il figlio dell’altrove è una sorta di anticristo fortissimo e invincibile che come primo atto di violenza uccide la madre e le spreme il cuore. L’essere infernale elimina con freddezza chi cerca di fermarlo e lo fa nei modi più atroci. Il film procede con l’incedere lento di un peplum macabro, Maelstrom sembra un Maciste al negativo, un eroe fortissimo, ma nero e turpe. Il tono della pellicola fa pensare a un melodramma fantastico, del tutto soprannaturale, basato sull’assioma che “nell’altrove non esiste la morte vera, ma una morte sofferente”. I dialoghi sono la cosa peggiore, lo sceneggiatore abbonda in usurati americanismi (fottuto) che stridono con lo svolgimento della storia. Lo scenario spesso assume l’aspetto di un western vecchia maniera con duelli all’ultimo sangue e uomini uccisi per non farli soffrire. La sfida finale si svolge con un sottofondo musicale alla Ennio Morricone e sembra un duello tra pistoleri, invece che lo scontro terminale tra una strega e il figlio dell’altrove. Notiamo anche elementi fantasy che si mescolano a sequenze splatter per esibire un cuore spaccato in due e un feto estirpato dal ventre di un’orribile strega. La conclusione di un film soprannaturale che si sviluppa in notturni surreali e macabri si riassume in poche battute. “L’altrove è sempre esistito dentro di noi. Loro siamo noi e noi siamo loro. Gli Antichi sono sempre stati accanto a noi, da qualche parte. Chi sopravive regnerà sugli umani, ma senza il Necronomicon diventerà un flagello per l’umanità”. Resta un lavoro minore di Zuccon, ma la forza visiva di molte scene lo rende un prodotto interessante.
La casa sfuggita (2003) è noto anche con il titolo anglofono di The Shunned House ed è tratto da alcuni racconti di Howard Phillips Lovecraft, pure se il fulcro della storia deriva da La casa stregata. La sceneggiatura è di Enrico Saletti, mentre fotografia e montaggio sono di Ivan Zuccon. Produce Valerio Zuccon per Studio Interzona. Effetti speciali e trucco sono di Massimo Storari, i costumi di Donatella Ravagnani e le musiche degli AcidVacuum. Interpreti: Giuseppe Lorusso, Federica Quaglieri, Emanuele Cerman, Silvia Ferreri, Michael Segal, Cristiana Vaccaro, Nicolò Viganelli, Nicoletta Verri, Claudio Viganelli, Roberta Marrelli, Cinzia Vaccari, Stefania Andreotti, Enrico Saletti, Micaela Antolini e Roberta Romagnoli.
Il film è ambientato a Frassinese Polesine, girato quasi completamente negli interni spogli e disadorni di una casa cadente che prende vita nelle sequenze oniriche che riportano indietro nel tempo. Un giornalista, in compagnia della sua donna, entra in un’antica dimora che è stata teatro di efferati delitti. Nel corso della visita vengono avvolti da una misteriosa cortina di terrore e una serie di incubi fa rivivere i fatti del passato fino a riportarli alla realtà storica. La trama non è la cosa più importante di una pellicola che fa della suggestione visiva e delle immagini efferate la sua vera forza. La sequenza che introduce all’apoteosi di terrore vede un bambino rincorrere una palla nella casa stregata, subito due mani possenti lo afferrano e lo fanno sparire nel nulla. Una serie di foto d’epoca di volti umani segna lo scorrere del tempo e dopo venticinque anni entriamo nella casa che un tempo era stata la Locanda del Crocevia. In questo luogo morivano molte persone e nessuno sapeva il motivo, come ne La casa stregata di Lovecraft. Il film è ricco di suggestioni visive come apparizioni improvvise di donne che pregano, cadaveri di suicidi appesi a una corda, uomini sgozzati, donne in un lago di sangue e altri effetti splatter ben realizzati. La sceneggiatura lascia a desiderare a livello di coerenza narrativa, generando un film cervellotico e non facilmente inquadrabile. Il montaggio è piuttosto lento, ricco di flashback e di parti oniriche, visto che il racconto si basa su incubi e suggestioni. I piani narrativi sono due, si passa con disinvoltura dal presente al passato, spesso confondendo le idee allo spettatore. L’atmosfera è cupa e notturna, il vento soffia inclemente, spenge candele, spalanca finestre, porta sentori di morte e di oscure presenze. Molto spettacolare il suicidio di una ragazza muta che si strappa le vene a morsi, quindi termina l’opera tagliandole con l’archetto