A cura di Gordiano Lupi
Mario Monicelli si dice lusingato e stupito che questo film interessi così tanto il pubblico americano, perché in fondo racconta le vicissitudini di un personaggio (reale o leggendario) della Roma papalina ai tempi di Pio VII. Certo, la casata del Grillo è storica, visto che a Roma esiste ancora il Palazzo del Grillo e c’è una strada chiamata la Salita del Grillo (dove viveva il regista). Monicelli cura prima di morire una versione de luxe in dvd, sottotitolata in inglese, riservata al pubblico nordamericano, ricca di extra e di contenuti inediti. Il film vede protagonista uno straordinario Alberto Sordi che rappresenta tutti i vizi e i difetti della nobiltà romana: pigrizia, arroganza, infingardaggine, codardia, superstizione, bigottismo, corruzione e ricerca del quieto vivere. Onofrio, il marchese del Grillo, inganna la noia di giornate monotone nella Roma del Papa Re (1809), durante l’avanzata napoleonica, facendo scherzi feroci ai poveri, ai borghesi e persino ai nobili. Lancia frutta ai questuanti insieme a durissime pigne, ripaga con soldi roventi chi pretende danni, fa allontanare la sorella (Confalone) perché il suo alito è pestilenziale, ironizza sulla madre bigotta (Valenzano), incita la cugina (Linnartz) a gettarsi sugli uomini, mura la bottega di un negoziante, non paga un falegname (Billi), corrompe i giudici del processo per debiti, prima lo fa condannare e poi lo rimborsa.
Il film è un contenitore di scherzi sulla falsariga di un Amici miei (1975) in costume, debitore delle atmosfere ideate da Luigi Magni (Nell’anno del Signore, 1969 e In nome del papa Re, (1977) e anticipa la nuova stagione di Amici miei (Atto II, 1982). Una commedia all’italiana in costume che a tratti vira sul sexy quando il marchese se la spassa con la giovanissima amante romana (Campanella) o quando esibisce in un plastico nudo la sua conquista francese (Berg). Ottimo Flavio Bucci nei panni del folle brigante Don Bastiano, prete che si è dato alla macchia e fa il predone, ma muore da eroe incitando il popolo a inginocchiarsi. Frase indimenticabile, tratta da un sonetto di Gioacchino Belli: “Mi dispiace. Ma io so’ io e voi non siete un cazzo!”, che rappresenta bene il personaggio del Sordi – Marchese, strafottente e arrogante, in fondo buono e generoso. Bravo Paolo Stoppa come Papa Pio VII che fa le corna invece di benedire quando il Marchese esclama: “Morto un Papa se ne fa un altro!”. Sordi è straordinario anche nei panni di Gasperino il carbonaio, sosia del Marchese, che utilizza per uno scherzo feroce ai familiari. L’attore romano passa con grande disinvoltura dal ruolo di nobile colto e annoiato a quello di popolano rozzo e ubriacone. Lo scherzo giunge ai massimi termini quando Gasperino sta per essere ghigliottinato al posto del marchese, ma per fortuna il Papa concede la grazia.
Bravo Gobbi come servitore, diligente Billi come falegname. Il marchese del Grillo è uno spaccato di vita della Roma del 1800, credibile e realistico, dipinto con i colori della commedia all’italiana da un Monicelli ispirato, per descrivere con graffiante ironia ascesa e disfatta di Napoleone, ma anche gli ultimi anni del Papa Re. Ottime le musiche di Nicola Piovani. Il compositore ricorda: “Era la prima commedia che musicavo, dopo tanto cinema drammatico, impegnato e d’autore. Conobbi Monicelli durante una regia teatrale e il suo fu un gesto coraggioso che contribuì a togliermi di dosso la fama di musicista mortaccino (parole del regista). Ricordo che per questo film dovetti inventarmi tre frammenti di una finta opera intitolata La cintura di Venere, con protagonisti Ermes, Bacco e Venere, che doveva rappresentare la prima messa in scena con una soprano donna invece dei castrati. Fu importante l’aiuto del commediografo Angelo Saverio. In una sequenza c’è una sfida tra un castrato e la soprano femmina che si contendono la scena a colpi d’ugola, mentre il pubblico protesta per lo scandalo. Per la finta opera inventammo anche una finta locandina con un autore inesistente: Jacques Lepén. Bene, a distanza di molti anni ci sono ancora studiosi francesi che mi scrivono per avere notizie su un autore inesistente. Questa arietta d’opera viene canticchiata da Sordi nella sequenza in carrozza quando decide di andare a Parigi dalla bella Olimpia, ma l’attore italianizza il testo francese: “Mia cara Olimpia, mettiti in pompa…”.
Suggestiva la fotografia di Sergio D’Offizi, scura e notturna, per rendere credibile un’epoca senza illuminazione artificiale. “All’inizio, i rapporti con Monicelli non furono idilliaci, perché mi sentivo osservato, giudicato, ma poi lavorammo bene insieme. Feci con lui anche Amici miei Atto II. In fondo Monicelli era uno di poche parole, ci assomigliavamo molto. Lavoravamo tanto e parlavamo poco”, ricorda D’Offizi. Importante il lavoro dello scenografo Lorenzo Baraldi e della costumista Gianna Gissi, tra l’altro coniugi, che rendono credibile l’ambientazione con le poche risorse disponibili. Aiutano il Presidente della Repubblica Sandro Pertini e il sindaco di Roma Petroselli, ma anche l’assessore alla cultura Nicolini, che concedono l’uso di Campidoglio e Quirinale. Molti interni sono girati a Lucca, non solo nel Museo Reale (la residenza del marchese), ma anche in molte ville di campagna. Per gli esterni: Roma, Tarquinia, Riolo Romano, la faggeta di Soriano del Cimino, molta campagna laziale e il Lago di Vico. La piazza viene ricostruita a Cinecittà, in studio, sulla falsariga della piazzetta sul Tevere, il piccolo porto di Ripetta, distrutta nel 1860 dai piemontesi. Emilio Ruiz Del Rio costruisce la maquette di Castel Sant’Angelo usando un lamierino che viene posizionato sullo sfondo del set.
