A cura di Gordiano Lupi
I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli è il film che fa da spartiacque tra il cosiddetto neorealismo rosa e la commedia all’italiana, che si distingue per maggior drammaticità e più attenzione alla realtà sociale. La commedia all’italiana comincia proprio da I soliti ignoti; il regista toscano può reputarsi a pieno titolo padre del genere e suo grande continuatore. I soliti ignoti è un piccolo capolavoro di comicità nel quale Totò si ritaglia il ruolo di Dante Cruciani, scassinatore in pensione che insegna il mestiere a un gruppo di ladri dilettanti. Importanti anche le bellezze femminili di Carla Gravina (diciassette anni, ma già al terzo film) e Claudia Cardinale (vent’anni, quasi esordiente, al secondo film) per comporre la miglior commedia all’italiana di tutti i tempi. Carla Gravina è la bionda servetta sedotta da Gassman che dimostra grande personalità di attrice. Tra gli attori molto bravi Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Renato Salvatori e Tiberio Murgia. Renato Salvatori rappresenta l’elemento di continuità con il neorealismo rosa, perché interprete dei suoi film di maggior successo.
I soliti ignoti inaugura un nuovo modo di far ridere gli italiani, partendo dalla cruda analisi della realtà, aggiungendo elementi comici e intessendo una solida trama che racconta la vita quotidiana dei protagonisti. La banda di scalcinati ladruncoli vive nei quartieri cadenti di una Roma ancora da ricostruire, dove passano poche biciclette, il tram sulle rotaie e il lavoro non si trova facilmente. Si vive di espedienti, piccole furfanterie, amori rubati e scippi quotidiani, manca l’essenziale, il sogno dei poveri è cambiare vita. Le servette si spacciano per nipotine e temono di far brutta figura, i ladri si redimono, altri restano imbroglioni impenitenti, mentre i giovani cercano di farsi una strada. Restano tracce di neorealismo rosa nel personaggio di Renato Salvatori, povero ma bello, orfano che ama le sue tate, si innamora di Claudia Cardinale (sorella sicula rinchiusa in casa da Tiberio Murgia) e desidera una vita onesta. Pure i ladri sono tutti troppo buoni e in fondo simpatici, ma siamo pur sempre nel campo della commedia, genere che deve tener conto del pubblico che paga per sorridere. In ogni caso non c’è traccia né di farsa né di avanspettacolo in questa commedia all’italiana, perché regista e sceneggiatori hanno l’ambizione di realizzare uno spaccato di vita contemporanea. I personaggi non sono stereotipi privi di agganci con la realtà, ma ognuno di loro vive il proprio dramma interiore, ha la sua speranza, il suo sogno per il futuro. In una parola non c’è mai una macchietta monodimensionale, persino Capannelle (Pisacane) ha una ragion d’essere nell’economia della storia. Vittorio Gassman è Peppe Er Pantera, il boxeur incensurato che diventa ladro per dare una svolta alla sua vita e finisce per innamorarsi di una serva. Marcello Mastroianni ha un figlio da accudire perché la moglie è in carcere e pensa che con i soldi ottenuti dal colpo aprirà un conto in banca al bambino. Totò è il romantico scassinatore d’un tempo, dà un volto alla saggezza dell’anziano, sorvegliato speciale dalla polizia, che vive insegnando i trucchi del mestiere. Tiberio Murgia (Ferribotte), che è sardo, interpreta un siciliano stereotipato che alla fine cede e riconosce l’amore della sorella (Cardinale) per Salvatori. Toccante il ladruncolo interpretato da Memmo Carotenuto che muore sotto le rotaie del tram dopo uno scippo finito male.
I soliti ignoti nasce come parodia del genere gangster nordamericano e dei film noir francesi, ma cresce tra le mani dei suoi autori per diventare il primo lavoro di un genere nuovo. Monicelli fa persino morire un protagonista, inserisce un funerale e momenti drammatici (Gassman con i fiori in mano, Totò che rende visita alla salma…) in una sceneggiatura prettamente comica. Il regista non smentisce una poetica del dolore, sempre presente in ogni opera della sua notevole produzione. La fotografia di Gianni Di Venanzo, in un livido bianco e nero, realizza una perfetta ambientazione nei quartieri popolari della Roma fine anni Cinquanta. Sembra la Roma di Pier Paolo Pasolini (Una vita violenta, I ragazzi di vita…), tra borgate, casermoni, sottoproletariato urbano, ladruncoli, serve e scippatori.
Raccontare in dettaglio la trama è inutile per un film che tutti abbiamo visto e che in definitiva racconta le vicissitudini di una banda di ladri che tentano di svaligiare il Monte dei Pegni, scassinando la cassaforte. Tutto finisce male, invece di un bottino miliardario il simpatico gruppo si accontenta di mangiare pasta e ceci con involtini di carne scaldati al fuoco d’una cucina economica. Ognuno torna alla vita di sempre, mentre Roma si risveglia, i tram cominciano a circolare, Er Pantera capisce di essere innamorato della sua servetta e si trova persino un lavoro.