di un violino. Il sangue schizza in abbondanza, ricopre volti e corpi dei protagonisti, mentre esseri soprannaturali giungono dal passato e sconvolgono il presente. La pellicola è apprezzabile per gli effetti speciali e per la grande potenza visiva degli immagini che fanno intuire il talento di Zuccon. Tutto il film è costellato di terribili uccisioni e macabri suicidi, mentre il regista inserisce un riferimento a Salvador Dalí con gli orologi che si liquefanno e segnano lo scorrere del tempo. Tra le mura di quella casa si diventa pazzi, proprio come ne La casa stregata di Lovecraft, e non c’è niente che può fermare l’incedere della morte. “Siamo ovunque tu voglia essere”, sussurrano le presenze demoniache e ci riportano in un clima tipico de l’altrove lovecraftiano, tanto caro a Zuccon. “Il posto delle cose non è dove crediamo che sia”… e le porte si aprono verso una nuova realtà, basta compiere un sacrificio di sangue. Il film termina con un’immagine simile al prologo, perché torna in scena il bambino con la palla, ma questa volta è il giornalista a portare fuori il pallone. Alcuni brani di Paganini, violinista maledetto, sono parte integrante della colonna sonora. Non è uno dei migliori film di Zuccon, ma per il violento impatto visivo ne consigliamo la visione.
Bad Brains (2005) è interpretato da Emanuele Cerman e Valeria Sannino, prodotto da Timeline e Studio Interzona. Si tratta di un buon horror come si facevano una volta, un lavoro intenso e claustrofobico, dai toni onirici sempre presenti, ben girato in un interno decadente e angoscioso, fotografato in modo cupo e inquietante, raccontato a colpi di flashback che tengono in ansia lo spettatore. A tratti viene in mente il Joe D’Amato dei lavori più duri, tipo Rosso sangue e Antropophagus, soprattutto nella scena dove il folle serial killer si ciba dei resti delle vittime. Il film è ben recitato da attori calati nella parte, su tutti metterei una sensuale Valeria Sannino credibile in alcune scene erotiche davvero ben girate. Non è da meno Emanuele Cerman, nei panni di un killer psicopatologico che sdoppia la personalità con un surreale fratello da lui ucciso quando era bambino. La storia è ben scritta e sceneggiata a dovere, quindi parte del merito va ai bravi autori Ivan Zuccon e Ivan Gazzarrini. Il regista Zuccon lavora in puro stile Massaccesi, perché è anche direttore della fotografia e realizza il montaggio. Il film è costellato di scene terribili e truculente, mosche e sangue, massacri e morti scannati, cannibalismo, incubi fusi alla realtà e deliri onirici che ricordano le trame del miglior Lovecraft. Un folle serial killer uccide con la complicità della sorella e la loro unione di sangue è totale, visto che tra i due esiste un rapporto d’amore incestuoso. La terribile coppia tortura le vittime, le riprende con una telecamera prima di farle morire, filma le sofferenze e lo scannamento finale. L’uomo dà il colpo di grazia per poi tuffare le mani nelle ferite, cibarsi delle interiora e degli occhi della vittima. L’antefatto che scatena il delirio dei due assassini va ricercato in un trauma infantile, quando la ragazza ha ucciso la mamma e il ragazzo si è liberato del fratellino a colpi di coltello. I due killer sono una coppia stile Erika e Omar, dove lei è la mente e lui il folle esecutore, ma entrambi cercano all’interno dei corpi la chiave della loro follia, forse proprio l’anima che hanno perso il giorno del duplice delitto. La pellicola ricorda la vecchia scuola italiana dell’horror erotico, anche perché le scene di sesso tra i due protagonisti sono realistiche e ben girate. I due assassini sono legati a doppio filo, un destino comune li porta a scoprire cosa c’è nell’oscurità, ma sanno bene che può essere solo la morte. Alicia tratta una prigioniera come una bambola di carne, la fa diventare folle, mentre ricorda la sua infanzia e rivede le coltellate inferte alla mamma. La sorpresa finale non va rivelata perché il film perderebbe interesse, ma dobbiamo dire che nella trama è importante l’alternarsi di presente e passato, soprattutto il ripetersi degli orrendi delitti infantili. Alla base di tutto c’è una personalità folle che vede cose inesistenti, parla con la madre morta e sente un dolore nella testa che lo spinge a uccidere.
