Visto, ascoltato e sentito da Roberto Miano
Esiste la favola minimale dei poveri cristi ed è quella per cui improvvisamente si coniugano elementi apparentemente scoordinati che messi insieme trasformano una serie di attimi in una collana di pietre graziose da lucidare con i polpastrelli e le parole quasi fossero un rosario. E allora metti la poppa di una nave da crociera, una luna che fa la cravatta al mare, un vento caramellato ma fresco e la musica di un disco che è uscito da poco e che ami probabilmente da sempre. Il tuo amico Teo in arte Frankie Magellano ha licenziato il suo secondo disco, potremmo dire il primo – se volessimo parlare di una definitiva maturità musicale e dei testi e se volessimo considerare che l’evento trovare il primo disco ha la stessa percentuale di probabilità che ha il sottoscritto di vedere salire su questo ponte un delfino curioso a chiedermi una cazzo di caramella morbida alla fragola. Sono in Grecia mica a Rimini, ai confini cioè della patria del nostro Teo, ma in Grecia inizia la partita del Frankie che mette insieme canzoni che sembrano ballate che partono dal mediterraneo e si spingono sempre più verso est, come acrobati che si arrampicano sui Balcani, fino ad arrivare ai confini della Russia…
Il disco, adulterio e porcherie (sesso, vita, clock and doll con la esse finale non pronunciata), si apre con Djevska incintissima, un pezzo che mostra subito il coraggio di Frankie che se ne frega da subito di apparire “laddove la protuberanza non fa parte del copione” e che mette subito in campo la sua ESTrema ratio musicale ed artistica (“ecco dove muore la femminilità, la madre non dà tempo ai peccati della carne, incinta, incinta e vogliosa, male maritata, estetica finita, bruciata,trucchi e nodi nei capelli per non dimenticarti che devi partorire, madre, giovane invecchiata, identica all’unto, al burro e allo strutto, scivoli fuori dai piaceri senza farti male, con il culo in fuori”). Dallo sfregare dei violini esce fumo di sigarette e nebbia, dai tasti del piano cadono cubetti di ghiaccio nei bicchieri di vodka che vengono afferrati da anime che si bevono un’ipotesi qualsiasi, la sezione ritmica fa ballare gli astanti, la chitarra fa il lavoro sporco e come un mediano di Ligabue rappresenta la puzza di mare che da certi luoghi non andrà più via Quella che dovrebbe essere una balera è in realtà un porto ambiguo di umanità che danza grottesca. Alla fine batti le mani e vai verso il juke box, nel tuo bar, per vedere chi stesse cantando, hai una moneta in mano e la punti sul pezzo successivo: il secondo brano, “La gravidanza sicura”, l’unico per me inedito in quanto mai sentito dal vivo. Frankie fotografa la vita con l’autoscatto e cambia filtri e tempi di esposizione perché l’anima è più sensibile quando è immobile sulle riflessioni. Voce e ritmi si rilassano, tutti svuotano le proprie tasche, come fossero posacenere, liberandole dei pensieri. Qui i dubbi sono tutti dell’artista, il pianoforte si veste di velluto, i fiati sottolineano le liriche più importanti, come matita rossa. Il testo infatti chiama Gesù sul banco dei testimoni come persona per lo meno informata dei fatti, a lui Frankie chiede ebbrezza da commedia (almeno venti anni or sono gli confessava “o Gesù bestemmio anche io ma credo in te più che a mio zio”), a lui confessa di essere il male di sè. Pregare al ritmo di una salsa confessando di essere colpevoli del proprio stranumore esistenziale vuol dire avere spirito e non solo spiritualità. Avessi un mio cha cha cha chiederei a questo Gesù di benedire Frankie, ma del resto – avessi fede – sarei sicuro che Gesù non avrebbe bisogno del mio consiglio. La musica infatti è perfetta, i fiati sono severi e decisi, la ritmica fa battere i piedi, il piano tiene Frankie sulle celle degli attimi, la chitarra riempe gli spazi vuoti senza farsene alcun vanto e tutto è ristoro per chi deve solo ascoltare. Bene, bravo bis.