Mario Monicelli afferma: “Non sono toscano ma versiliano, sono nato tra i monti e il mare. Amo questa terra e sono appassionato di Lucca, città dove da ragazzo, io che sono di Viareggio, andavo a fare le prime bravate. Per questo ho girato a Lucca gran parte del film, tre settimane nel Museo Reale e in altre ville che sono servite per ricostruire i palazzi del marchese. Lucca è una città ancora racchiusa dalle mura, rinascimentale, conservata perfettamente. A Roma c’è un Palazzo del Grillo, ma era inutilizzabile, non è ben conservato. Alberto Sordi interpreta bene la parte di un nobile romano sprezzante verso i poveri, cinico e disilluso. Abbiamo messo in scena la Roma del Belli, in un set artificiale, costruito per un film di Scola, abbiamo composto un affresco della Roma di Pio VII. Blanchard (Porel) è il francese che rappresenta la modernità, il nuovo che avanza. Sordi è l’aristocrazia che ha visto tutto e non ha voglia di cambiare. Billi è il falegname ebreo, simboleggia l’intolleranza, il ghetto romano che conteneva i paria, uomini senza diritti, confinati nel limbo. Paolo Stoppa è un perfetto Pio VII, con la sua recitazione secca, asciutta e ironica, ricorda il vero carattere del Papa. E poi il rapporto Stoppa – Sordi era molto buono e insieme rendevano a dovere il conflitto tra i protagonisti. Lo scambio tra il povero e il ricco è un’altra trovata interessante che deriva dal teatro classico, da Plauto, così come il rito del ceffone al figlio ricorda un sonetto del Belli durante l’esecuzione di Gambardella nel 1749”. Aggiungiamo noi che sono ben calati nella parte anche Cochi Ponzoni (il cognato), Leopoldo Trieste (il cappellano del marchese) e Camilo Milli (cardinale). Per pura curiosità, Camillo Milli sarà ancora cardinale nel recente Habemus Papam (2011) di Nanni Moretti.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (due stelle): “Monicelli racconta la sordida Roma papalina in bilico tra medioevo e modernità, scegliendo un personaggio che sogna Parigi ma non cambia nulla, conscio di sfruttare i propri privilegi e di appartenere comunque al passato; e mette in scena la Storia per aneddoti demistificanti e paradossi, cercando richiami al presente. In fondo è lo stesso metodo de L’armata Brancaleone, anche se manca coesione d’insieme, il ritmo langue e le fonti sono eterogenee (dalla novellistica boccaccesca al Belli). Sordi, in un doppio ruolo, è al massimo del virtuosismo e della trivialità”. Morando Morandini (due stelle critica/ cinque stelle pubblico): “In bilico tra storia e leggenda questo marchese Onofrio del Grillo è costruito su misura per Alberto Sordi che, in sagace equilibrio tra cinismo e intelligenza, arricchisce la sua lunga carriera di maschere italiane”. Pino Farinotti concede tre stelle, condivisibili, ma non avanza giudizi critici. Il marchese del Grillo riscuote un grande successo: secondo incasso dell’anno tra Innamorato pazzo e Il tempo delle mele. Premio per la regia a Berlino. Secondo Premio David di Donatello. Durata cinematografica: 127’. Dvd Eagle in commercio: 139’.
Regia: Mario Monicelli. Presentato da Renzo Rossellini per Gaumont D.A.C.. Fotografia: Sergio D’Offizi (Colore Telecolor). Sceneggiatura: Lorenzo Baraldi. Costumi: Gianna Gissi. Produttore Esecutivo: Marco Tamburella. Direttori di Produzione: Francesco Casati, Marc Maurette, Giuseppe Auriemma. Collaboratrice ai costumi: Bruna Parmesan. Arredamento: Massimo Tavazzi. Aiuto Regista: Amanzio Todini. Musiche: Nicola Piovani (dirette dall’autore). Montaggio. Ruggero Mastroianni. Soggetto: Bernardino Zapponi. Rielaborato da: Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Mario Monicelli, Tullio Pinelli. Sceneggiatura: Benvenuti, De Bernardi, Monicelli, Pinelli, Sordi. Produzione: Italia/Francia. Produttori: Luciano De Feo per Opera Film Produzione srl (Roma) e Gaumont S.A. (Parigi). Interpreti: Alberto Sordi, Carolyne Berg, Riccardo Billi, Flavio Bucci, Camillo Milli, Cochi Ponzoni, Marc Porel, Pietro Tordi, Leopoldo Trieste, Paolo Stoppa, Giorgio Gobbi, Isabelle Linnartz, Tommaso Bianco, Marina Confalone, Alfredo Cohen, Elena Daskowa, Salvatore Iacono, Elena Fiore, Isabella Bernardi, Andrea Bevilacqua, Angela Campanella, Giuseppe Furelli, Ettore Geri, Jacques Herlin, Elisa Mainardi, Bruno Rosa, Sandro Signorini, Compagnia del Teatro di Alibert diretta da Angelo Savelli, Renzo Rinaldi (Bacco), Ivan De Paola (Ermes).
Gordiano Lupi
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