Bad Brains non è un horror fantastico ma un racconto del terrore. Tutto è possibile, purtroppo, pure un killer folle che cambia voce e si immedesima nel ricordo del fratello ucciso, anche i fatti narrati che si ispirano a un’angosciante realtà. Neppure il finale porta sicurezze, ma lascia lo spettatore sconcertato, perché la figlia del killer può essere il filo conduttore verso nuove orribili avventure. Un doppio finale, come nella miglior tradizione dell’horror italiano, per un ottimo film che consigliamo di riscoprire.
NyMpha (2006) è un nuovo horror interessante scritto e sceneggiato da Ivan Zuccon insieme al fido Ivo Gazzarrini ed è un vero peccato che certe pellicole abbiano mercato soltanto negli Stati Uniti. In Italia il nome di Zuccon non è molto noto perché i grandi produttori non rischiano con una pellicola horror nostrana e certi film vengono realizzati da produzioni indipendenti. Interpreti: Tiffany Shepis, Allan McKenna, Caroline DeCristofaro, Michael Segal, Alessandra Guerzoni, Francesco Primavera, Giuseppe Gobbato, Caterina Zanca, Federico D’Anneo. Il nuovo film di Zuccon è girato interamente in inglese e sottotitolato in italiano, sia perché la storia parla di una ragazza inglese che deve farsi suora, sia perché in questo modo è più facile venderlo oltreoceano. NyMpha è un interessante tonaca – horror che a tratti ricorda La monaca nel peccato di Joe D’Amato, ma che ha una sua ben definita originalità. Il film racconta la storia di Sarah (un’affascinante ed espressiva Tiffany Shepis), una ragazza inglese che vuole farsi suora di clausura in Italia nel convento del Nuovo Ordine. Sarah è costretta a incontrare Dio in modo orribile, attraverso operazioni chirurgiche effettuate da un medico prezzolato che la priva di udito, vista, tatto e parola. Non è certo Dio l’entità misteriosa che governa le sorti del convento e che spinge un gruppo di suore allucinate a compiere azioni inquietanti. Zuccon è bravo a tratteggiare i caratteri dei protagonisti e a spingere lo spettatore dentro una spirale orrorifica che si dipana con grande tensione e scene a effetto. Sarah soffre per le torture praticate e rivive visioni relative al passato del convento, ma soprattutto ripercorre la triste sorte di una ragazza di nome Nympha. Per correttezza nei confronti dello spettatore è bene non rivelare la parte che vede protagonista un nonno vittima di una follia religiosa che lo porta a compiere atti orrendi. Nympha viene educata al timore di Dio, crede che nella soffitta di casa ci sia un’entità misteriosa affamata di carne umana, vede il sangue uscire da porte e finestre, sente dentro di sé il terrore del passato. Le scoperte di Nympha e di Sarah sconvolgeranno le loro vite ma pare scontato che per entrambe resta una sola via d’uscita. NyMpha è una storia horror a sfondo religioso, scritta e sceneggiata da Ivan Zuccon e Ivo Gazzarrini, che sfrutta effetti speciali interessanti, atmosfere cupe e claustrofobiche già viste nel precedente Bad Brains ed effetti gore e splatter che seguono la lezione del miglior Fulci. Il film si pone come continuatore della tradizione horror italiana e miscela parti orrorifiche a parti erotiche, soprattutto a sfondo lesbico. È interessante ricordare il sogno di Sarah mentre immagina di far l’amore con Nympha in una scena molto ben girata e recitata con naturalezza. La fotografia è cupa, il colore dominante è un verde scuro, la maggior parte delle azioni si svolgono di notte. Gli effetti speciali sono ben realizzati, soprattutto le scene di sangue che filtra dalle pareti, le feroci mutilazioni praticate su Sarah e le sequenze dove sciami