Intervista a Franca Canapini per Stagioni sovrapposte e confuse


A cura di Renzo Montagnoli

Questa raccolta è stata pubblicata in quanto ha vinto il premio di poesia Jacques Prévert, quindi un ulteriore motivo di soddisfazione per te. Sono poesie che abbracciano un lungo arco di tempo e che sono frutto di un’esperienza in costante crescita. Il titolo (Stagioni sovrapposte e confuse) è un po’ particolare e allora ti chiedo perché hai voluto chiamare così questa raccolta.

I miei testi contengono quasi sempre riferimenti al tempo e alla natura, per cui mi era venuto spontaneo ordinarli in successione temporale dalla primavera all’inverno, anche come metafora delle stagioni della vita. Pertanto avevo pensato di intitolare la piccola raccolta Stagioni.
Poi, un giorno, mentre guidavo l’auto (come spesso mi accade), mi venne in mente che il titolo poteva essere Stagioni sovrapposte e confuse.
Per alcuni versi  (struggenti) il tempo della vita – dal momento che cominci a lavorare e metti su famiglia – accelera così tanto, che le stagioni astronomiche (almeno nella mia percezione) sembrano addensarsi e sovrapporsi; i decenni trascorrono in un soffio: stagioni sovrapposte.
Riflettendo ancora, le metaforiche stagioni della mia vita spesso si confondono: sentimenti ed emozioni propri dell’adolescenza e della giovinezza si ripresentano tali e quali nella maturità, così ho la sensazione di vivere non secondo una piana continuità di esperienze che mi fanno crescere e maturare  (come si dice), ma che il mio sia un procedere nel tempo per scarti, salti, marce indietro, cadute, riprese. Ad un certo punto è come aver vissuto tante vite, restando sempre la bambina (ecco il perché dell’immagine in copertina) dell’inizio, in un turbine emotivo che a volte mi estranea dalla realtà del quotidiano. Stagioni sovrapposte e confuse, dunque.

E’ vera questa sovrapposizione di stagioni, proprio perché si innestano i ricordi, esperienze del passato che riemergono e che sembra rivivano. A tal riguardo, che significato e importanza dai ai ricordi?

I ricordi delle esperienze affettive tutte, positive e negative, sono la mia identità. Scrivo principalmente per questo motivo: fissare esperienze ed emozioni che altrimenti con il tempo perderebbero di intensità. Rileggermi dopo anni significa rivivere un po’ i momenti perduti e ritrovare il filo della mia vita.

Mi par di comprendere quindi che il significato dei ricordi stia nella consapevolezza di esistere e del resto la vita non sarebbe nulla se non ci fossero gli anni trascorsi che ci danno la certezza del percorso che abbiamo effettuato. Oggi mi sembra invece che la gente non abbia memoria, che rincorra il presente senza una meta e uno scopo e che quindi per essa non esista nemmeno il concetto di futuro, in una nevrotica monotonia caratterizzata solo dalle mode del momento, traguardi da raggiungere per subito mirare ad altri. Qual è la tua opinione al riguardo?

Consapevolezza di esistere, il significato dei ricordi, dici bene Renzo. La consapevolezza di esistere è infatti nella memoria di quello che fummo, nei sogni e progetti che facemmo, nei bilanci di ciò che abbiamo realizzato e non, come nella  certezza che inutili sono i rimpianti. Abbiamo fatto e dato quello che potevamo, ciò che ci era possibile all’interno dei nostri limiti. Ecco il senso della pienezza della nostra vita; almeno per me è così. Sento ancora le voci della gente con la quale ho vissuto e ognuno ha lasciato traccia in me, come i luoghi diversi in cui ho trascorso i miei anni. E su questi ricordi s’innestano i miei giorni futuri, non necessariamente in una soluzione di continuità.
Mi arrischio a parlare della gente perché anch’io ne faccio parte e non mi sento molto diversa. Alla gente è stata strappata la memoria dal turbinare del progresso scientifico – tecnologico. Non più villaggi, non più vicini e riti di appartenenza, non più attività in armonia con la natura. Viviamo immersi in un’epoca totalmente nuova dove anche la morte fisica non è certa, se basta un massaggio cardiaco a riattivare il cuore. Niente sembra più sicuro in una società globalizzata (non le fedi politiche, culturali, religiose) e a tal punto tecnologizzata da estraniare dalla realtà vicina. Ho scoperto, solo per fare un piccolo esempio, che i miei alunni non sanno cosa siano ginestre ed eriche, eppure conoscono benissimo gli ultimi giochi elettronici e i saperi che veicolano. Anche la storia dell’uomo, riprodotta nei film e nei libri, più che farti affondare le radici nel passato ti dà l’illusione di avere sotto controllo, in un eterno presente, il tempo. Qui, in occidente, viviamo l’illusione e il brivido di essere al massimo della nostra civiltà e di  poter stringere in mano la totalità del tempo umano trascorso.
Viviamo in una rivoluzione e difficilmente ne possiamo azzardare un giudizio. Nel mio superficiale ottimismo, però, mentre mi adopero a riprodurre certe scene di civiltà antichissime irrimediabilmente perdute, perché non vengano totalmente dimenticate, mi sento di dire che non vorrei vivere in altro tempo che questo, forse solo perché è il mio tempo.
L’importante è non perdere di vista i valori sociali di fondo che restano sempre gli stessi: rispetto, onestà, dominio di sé.