Frankie prosegue, in un disco non ci sono tempi per gli applausi. La “favola del pasticcere”, terzo brano, è una ballata di cui, compositori o semplici ascoltatori, bisogna essere orgogliosi. Si tratta di un capolavoro senza prospettiva, è una canzone perfetta a 360 gradi, senza quella relatività che sta uccidendo troppa musica venduta a spicchi di 90 gradi (!!!). La musica qui è come il guscio di una perla, forte ma quasi timida nel suo ruolo, del resto la Teologia insegna che i sentimenti si raggiungono in punta di piedi.”Credimi per un giorno, l’emozione dura anche di meno, ripristina i sentimenti e preparali al futuro. Ti abituerai come la neve senza far rumore… E non ci sarà amarezza, mancherà il tempo di pensarla, e non ci sarà carezza mancherà la persona giusta. Ricordati di me come fossimo stati amanti, come avessimo avuto tanto invece è solo stato un momento. Un attimo di distrazione, un capriccio quasi infantile, di una figura ne fai una fiaba ma una fiaba ha la sua strega… tanto era solo il riflesso di uno specchio che si è già rotto”
Io potrei già accontentarmi ma il nostro prosegue con un altro tributo alla musica balcanica (il disco avrà alla fine tre facciate, un lp tridimensionale, lato A: Balera e balcani; lato B: Teatro e follia; lato C: Pornografia dei sentimenti.). Manca nel lato A, e spero sarà una b side di un singolo o di un prossimo EP, la grandissima Rabiosissimo Dimitry Vangelo, cover riveduta con barba e usanka, della hit del 1982 Paradise famosa almeno quanto il film dove Phoebe Cates scostumata attrice e singer turbava le idee musicali e non solo di un giovanissimo Ma..Teo!!!. Tornando al nuovo brano, tributo alla musica dell’EST, ebbene “Il tramonto della rana pescatrice” (non chiedete spiegazioni ai titoli, sono quasi sempre una licenza teatragica del nostro) racconta con un ritmo affannato di una storia come tante altre dove “all’ombra rimane soltanto che finisca la luce”. Alla fine, come in un flash mob circense, Frankie sorride prima di svanire tra le mille facce della foll(i)a. E sorride giusto perché il pezzo dopo è un gioiello che omaggia la efficacia di questo suo teatro minimale (mobile e schifoso) dove recita plasmando la voce per dar corpo alle ombre che scricchiolano sulle tavole del palco, la musica mette in scena il fastidio, siamo alla follia pura, ai confini dell’ossessione. Lo spartito è sapiente e il pezzo sa di stoffa pesante, color (g)rosso sipario. Uccidi la zanzara, se ci riesci, io non ci riesco, forse perché inconsciamente non voglio. Infatti alzo il volume.
“Sai cosa ti canto? Lalalalala…”. “La leggerezza dell’inganno” è un pezzo che amo, un’altra ballata coi controattributi. Di quelle che se sei famoso ci fai i soldi per un’estate e ci campi di rendita per una vita. “Cantano le fate ubriache della luna e ridono le streghe in compagnia dei sogni infranti. Cadono le stelle in un bicchiere pieno di felicità. Non è la solitudine che fa morir le favole, non è la mia pazzia, i diavoli hanno un debole per chi si lascia spegnere”. Frankie diventa poeta assoluto e fa il vuoto intorno a sè. La solitudine è in fondo la condanna dell’uomo artista. Tolta la maschera il fan troppo spesso non sa che farsene dell’uomo qualsiasi. Si cerca la divinità nell’arte, non l’umanità. Ed è un errore tipico di egosimo umano, perché le canzoni (per esempio) sono diapason che mettono insieme le anime, accordandole per un’armonia dialettica. La Poesia nasce dall’assurdo per cui l’artista che parla dell’uomo qualsiasi è condannato ad esserne separato per sempre.
