A cura di Gordiano Lupi
Osvaldo Civirani non è certo uno dei migliori registi tra gli autori che hanno guidato la copia comica siciliana. I due figli dei Trinità è sulla stessa falsariga de I 2 della formula 1 alla corsa più pazza del mondo (1971) e Due pezzi da 90, forse peggiore, e anticipa il modesto I due gattoni a nove code… e mezza ad Amsterdam (1972), anche se è firmato con il suo abituale pseudonimo di Richard Kean. Pare quasi un remake de Il bello, il brutto, il cretino (1967), a tratti ricorda I due rringos del Texas (1967) e I due figli di Ringo (1966), ma è nettamente inferiore alle precedenti parodie western interpretate da Franco Franco e Ciccio Ingrassia.
La trama è un pretesto per collegare – in maniera alquanto raffazzonata – diverse scenette di avanspettacolo western, alcune divertenti, altre meno. Franco e Ciccio gestiscono una stazione di servizio per cavalli dove praticano lavaggio, ingrassaggio (agli zoccoli!) e asciugaggio con un attrezzo artigianale a base di scope e di acqua che cade sul dorso dell’animale da un gigantesco catino. Una delle trovate più geniali del film è la costruzione di questo incredibile manufatto che solo la fervida fantasia del nostro cinema popolare anni Settanta poteva partorire. Non dimentichiamo l’insegna stile cartello autostradale dove si comunica ai cow-boy di passaggio che a tre chilometri c’è un posto dove uomini e bestie possono ristorarsi ed è possibile anche lavare il cavallo.
Civirani cita Sergio Leone con ardite inquadrature degli occhi in primo piano, fotografa duelli paradossali, pistoleri da burletta che cavalcano asini, cavalli alimentati con avena super e pallottole vendute da distributori automatici. La prima parte della pellicola è impostata come una comica del muto, si svolge nella stazione di servizio e mostra una serie di situazioni comiche, tra le quali spicca l’archetipo della fame, una costante nei Franco & Ciccio movies. Franco non mangia quasi mai, perché Ciccio ordina di stare di guardia, oppure perché un bandito gli porta via un enorme panino ripieno di salsiccia e fagioli. Frequenti le fast-motion e numerosi i siparietti da avanspettacolo, come l’arrivo di una troupe di attori che provano Shakespeare ma non hanno soldi per pagare il pranzo. Divertente la citazione di Django con un pistolero che esce fuori dalla bara, così come Salvatore Baccaro è un divertente orribile bandito che Franco cerca di domare come se fosse una bestia feroce. Abbiamo anche Ringo (niente a che vedere con Tessari!) che chiede un cavallo fresco e si ritrova un asino che si muove a colpi di tromba. L’arrivo di Calamity Jane – nonna di Franco e Ciccio – modifica la trama del film e apre un’improbabile caccia al tesoro. I due gestori della stazione di servizio si scoprono figli dei fratelli Trinità e seguono le indicazioni di una mappa per recuperare una somma ingente nascosta dai loro padri.
Cominciano le citazioni da Lo chiamavano Trinità (1970) e Continuavano a chiamarlo Trinità (1971), di E. B. Cloucher (Enzo Barboni), interpretati da Bud Spencer e Terence Hill. Prima di tutto vediamo i due cugini cavalcare il deserto con un gigantesco ombrello verde per ripararsi dal sole. Civirani smitizza e ridicolizza i topoi del cinema western. Vediamo Franco e Ciccio bere whisky con la cannuccia e giocare a poker contro un baro professionista. Un prestigiatore si sostituisce a Franco per esibirsi in un numero da giocoliere con le carte da scozzare. La sfida al tavolo verde è parodia pura, così come il duello tra Franco e il cattivo, a base di schiaffoni, riprende il Trinità di Barboni, ma esagerando sul lato farsesco. Siamo nella parte migliore di un film che non può dare più di quel che è lecito attendersi, visto che è pur sempre una parodia di due parodie western.