Ogni epoca presenta aspetti discordanti, positivi e negativi, ma questa “ipertecnologica” sembra soffocare, anziché rilanciare ed espandere la cultura. La poesia, che in altri tempi aveva maggior rilievo, oggi è relegata ad essere un prodotto di nicchia, accessibile a pochi. In verità, nel corso di alcune fiere, mi è capitato di sentir dire da qualche visitatore che la poesia non si legge perché è troppo difficile. Secondo te è vero che è così? E se è così complessa, la colpa è del basso livello culturale dei lettori o dell’incapacità degli autori di riuscire ad avvicinare i primi ai loro testi?

Non sono un’esperta quindi ti risponderò da persona comune che ama la poesia. Forse anche in  epoche passate, considerando la scarsa alfabetizzazione, la poesia non era un prodotto di massa. Semmai lo poteva essere la canzone popolare e tutte le altre espressioni artistiche legate alla tradizione orale. Oggi la situazione è anche peggiorata perché, in generale, si tende a leggere sempre meno, privilegiando comunicazioni meno faticose quali quelle del cinema o della televisione; di conseguenza la poesia, che porta la parola alla sua massima alchimia, è poco amata. Penso che talvolta si faccia anche una poesia difficile  (come dicevano i visitatori delle fiere); in questi casi è necessario che l’autore sia consapevole che può rivolgersi solo ad un ristrettissimo pubblico, il quale possiede i suoi stessi strumenti culturali e lo può apprezzare.
Non propongo di produrre una poesia popolare (la poesia è arte, massima espressione di libertà) però sarebbe auspicabile che divenisse più fruibile, se vogliamo che la gente si riavvicini con entusiasmo e goda della bellezza che sa offrire. La poesia, infatti, come la musica e le arti in genere, è espressione massima della cultura di una civiltà e contribuisce a dare consapevolezza di sé all’individuo e  identità ad un popolo. A questo proposito mi auguro la rinascita della poesia  epica (in forma originale e moderna ), come testimonianza dei fondamenti culturali di tutta una civiltà.
 Per avvicinare i lettori alla poesia, infine, occorrerebbe che venissero organizzate manifestazioni di letture poetiche in ogni luogo: sono sicura che la gente, pian piano, ricomincerebbe ad apprezzare.

Concordo sul fatto che la poesia si debba esprimere in modo meno complesso (è possibile, anche se non è facile) e mi permetto di aggiungere che uno strumento importante per la sua diffusione è quello scolastico. Già dalle elementari è indispensabile che gli alunni comprendano il valore e il piacere di quest’arte e per questo è necessario che gli insegnanti siano degli appassionati di poesia, circostanza che tuttavia, per esperienza diretta, non è così frequente. Però, non deve essere imparata a memoria, si deve dimostrare ai bimbi che esprime sensazioni ed emozioni, il significato delle stesse, il modo con cui l’autore le ha rappresentate, l’equilibrio e l’armonia dei versi. Si è a scuola e si è lì per imparare e la poesia deve essere parte attiva di quell’insegnamento. A proposito, cos’è per te la poesia?

La scuola è sicuramente il luogo deputato a suscitare e sviluppare l’amore per la poesia. A me è successo: ho avuto una maestra appassionata di Pascoli ed una prof. innamorata di Foscolo e sono state loro a rendermi permeabile a questa arte.
Per quel che mi riguarda, come insegnante, ti assicuro che i miei alunni di scuola media fanno scorpacciate di poesia volentieri; mi dicono che la letteratura li appassiona e che gli viene facile studiarla. Fino all’anno scorso avevamo un giornalino online, dove pubblicavamo testi vari e anche poesiole. Quest’anno, essendo le ore di Lettere diminuite da 11 a 9, non è stato più possibile riprenderlo.
Ti confesso che a volte gliele faccio studiare anche a memoria, magari quelle più brevi e pregnanti: perché no? Alcuni versi poi ti restano scolpiti per sempre nella mente, accrescendo il  tuo patrimonio culturale – affettivo e sono in grado di consolarti o di renderti più forte  nelle avversità della vita.
La poesia per me: l’espressione più alta cui può giungere una lingua; sintesi estrema di pensiero e illuminazioni, dove affettività e sapienza si compenetrano; alchimia della parola; la Parola.  Ma forse esagero.

Non esageri, almeno secondo la mia opinione.  Dopo questa definizione sorge spontanea un’altra domanda: quali sono i poeti che più hanno esercitato il loro influsso su di te e per quali motivi?