Pino Farinotti concede cinque stelle. “Capolavoro per molte ragioni. Il comico che diventa cosa seria, non solo espressione di gag estemporanee e di gestacci scontati. Gassman che diventa attore comico e continuerà su quella strada. La forza di molti caratteristi (Murgia, Pisacane). La capacità del film di rappresentare col sorriso un po’ triste quel momento storico difficile. Sarebbe seguita la stagione della commedia all’italiana…”. Da notare che il Farinotti aumenta il giudizio da quattro a cinque stelle nel corso del tempo, aggiunge – ed è vero! – che “il film non perso vedibilità” e che “Monicelli con questo lavoro veleggia dalle parti di Chaplin, Tatì, Wilder e Allen”. “Il film rappresenta quel sorriso intelligente che è un’opzione primaria e benemerita del cinema”, afferma. Condividiamo. Quattro stelle per Morando Morandini. “Uno dei pilastri della nascente commedia all’italiana: la sua eccezionale riuscita nasce da un’azzeccata scelta degli interpreti e una sceneggiatura perfetta, senza contare il bianconero di Gianni Di Venanzo e le musiche jazzistiche di Piero Umiliani. Il primo film comico italiano dove compare la morte, con personaggi invece di macchiette, una comicità venata di dramma e il tema dell’amicizia virile…”. Quattro stelle anche per Paolo Mereghetti. “Questa specie di versione popolana e ilare di Rififi di Dassin è il miglior film di Monicelli e la migliore commedia all’italiana di sempre. Un bel ritmo, piccole annotazioni gustose e una serie di personaggi sbozzati alla perfezione e che sono entrati a far parte della memoria collettiva”.
Campione d’incassi in Italia e buon successo negli USA, cosa non scontata per una pellicola italiana. Esistono due remake statunitensi: I soliti ignoti made in USA (1984) e Welcome to Collinwood (2002). Molte pellicole italiane citano il film originale e in alcuni casi cercano di continuare la storia. Nanni Loy gira Audace colpo dei soliti ignoti (1959), il primo film da solista, intelligente sequel de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, ma che risente di tutti i problemi delle opere che devono confrontarsi con un grande originale. I soliti ignoti avrà un ultimo triste sequel nel 1985: I soliti ignoti vent’anni dopo girato da Amanzio Todini. Come svaligiammo la Banca d’Italia (1962) di Lucio Fulci ricorda I sette uomini d’oro di Marco Vicario, ma per alcune situazioni cita I soliti ignoti. Franco e Ciccio sono due ladri maldestri con un fratello genio del crimine detto Il Maestro (Mario Pisu). Un altro Franco & Ciccio movie – Il clan dei due Borsalini (1971) di Giuseppe Orlandini – cita a piene mani I soliti ignoti nella parte noir comica, quando Franco Franchi imita Totò nei panni di uno scassinatore che insegna a un gruppo di allievi inesperti come si apre una cassaforte. Il furto compiuto dalla banda di ladri da quattro soldi ricorda ancora una volta il film di Monicelli, tra equivoci a non finire e buchi nelle pareti sbagliate. I mitici – Colpo gobbo a Milano (1994) è uno dei migliori film di Carlo ed Enrico Vanzina che si avvalgono della collaborazione alla sceneggiatura di Pero De Bernardi e Leo Benvenuti. I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli è rivisitato e corretto in salsa vanziniana con la partecipazione di Monica Bellucci, Ricky Memphis, Tony Sperandeo, Umberto Smaila e Ugo Conti. Non va sottovalutato il grande omaggio a un genere.
Regia: Mario Monicelli. Soggetto: Age & Scarpelli. Sceneggiatura. Mario Monicelli, Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli. Fotografia: Gianni Di Venanzo. Montaggio: Adriana Novelli. Produttore: Franco Cristaldi. Musiche: Piero Umiliani. Scenografia. Vito Anzalone. Costumi: Piero Gherardi. Trucco: Romolo De Martino. Casa di Produzione: Vides Cinematografica. Stabilimenti: Cinecittà e Lux Film. Distribuzione: Lux Film. Interpreti: Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Renato Salvatori, Totò, Carlo Pisacane, Tibero Murgia, Memmo Carotenuto, Carla Gravina, Rossana Rory, Nino Marchetti, Gina Rovere, Lella Fabrizi, Gina Amendola, Elvira Tonelli, Mario Feliciani. Premi: Due Nastri d’Argento (1959): Vittorio Gassman – migliore attore protagonista – Suso Cecchi D’Amico e Mario Monicelli come miglior sceneggiatura. Silver Seashell al Festival di San Sebastian (1958) per Mario Monicelli. Nomination al Premio Oscar come miglior film straniero (1958).
Per vedere alcune sequenze: http://www.youtube.com/watch?v=y2rMI7MyVms
Gordiano Lupi
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