A cura di Gordiano Lupi
Gran Bollito inizia con una comprensibile bugia, per difendersi da eventuali azioni legali da parte della famiglia Cianciulli, scomparsa nel 1970, dopo aver trascorso anni in manicomio criminale. Una lunga scritta bianca su sfondo nero chiarisce che i fatti non sono ispirati alla vita di una determinata persona ma alla follia umana in generale e che ogni riferimento alla realtà è soltanto casuale. In realtà Bolognini, Vincenzoni e Badalucco sceneggiano le gesta reali di Leonarda Cianciulli, detta la saponificatrice di Correggio, modificando solo poche cose e aggiungendo alcune giustificazioni cinematografiche agli eccidi compiuti da una delle serial killer più feroci del primo Novecento. Joe D’Amato, nel 1979, con Buio omega, compie una simile operazione, in veste splatter. Massaccesi ha ben presente la storia della saponificatrice quando realizza terribili sequenze che vedono in primo piano cadaveri sezionati che i protagonisti fanno sciogliere in una vasca colma di acido. La realtà si trasfonde nel cinema e come sempre ispira e supera la fantasia, la sola differenza è che il folle protagonista del film si limita a occultare il cadavere e non produce sapone.
Gran bollito, invece, è direttamente ispirato alle gesta della Cianciulli, anche se il nome della protagonista viene cambiato in Lea; Shelley Winters interpreta il suo sguardo allucinato e carico di odio con la bravura e la professionalità che la contraddistinguono, finendo per oscurare la presenza degli altri attori. Gran bollito è una black comedy molto inglese, teatrale, grottesca che narra le gesta di una donna meridionale trasferita al Nord insieme al marito (Scaccia) che gestisce un botteghino del lotto. La donna ha fatto una vita di stenti, ha perduto dodici figli – tra aborti e morti in culla – ed è morbosamente legata a Michele (Marsina), unico figlio superstite. Il marito rimane paralizzato, lei prende il suo posto al botteghino e – da esperta di magia quale dice di essere – si crea un piccolo gruppo di clienti – amiche. Terrorizzata dalla paura di perdere il solo figlio che le è rimasto, decide di offrire tre vite umane alla morte con la quale ritiene di aver stretto un patto. Lea uccide donne che ritiene inutili, perché non possono avere figli e solo lei sa quanto siano importanti. La strega spacca la testa alle tre amiche (Lionello, Von Sydow, Pozzetto), in rapida sequenza, e le mette a bollire in un pentolone ricavandone sapone e squisite torte al sangue composte di polvere ossea pestata in un mortaio. Il film termina con la polizia che arresta la donna mentre sta per uccidere con la scure la fidanzata del figlio (Antonelli).
La vera Leonarda Cianciulli godeva di minori motivazioni psicologiche – a parte la follia – e non aveva un solo figlio ma quattro, inoltre il marito non era paralizzato, ma la coppia si era separata. Bolognini miscela con sapienza elementi macabri e humour nero, senza rinunciare alla suspense ma al tempo stesso senza scadere nello splatter e nell’orrore viscerale, stemperando le parti macabre. Shelley Winters è straordinaria nella parte di Lea, ma sono molto bravi in vesti femminili Alberto Lionello, Max Von Sydov e Renato Pozzetto, nei panni delle tre vittime: la romantica Berta, la repressa Lisa e la cantante Stella. Da notare che i tre attori ricoprono anche ruoli maschili come maresciallo (Von Sydow), bancario (Lionello) e carabiniere (Pozzetto). L’idea di far recitare tre uomini in parti femminili ricorda il teatro antico e – visto il tono grottesco della commedia – conferisce originalità e interesse a un film ben sceneggiato, strutturato con dialoghi rapidi e realistici. Milena Vukotic è la serva sciocca, succube della padrona, Alberto Lionello è una donna perfetta contesa tra la voglia di scappare in America per ritrovare il marito e la paura dell’ignoto, mentre il peggiore di tutti è l’inespressivo Antonio Marsina nei panni del figlio. Tecnica di regia classica, uso del grandangolo, piani sequenza, primi piani, taglio molto teatrale e dialoghi ridotti all’essenziale.