Io, purtroppo, tendo a leggere sempre in maniera caotica e superficiale e non saprei dire di poeti che hanno esercitato influssi su di me. Senz’altro saranno stati tutti quelli che ho amato ed amo  e che vado ad elencarti.
I poeti latini Orazio (aurea mediocritas), Catullo  (amore – senza tempo); quelli italiani: Petrarca (stupefacente sensibilità moderna); Dante,  ma la Divina Commedia l’apprezzo molto più ora che da ragazza (inesauribile carica visionaria, robustezza di giudizio morale, bellezza delle immagini che scorrono nei versi); Foscolo (un pianto virile); Leopardi (la  bellezza struggente della natura); Pascoli (l’uomo piccolo e sperso nel mistero);  Campana  il dolore, la visionarietà, la solitudine dell’uomo con i nervi in tensione); Ungaretti  per anni ho aperto a caso Vita di un uomo e letto e riletto); Quasimodo (si tende a dire che non sia stato proprio un grande, ma gli ho riservato lo stesso trattamento che a Ungarett ). Poeti stranieri: Francois Villon, Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud, soprattutto quest’ultimo per l’avventura estrema della sua vita e Le bateau ivre. Quindi ho passato un anno a leggere anche ad amici e familiari T. Eliot (fu proprio una grande ubriacatura) soprattutto i quartetti e il canto del prof. Profruk  (geniale). Di seguito ho scoperto Rilke e le sue elegie  (emozioni, riflessioni sull’esistenza, emozioni). Infine Lorca e Neruda  (passionalità, gentilezza, impegno sociale ).

Sono tanti ed è anche logico, perché a tutti si deve qualche cosa, fosse anche il solo piacere provato nel leggere. Franca Canapini, autrice di poesie, lo è fin dalla sua giovinezza o questa passione è venuta alla luce più di recente?

 Sono stata una ragazzina timida, rabbiosa e sognatrice. I poeti per me erano chimere, mica scrittori;  sogni,  la cui vita non poteva essere la mia. Però a undici dodici anni cominciai a scrivere qualche poesia e continuai: erano sfoghi della mia sensibilità eccessiva. In seguito, continuai a produrre ogni tanto poesie e qualche racconto, oppure incipit di romanzi che non avrebbero dovuto superare le cento pagine; ma lo facevo per me e li conservavo nei cassetti, oppure li facevo leggere al mio amico Giuseppe con il quale condividevo l’interesse. Una decina di anni fa ho cominciato ad inviare i miei scritti alle case editrici, con scarsi riscontri. La svolta è stata quel giorno che mi sono iscritta al Club dei Poeti ed ho provato il piacere di essere letta e commentata. Fare poesia ora non è più un sogno e i poeti non sono più chimere; anche se, sinceramente, non so se sono una (anche  piccola) poeta.
Concludendo, la passione ce l’ ho sempre avuta, ma solo in questi ultimi anni ho iniziato a coltivarla.

Hai avviato anche un nuovo percorso, nel tuo ambito poetico, cioè hai cominciato a scrivere un genere ormai desueto, anche se bello, nonostante i tempi. Mi riferisco all’epica, che richiama alla memoria nomi di grandi autori dell’antichità, uno fra tutti, e probabilmente il migliore, Omero.  Come mai questa passione per una poesia che ormai viene vista archeologicamente e non quindi al passo con i tempi?

Ho molto amato certi miti e mi sono interrogata spesso sul loro significato, fino a rispondermi che sono immagini, icone (oserei anche archetipi) di verità sui sentimenti e i rapporti umani, in qualche modo intuite e tramandate dai popoli antichi: un patrimonio. Senza erudizione di sorta, e perché in qualche modo mi parlano, mi piace riprenderli e dare loro voce, magari modificandone un po’ il significato, alla luce della mia personale visione della vita.
Poi, l’ho già detto, credo che, per uscire dal nostro lirismo e individualismo, ci sia bisogno di poesia epica (una poesia che potrebbe mescolare gli antichi miti a quelli contemporanei, gli antichi valori a quelli nuovi, in una continuità culturale radicata molto indietro nel tempo) e non la vedo archeologica, anzi generatrice di valori sociali forti e positivi.

Insomma il problema dell’attuale società è quello di non credere a qualche cosa che vada oltre la semplice e abusata apparenza a cui è abituata. Occorre, pertanto, rifarsi nuovamente al trascendente, a quella metafisica che permette all’uomo di spaziare oltre la mera razionalità, recuperando così valori fondamentali ormai relegati al ruolo di pretese passate. In questo contesto Franca Canapini sta elaborando nuovi progetti, insomma sta lavorando a una nuova raccolta da pubblicare?

Trascendeza, metafisica…non so; sono stata sempre piuttosto illuminista e diffidente rispetto a tutte le “verità” non scientificamente provate; però sono anche molto curiosa e mi piace pormi domande e cercare risposte, soprattutto sul mistero profondo di questo universo in cui ci troviamo a vivere.
Per quel che riguarda i miei lavori, credo di avere materiale sufficiente per un’altra raccolta ma è materiale vario e dovrei trovare il tempo per dargli un’ identità, perciò penso che per ora continuerò a produrre, poi vedremo.

Grazie, Franca, per la piacevole e interessante conversazione, che chiudo formulandoti i migliori auguri per questa tua opera prima.

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Renzo MontagnoliSito

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