Frankie ha spesso pudore e parla di sentimenti come se registrasse pornografia con uno stetoscopio. Lui è così: un cuore – a canzonarlo – lo mette in difficoltà più di una fica. Io plaudo e vi racconto della magia di un pezzo, l’ennesima di un uomo ed artista spesso triste, anche se dissimula con un sorriso gagliardo e guascone, ed ho ragione io quando poi ascolto “Il taccuino del sagrestano”, un vero e proprio inventario delle enormi “cose di poco conto”, dove “la felicità è fatta di savoiardi” per “una commedia a lume di cose deboli.” Pezzo drammatico, il violino e il piano ce lo spiegano chiedendo spazio con l’arroganza di un tango, perché in fondo Teo “vive le cose compromettendone il gusto” e per“chè le parole come la cera si sciolgono”. Come non amare quest’uomo? Se non fosse che ne vanto l’amicizia, chiederei un autografo (all’artista). Provate anche voi a chiedervi “Cos’è la felicità senza provare imbarazzo?”Altro pezzo da teatro importante. Non cambia molto lo spartito nel brano successivo, primo video, al servizio di un testo che va letto senza ballarci sopra, sì perché Frankie o ti fa riflettere ovvero ti evita di pensare, facendoti ballare. Sta a te scegliere cosa fare della sua musica, come una maglia doupleface, decidi tu quale verso indossare. “Tu non chiedevi una vita diversa, avevi già partecipato ad un fallimento ora toccava a me. Noi che guardavamo la ragazza di ufficio così imbottita altresìmodo pulita, mai spudorata e con già un marito, semplici come soltanto la sfortuna ti lavora, l’apprezzavamo più di ciò che era perché la fabbrica ti fa cosi, momenti di alta qualità complici e colleghi, divisi per impieghi. Poco stipendio però non me la prendo, ho avuto un buono scambio, adulterio e porcherie.” Si tratta di un pezzo completo, di quelli che hanno consapevolezza di essere, il meno preoccupato di spiegare, molto rappresentativo del Frankie che fa ballare un altro tango a quel circo di umanità spesso sgraziata che lui osserva dal suo angolo prezioso e scomodo (e sia chiaro una prospettiva è sempre spazio angusto per chi osserva con occhi enormi). Altro tributo alla dialettica uomo/donna. Adoro il pezzo. Adoro già il disco e ancora deve arrivare il capolavoro:
“La retrocessione del Giulianova”. Il contrabbasso fa da occhio di bue alla lirica impazzita del nostro che, sulle note gravi del piano, dice apparenti assurdità, mostrando i denti alla platea. “La città non dorme, si ammala nella veglia, in punta di peccato. Lavami via questo vizio tremendo, porta da lei la mia poesia, sulle ali di un comportamento che è il mo cancro. Spento il desiderio rimangono le croste. L’anima galleggia, la dignità si arranca. Mi guardo lo spettacolo dalla finestra.” Solo il pianoforte dà acqua all’anima, poi apnea musiconarrativa. E mentre il giullare imbriglia la tensione, l’artista pretende l’attenzione. La storia è intrigante e assurda come un quadro neorealista. Frankie ha la torcia sotto il mento, le parole sono chewin gum sul legno del pavimento. Il piano scioglie il pathos con piccoli colpi. Io – in galleria, lontano da tutti – sono ammirato. Non si spiega un testo del genere. Non ha senso e quindi significa tutto. Grottesco, allegrottesco, maledetto ma ben recitato, fantastico, lirico, onirico, un pezzo difficile che io, uno su enne per enne all’infinito, metto su tutti. La follia di Frankie esce fuori al meglio e danza a braccetto con la sua genìa. La voce bassa istruisce le ombre. La gente in platea si guarda alle spalle, vorrebbe applaudire ma non ha tempo perché inizia subito “Cane palustre”. Un pezzo alla Badalamenti, un po’ come tirar fuori la notizia che Laura Palmer è stata