Il film è girato quasi completamente in interni con poche sequenze esterne ambientate a Parma, gode di buona ambientazione d’epoca e arredamento curato che ci portano alla fine degli anni Trenta, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, che la protagonista prevede in un allucinato finale. Fotografia ocra, anticata, soffusa; montaggio da thriller, senza tempi morti, colonna sonora di Jannacci che ci fa compiere un nostalgfico tuffo nella musica popolare meneghina. Renato Pozzetto si doppia in un buffo accento tedesco e canta alcune canzoni del suo repertorio, scritte da Jannacci, mentre Vita vita è interpretata da Mina. Laura Antonelli si ritaglia una partecipazione straordinaria, ma appare abbastanza fuori parte nei panni della fidanzata del figlio di Lea, che scampa alla mattanza in un concitato finale e soprattutto recita poche battute, limitandosi a sguardi ed espressioni allucinate. Il suo ruolo è irrilevante nell’economia di un film che si ricorda come intenso thriller psicologico caratterizzato dall’onnipresente immagine di Shelley Winters nei panni del mostro sanguinario. Il finale è ispirato quasi del tutto alla vera Cianciulli, quando dopo l’arresto viene chiamata Mostro e lei risponde alla folla con un sorriso di sfida. I soli rapidi nudi sono di Milena Vukotic (grottesco) e di Antonio Marsina (maschile), ma per Laura è il film più casto della carriera.
Mauro Bolognini (Pistoia, 1922 – Roma, 2001), architetto diplomato scenografo al Centro Sperimentale di Roma, aiuto di Luigi Zampa, Yves Allegrét e Jean Delannoy, regista in proprio dal 1953 (Ci troviamo in galleria), si avvicina a un tardo neorealismo con Gli innamorati (1955) e Giovani mariti (1957). I suoi film migliori sono frutto di sceneggiature pasoliniane: La notte brava (1959, tratto da Una vita violenta), Il bell’Antonio (1960, con la collaborazione di Vitaliano Brancati), La giornata balorda (1961); regista colto, interessato a soggetti letterari (Senilità, Agostino, Bubù, Per le antiche scale, L’eredità Ferramonti…) e romanzi importanti (Metello), lo ricordiamo per la direzione di alcune opere liriche. A Pistoia – sua città natale – c’è un teatro intestato a suo nome. Tra i suoi film più interessanti e meno celebrati ricordiamo Le bambole (1965), Capriccio all’italiana (1968), La venexiana (1986) – dove ritrova Laura Antonelli, questa volta da protagonista, la miniserie televisiva Gli indifferenti (1988) – ancora con Laura Antonelli – e La villa del venerdì (1991), ultimo lavoro per il cinema. La famiglia Ricordi (1995) è il suo ultimo impegno televisivo.
Regia: Mauro Bologni. Casa di Produzione: P.A.C. – Produzioni Atlas Consorziate. Produttore: Sandra Riccardi Infascelli. Soggetto: Luciano Vincenzoni, Nicola Badalucco. Sceneggiatura e Dialoghi: Nicolaa Badalucco. Dialoghi Aggiuntivi: Angelo Della Giacoma. Scenografia, Costumi, Arredamneto: Danilo Donati. Fotografia: Armando Nannuzzi. Musiche e Canzoni: Enzo Jannacci. Edizioni MUsicali: Impala. Canzone: “Vita vita” (canta Mina). Montaggio: Nino Baragli. Organizzazione Generale: Fernando Franchi. Direttore di Produzione: Massimo Alberini. Architetto: Giovanni Natalucci. Aiuto REgista: Antonio Gabrielli. Operatori alla Macchina: Michele Cristiani, Daniele Nannuzzi, Alfredo Senzacqua. Fonico: Piero Fondi. Fotografo di Scena: Mario Mazzone. Sviluppo e Stampa: Technospes spa. Negativi: Eastmancolor, Kodak. Teatri di Posa: Dear International. Doppiaggio e Sincronizzazione: Fono Roma. Adattamento Dialoghi: Alberto Piferi. Doppiaggio: C.V.D. (diretta da Fede Arnaud). Interpreti: Shelley Winters (doppiata da Regina Bianchi), Max Von Sydow, REnato Pozzetto, Alberto Lionello, Laura Antonelli, Mario Scacia, Milena Vukotic, Adriana Asti, Rita Tushingham. Liù Bosisio, FRanco Branciaroli, Antonio Marsina, Maria Monti, Marco Modugno, Alberto Squillante, Giancarlo Badessi, Franco Balducci.
Gordiano Lupi
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