Ammiriamo la bellezza di Lucretia Love, moglie del produttore Neri Parenti, che ricordiamo quasi debuttante in Fenomenal (1968) e Zenabel (1969) di Ruggero Deodato, nei panni della ballerina che aiuta il cattivo a trovare il tesoro usando le armi della seduzione. “Sono l’ultimo dei belli”, dice Franco, citando una sua canzone. Franco cade nella rete, spiffera tutto, concede persino un passaggio alla bella cavallostoppista e si fa soffiare il tesoro. Entrano in scena anche un gruppo di frati che fanno il bagno nel fiume e alla fine aiutano i nostri eroi a risolvere un sacco di problemi. Civirani gira quasi tutta la pellicola nelle campagne romane, le sequenze del bagno nel fiume sono al laghetto di Manziana, luogo storico del cinema popolare italiano.
Bene o male, Franco e Ciccio recuperano il tesoro e rientrano alla base dove se la devono vedere con il bandito Cin Cin Cian, un buffo bandito cinese che parla per proverbi in rima. “Quando un tuo nemico non ti consegna il malloppo gli dai un pugno nell’occhio”, “Se ti dice che non ne sa niente tu fagli saltare un dente”, non sono che due esempi. Il finale è un puro stile Enzo Barboni, molto più volgare e tirato via, con i frati che tolgono le pistole ai banditi e scatenano un’interminabile (e piuttosto fiacca) scazzottata. I soli momenti divertenti vedono Franco con una caffettiera nella mano che gli rende il pugno proibito e quando i nostri eroi indossano come elmi niente meno che uno scolapasta e un secchio. Molto fumettistico, ma efficace. Ottimo il doppio finale con Franco e Ciccio che bevono birra e fanno servire i clienti da due procaci ragazze, ma finiscono per litigare.
I due figli dei Trinità è un film del periodo decadente, quando orami la rottura tra Franco e Ciccio era vicina. Una pellicola dal ritmo fiacco, fotografata male, montata peggio e spesso girata con molti errori, scritta e sceneggiata in maniera scolastica. Civirani è un regista figlio di un fotografo, che viene dalla stesa professione, praticata per anni alla Cines. E in questa pellicola fotografa la notte come se fosse il giorno, senza il minimo rispetto per lo spettatore.
Pino Farinotti concede due stelle, mentre Morando Morandini ribassa a una e mezza (ma per il pubblico sono tre) e afferma: “Flebile parodia del western sotto il segno della giustizia, anche divina, che premia i buoni”. In compenso sbaglia il titolo e lo ribattezza I due figli di Trinità. Paolo Mereghetti – forse disgustato – non cita la pellicola e finge di dimenticarsene. Un Franco & Ciccio movie da dimenticare, indifendibile.
Regia: Osvaldo Civiriani (Richard Kean). Soggetto e Sceneggiatura: Osvaldo Civirani. Fotografia: Walter Civirani. Operatore alla Macchina: Sergio Rubini. Assistente Operatore: Enrico Priori. Montaggio: Mauro Contini. Fonico: Pietro Ortolani. Trucco: Marcello Di Paolo, Marisa Manici. Parrucchiera: Lidia Puglia. Sarta: Nadia Fabriani. Maestro d’Armi: Clemente Ukmar. Effetti Speciali: Battistelli. Consulenza: Prestigiatore Raimondi. Costumi: Cantini & C. Musiche: Sante Maria Romitelli. Architetto: Giorgio Postiglione. Direttore di Produzione: Graziano Fabiani. Ispettore di Produzione: Bruno Evangelisti. Segretaria di Edizione: Luigina Lovari. Produzione: Production International Films. Colore: Spes di E. Catalucci. Teatri di Posa: De Paolis. Registrazione: Fono Roma, CD. Interpreti: Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Lucretia Love, Anni Degli Uberti, Freddy Hungar, Franco Ressel, Andrew Scott, Fortunato Arena, Gianni Pulone, Angelo Susani, Fulvio Pellegrino, L. Antonio Guerra, Clemente Ukmar.
Per vedere il film completo: http://www.youtube.com/watch?v=wFYdPNawVhs&feature=plcp
Gordiano Lupi
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