di mosche volano su cadaveri decomposti. Un horror angosciante e cupo, basato sui ricordi e girato con la tecnica del flashback resa da continue e brusche dissolvenze. Nella pellicola sono presenti citazioni di vecchi horror italiani, forse inconsapevoli e frutto del background culturale di regista e sceneggiatore. La mente va a Dario Argento, sia nella scena con la piccola Nympha che vede accanto un cavallo a dondolo, così come si pensa a Phenomena durante la sequenza con lo sciame di mosche. Alcune parti girate nel convento ricordano Joe D’Amato (La monaca nel peccato, Immagini di un convento), ma pure il taglio della lingua, efferato e credibile, fa venire a mente una scena di Caligola interpretata da Michele Soavi. Sono presenti anche suggestioni dall’opera di Lucio Fulci, vero poeta del gore e dello splatter, il regista italiano che meglio ha saputo filmare la morte. NyMphaè girato in interni ma in alta definizione ed è distribuito sul mercato Home Video.
Colour from the dark – Il colore del male (2009) è l’ultimo lavoro di Zuccon, interpretato in inglese (sottotitoli in italiano) da buoni attori come Debbie Rochon (Lucia), Michael Segal (Pietro), Marysia Kay (Alice), Gerry Shanahan (Giovanni), Eleanor James (Anna), Matteo Tosi (Don Mario), Emmett J. Scanlan (Luigi), Alessandra Guerzoni (Teresa) e Massimo Storari (soldato nazista). Il film è scritto e sceneggiato dal regista e da Ivo Gazzarrini. Musica di un ispirato Marco Werba. Producono Studio Interzona e Arabesque Film.
L’azione si svolge nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale. La location – suggestiva e tetra al punto giusto – è uno sperduto casolare di campagna. Pietro e Lucia sono due poveri contadini che vivono del lavoro nei campi, insieme ad Alice, sorella sordomuta e handicappata di Lucia. Pietro soffre per una malformazione al piede, zoppica vistosamente, ma è un uomo robusto e manda avanti tutto il lavoro, Lucia si dedica alla casa e alla sorella. Un giorno, mentre Alice prende l’acqua dal pozzo, accade un evento incredibile. Il secchio resta impigliato sul fondo e quando Pietro lo libera sembra venir fuori una luce aliena dalle profondità della terra. Da quel momento succedono eventi straordinari e terrificanti che coinvolgono Pietro e il resto della sua famiglia. Non è il caso di raccontare la trama, perché lo spettatore perde la gioia della visione, ma è bene dire che il film è ricco di effetti splatter e cita più volte L’esorcista (1973) di William Friedkin e L’anticristo (1974) di Alberto De Martino. Lo spettatore precipita in una spirale di orrore fin dalle prime scene, quando assiste agli incubi di Alice, terrorizzata dalla cantina, dal pozzo e dalla sua bambola di stoffa. Un trionfo di schizzi di sangue onirico fa capire i problemi mentali di Alice, mentre Pietro e Lucia osservano atterriti e cercano di non svegliarla. Regista e sceneggiatore sono bravi a inserire nel racconto tematiche come la Seconda Guerra Mondiale e la persecuzione degli ebrei. Il personaggio di Teresa – uccisa da un ufficiale nazista – che si nasconde dai vicini di casa (Anna e Giovanni) serve ad attualizzare la vicenda. Il cadavere in decomposizione della ragazza accompagna lo spettatore nel rapido sviluppo della storia, subito dopo la scoperta di Alice. Il tema del pozzo che si apre e scatena una forza misteriosa si può ricondurre a vecchi ricordi fulciani contenuti ne L’aldilà – E tu vivrai nel terrore (1981), ma anche al meno esaltante Le porte dell’inferno (1989) di Umberto Lenzi. Lo scrittore di Providence nel racconto originale parla di forze aliene che si liberano e producono effetti