uccisa dentro l’Asioli e gettata tra le rane e le canne di Rubiera. “Piangono le suore e anche i carpentieri. Lenta va la barca senza i desideri”. Altro gioiello. “In mezzo alla palude la puzza non ha odore”. Dimostratemi il contrario e togliete a Frankie la sua piccola laurea in filosofia degli angoli maltrattati dalla distrazione. Il brano che chiude l’album è “amore mio fallimentare”, si tratta di una lirica di Pier Vittorio Tondelli [nato a Correggio (città natale di Frankie) nel 1955 e morto a Reggio Emilia nel 1991 (appena un mese dopo la morte di Freddie Mercury, come lui per AIDS)] musicata da Frankie con il gusto di chi ama il lato drammatico di Pinocchio ma lo cerca nel refrain agro-allegro (avete presente la musica di Fiorenzo Carpi?), perché intende dare all’amore fallito una chance di futuro verso il quale solo le anime fanciulle corrono, investendoci fiato e spensieratezza Andate su you tube con questo pizzino, troverete un video ed una fotografia efficaci oltre che splendidi (Teo è dannatamente affascinante qui), non distraetevi, ascoltatela per un minuto e poi provate a dimenticarla (ta-tà-ta-tata-ta-ta-ta-ta…). “Sono ahimè innamorato. Anche io. Ti ricucirò sul mio cuore sbadato. Non te ne andare non mi lasciare, io ti amo amore mio fallimentare”. Qui Frankie prende in prestito le parole per trattare l’amore con la sua musica, sempre con il pudore di chi crede che cuore faccia semmai rima con stupore. Quando pensate che stia vezzeggiando il comune senso del torpore, ebbene lui se ne va, come un burattino di legno (ta-tà-ta-tata-ta-ta-ta-ta…) con il cuore di spugna, di quelli che assorbono tutta la vita che li attraversa. Un cuore così inesorabilmente quando è zuppo gocciola di musica e parole. Un cuore così fa di un artista un uomo (e semmai viceversa).
Non nell’album ma nell EP “prima o poi ti mangerò” c’è “Panna”, pezzo che viene da lontano, dal primo disco, già rappresentativo di quello che Frankie sarebbe stato: un cazzo di musico (sia chiaro, non un musico del cazzo) per pochi atti e molti matti. “Il lessico era estero, ma l’occhio comprensibile. Sentivo che eri fragile, l’avevi scritto sopra il cuore, c’era segnato di non capovolgere il sesso con l’amore. Le parole si perdono le illusioni si lasciano al confine. Ma se il peccato avesse a noi dato qualche minuto in più, mandato a prostitute la coscienza e fatto inciampare Paolo, depositato in Italy, all’alba guardo verso EST (qui la musica è quassi caraibica). Non ho lacrime per te ma se le avessi le trasformerei nei tropici.”
Il finale è del piano.
Frankie con il suo cilindro nero svanisce nel buio e nel silenzio di un urlo non strozzato ma solo immaginato. Rimangono le dita di Pippo (Bartolotta) in dissolvenza sui titoli di chiusa, la chitarra di Paolo Gilioli a completare lo spartito tessendo le trame sottili mancanti tra strumenti, concetto musicale e scenografia, il contrabbasso di Andrea Moretti (l’Alan Ford del gruppo, quello bello e assolutamente efficace nel suo ruolo) che ha il compito quasi clinico di dar voce al cuore del piccolo teatro errante (anche nel senso che sbaglia) e la batteria di Michele Traplijiov Mazzieri che percuote il rullante e i piatti con raziocinio e precisione pur costretto ad utilizzare due pacchi di spaghetti di metallo da quasi un etto ciascheduno (che faccio lascio?).
Sipario.
Ora sì. Voi in platea potete alzarvi in piedi ed applaudire.
Roberto Miano, amico Romano appassionato scrittore, poeta, gran gourmet di parole, di musica, di parole nella musica e musica nella parola. Mi ha fatto questo regalo sprecando la sua crociera per ascoltare e dettagliare la mia musica…..Grazie sempre Rob!