Guardando Fiore mio di Paolo Cognetti
Il silenzio è un’eco,
dentro mille e mille parole
di chi fummo e saremo.
Ideogrammi nel vento
e preghiere circolari nell’aurora
che salgono al dio di tutti,
senza distanze di voce.
Rotolio di pietre nell’anima,
soave sussurro senza stridore,
la presenza di chi ci accompagnò
lungo l’arduo sentiero.
Il latte e lo smeraldo dell’acqua
ai piedi del ghiacciaio
e i pensieri del ruscello
nelle mani a coppa.
Fluendo nella corrente aerea
sopra l’immobile mondo
per una visione non statica.
Le creste del tramonto nell’orizzonte,
onde di un fuoco che è balsamo,
prima delle stelle infitte
nelle profondità cosmiche,
domanda senza perché.
I fili di seta del ricordo
a vibrare nella brezza
e cuori all’unisono.
Alberto Figliolia
Una pellicola di immagini e silenzio. La maestà delle montagne nel ciclo naturale. E una presenza umana umile, discreta, saggia, contestualizzata alla perfezione in un ambiente che può essere durissimo, ma che sa donare infiniti spazi interiori di serenità.
Fiore mio di Paolo Cognetti è un viaggio fra valli, cime, laghi, ghiacci, ruscelli, rifugi e persone; un itinerario che incanta.
Presentato in anteprima a Roma e a Milano martedì 19 novembre sarà in 210 sale italiane solo il 25-26-27 novembre (dettagli su nexostudios.it), ma è già pronta una vastissima distribuzione internazionale, Nuova Zelanda compresa, Paese in cui non mancano imponenti montagne.
Un’elegia della montagna è Fiore mio, senza peccare tuttavia di retorica e pretenziosità. La scrittura filmica di Cognetti è lineare, chiara, intensa ed estensiva, lirica ma senza sbavature.
La sceneggiatura è essenziale, le parole hanno misura e peso specifico, una mirabile eco nella mente e nello spirito di chi guarda, immergendosi in quell’atmosfera che sa di ancestrale e, nel contempo, di misterioso e di magico. Poiché la Natura è miracolo che si rinnova e le nostre Alpi sono lì, perenni, a testimoniarlo.
È anche un film di amicizia poiché scorrono nei fotogrammi le persone che con Paolo hanno condiviso e condividono questo profondo amore per gli spazi e gli orizzonti montani, compreso il cane Laki a proposito del quale… Non avevo mai voluto un cane. Il mio vicino aveva preso un cagnolino per la custodia delle mucche, ma al cane non gliene fregava nulla. Allora l’ho preso io. È il mio maestro zen: mi ha insegnato il silenzio. Ha 13 anni, ma ancora mi segue. Siamo andati sino a 4200 metri insieme.
Come facilmente intuibile, all’anteprima milanese era in sala lo scrittore-regista e, con lui, l’artefice delle musiche del film, il cantautore Vasco Brondi, il quale compare anche in una breve scena.
Un Cognetti – un milanese innamorato della montagna – pacatissimo ha risposto a varie domande… Il bello del documentario è che succede mentre lo fai. E interessantissima quest’altra definizione coniata da Cognetti in relazione alla pellicola… Un’operazione di sottrazione di voci inutili.
E l’immobilità mutevole delle montagne, con quelle infinite variazioni d’aspetto e colore secondo le luci e le stagioni, lascia stupefatti di bellezza
Fiore mio, presentato al Locarno Film Festival e al Festival dei Popoli di Firenze, è in qualche modo, seppur nella sua indipendenza creativa, una sorta di poetica e ideale prosecuzione de Le otto montagne – tratto dall’omonimo romanzo e diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, film vincitore del Premio della Giuria a Cannes 2022 – e dello stesso Sogni di Grande Nord (regia di Dario Acocella), in cui Paolo aveva seguito “le tracce del Christopher McCandless di Into the Wild negli incredibili e remoti scenari dell’Alaska.”
“Questa volta il viaggio di Paolo Cognetti si fa più vicino allo spettatore e racconta, in modo intimo, introspettivo e mai scontato, la sua montagna: il Monte Rosa, un luogo geografico ma soprattutto un luogo del sentire e un luogo della comprensione di quanto abbiamo intorno. Quando nell’estate del 2022 l’Italia viene prosciugata dalla siccità, Paolo Cognetti assiste per la prima volta all’esaurimento della sorgente della sua casa a Estoul, piccolo borgo posto a 1700 metri di quota che sovrasta la vallata di Brusson. Questo avvenimento lo sconvolge profondamente, tanto da far nascere in lui l’idea di voler raccontare la bellezza delle sue montagne, dei paesaggi e dei ghiacciai ormai destinati a sparire o cambiare per sempre a causa del cambiamento climatico. Cognetti racconta così la sua montagna sulla falsariga de Le 36 vedute del monte Fuji di Hokusai, un’opera in cui l’artista giapponese ritrasse il Fuji cambiando continuamente i punti di vista e raccontando la vita che scorre a vari livelli: sui suoi fianchi, nelle valli sottostanti, sulla vetta ma anche nelle città più vicine da dove ancora è visibile, lontano, oltre la nebbia dell’inquinamento, il profilo maestoso della montagna…”. In effetti la comparazione non è affatto peregrina. Sono immagini del mondo fluttuante, una filosofia Ukiyo-e applicabile a tutte le latitudini.
Nel dipanarsi delle scene si avvicendano gli amici della montagna: Remigio, della Val d’Ayas, sensibilissimo guardiano della memoria; Arturo Squinobal, un viso scolpito dalle intemperie e dal tempo, e la figlia Marta, capace di trasformare “l’Orestes Huette nel primo e unico rifugio vegano delle Alpi”; Corinne e Mia, rifugiste, emblema di calda accoglienza a chi pratica gli impervi sentieri; lo straordinario Sete, sherpa nepalese capace di scalare Everest, Manaslu e Dhaulagiri, che si divide fra la sua terra natale e la nostra, lavorando qui per alcune stagioni e nelle altre svolgendo il mestiere di guida per i trekking in Himalaya, dove ha una numerosa famiglia.
Estremamente suggestiva la colonna sonora creata da Vaco Brondi… Erano posti che conoscevo benissimo, con tanti riferimenti in comune con Paolo. Ho lavorato con gli amici di sempre e con pochi strumenti, creando un cielo in cui il film si muovesse.
“Per il film, oltre alle musiche originali, Brondi ha scritto e interpretato una nuova canzone, Ascoltare gli alberi, che chiuderà il documentario. Fiore mio, la traccia presente nel finale del film e che ne ha ispirato il titolo, è invece da tempo una delle canzoni più popolari di Andrea Laszlo De Simone, cantautore e musicista torinese che ha vinto il Premio César 2024 per la Migliore Musica Originale di Animal Kingdom (Le Règne Animal), divenendo il primo italiano ad aggiudicarsi questo prestigioso premio.”
Fiore mio è prodotto da Samarcanda Film, Nexo Studios, Harald House e EDI Effetti Digitali Italiani con il sostegno della Film Commission Vallée d’Aoste.
Un film che ti fa sentire bene, come una parte del tutto.
Alberto Figliolia