orribili, più che di demoni che entrano da porte infernali. Gazzarrini e Zuccon ci lasciano nel dubbio, ma non è così importante. Il film gode di grande tensione, ottimi effetti notturni, bella fotografia anticata color seppia, eccellenti ricostruzioni scenografiche, perfetta ambientazione d’epoca e caratterizzazione dei personaggi immune da difetti di approssimazione. La ricostruzione di una casa di campagna anni Quaranta, arredata con tavoli in legno, mobili tarlati e candele consumate per leggere a letto, è degna di menzione. Gli effetti speciali sono la cosa migliore del film, tra crocefissi che cadono dopo essere stati contaminati da un alone nero, pomodori che maturano rapidamente e subito dopo vanno in decomposizione, un cielo tetro, nero, quasi infernale che accompagna un crescendo di orrore. L’entità malefica liberata dal pozzo fa miracoli demoniaci e contamina la zona circostante. La prima persona contagiata dal morbo è Lucia, che cambia carattere, vuol far l’amore come non l’ha mai fatto e mostra occhi neri, diabolici. Gli effetti speciali che presentano Lucia indemoniata sono ottimi: la donna si taglia la guancia e dalla ferita esce un occhio, poi si sveglia insanguinata e non ricorda più niente. Il film è scandito dal passare dei giorni della settimana, ci accompagna in un abisso senza speranza modificando la fotografia che diventa sempre più cupa e abbonda di toni grigi. Lucia si accoltella una mano, sputa al marito, bestemmia, aggredisce un prete che vorrebbe esorcizzarla, ma finisce massacrato a colpi di crocefisso.
Zuccon è bravo a mostrare il progressivo deteriorarsi di uomini e ambiente, inquadrando i campi sempre più distrutti e le persone che modificano il loro carattere. Alicia accoltella la bambola ed è sempre più preda di incubi terrificanti, pure se come per miracolo ha cominciato a parlare. Pietro non zoppica più, ma si accorge presto che quell’evento straordinario non è opera divina. Gli effetti speciali esorcistici ricordano il film di Friedkin (il fiato gelido, le grida, il volto che si modifica…) ma sono utilizzati con grande originalità. Anna e Giovanni sono due buoni personaggi di contorno, come vicini di casa coinvolti nella spirale di terrore. Luigi, il fratello di Pietro che torna dalla guerra e resta coinvolto nel massacro, è un altro personaggio azzeccato. Uno degli aspetti migliori della pellicola resta lo squallore riprodotto in maniera credibile, tra frutti del terreno che marciscono e la casa che va in malora. Il film è una storia nera senza speranza, molto contemporanea, soprattutto perché lo scontro tra Dio e dèmoni non prevede un lieto fine. La fotografia cupa, angosciosa, nera, squarciata da improvvisi lampi di luce inserisce bene la storia in una campagna desolata che si trasforma in uno spaccato d’inferno. Il demone liberato ti entra dentro, ti succhia la vita e distrugge ogni cosa vivente, senza lasciare traccia di speranza. Ricordiamo che il cast vede alcune belle presenze femminili, come nel vecchio cinema horror italiano, e che non mancano alcune parti erotiche di buona fattura. Debbie Rochon (l’indemoniata Lucia), dopo Valeria Sannino (Bad Brains) e Tiffany Shepis (Nympha), incrementa il numero di attrici sexy impiegate da Ivan Zuccon. Pare che il progetto di girare Colour from the dark sia stato più volte accantonato da Zuccon, a causa di numerose difficoltà, ma alla fine il film è venuto fuori molto bene. A nostro giudizio è la cosa migliore girata dal regista tra quelle viste sino a oggi.
Il sito ufficiale di Ivan Zuccon: http://www.ivanzuccon.com/
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