«E ciò che vale della conoscenza vale anche del rapporto umano. Esso consiste in buona parte nel dare agli altri qualcosa di se stessi: una simpatia, un aiuto, una compagnia, fino alle forme di comunione completa. Ma può uno dar via qualcosa di se stesso, se non possiede affatto se stesso? Chi non fa che parlare, non si possiede realmente, giacché scivola via di continuo da se stesso, e ciò che egli dona agli altri non sono che vacue parole». (Romano Guardini)
Questo mi ha consentito di riflettere sul nostro essere responsabili delle parole, dette o scritte, delle immagini, delle emozioni che si agitano in noi, delle sposte mancate ai desideri e alle richieste di aiuto che ci giungono da ogni parte, dell’attenzione o della disperazione, alle voci del dolore e della disperazione, della tristezza e dell’angoscia.
Quanto sono importanti le parole? Ruota intorno a questo concetto il bellissimo saggio di Eugenio Borgna: Le parole che ci salvano.
Borgna in questo suo ultimo lavoro raggruppa le precedenti pubblicazioni in un unico volume dando modo al lettore di avere una visione completa sulla sua opera:
Una bellissima poesia di Emily Dickinson sulla fragilità e sulla misteriosa durata della parola mi consente di concludere questa mia riflessione
Una parola muore
appena detta
dice qualcuno –
Io dico che comincia
appena a vivere
quel giorno.
La parola è memoria, ed è speranza, nel cuore.
La nostra vita è rappresentata dalle parole, e spesso dimentichiamo quanto esse siano importanti e quanto, le parole, siano uno schiaffo o una carezza, ma soprattutto di come permettano di entrare nel mondo altrui, un mondo non sempre roseo ma che spesso racchiude sofferenze e dolore. L’autore ci fa riflettere su quanto le parole possano influenzare il cambiamento degli stati d’animo e della situazione.
Borgna si sofferma moltissimo sull’importanza delle parole in alcune professioni, soprattutto quella medica, dove ne evidenzia il valore proprio perché sono professionisti che si avvicinano alla persona/paziente in un momento di profonda fragilità: l’oncologo francese David Khanati dove sottolinea l’importanza psicologica e umana delle parole che si rivolgono ai pazienti, e che ne rispettano, o ne lacerano, la dignità e la fragilità.
Né Le parole ci salvano si sottolinea quando un ricovero ospedaliero e/o solo un malessere momentaneo influisca sul nostro essere cambiando il nostro modo di essere nel mondo (…) e comprenderemo che la sofferenza passa, ma non passa mai l’avere sofferto.
In sintesi: le parole creano ponti tra le persone, la fragilità consente la mediazione nella comunicazione perché permette quella parte empatica dell’identificarsi nella vita dell’interlocutore. L’ascolto come silenzio e l’importanza di esso nell’esserci nel momento del bisogno annullando parole inutili: Per ascoltare occorre tacere.
L’importanza della comunicazione non verbale urla forte tra le pagine di Le parole che ci salvano di Eugenio Borgna, il linguaggio del corpo che si sostituisce alle parole come richiesta di aiuto, e quanto oggi ancora non si abbia la capacità di ascoltare, ma soprattutto di far uso di quel grande dono che abbiamo, la parola, nella maniera giusta: usiamo la parola per infondere amore e speranza soprattutto in quelle persone che affrontano una malattia e/o un momento difficile che poi, per le parole cattive c’è sempre tempo.
Una grande riflessione quella che ci offre l’autore: la responsabilità delle parole, di quanto esse possano influenzare sia in negativo che in positivo e di quanto dovremmo riflettere prima di dar fiato alla bocca. Un saggio che consiglio fortemente.
Quali parole pronunciare per arrivare al cuore degli altri e di noi stessi?
Titolo: Le parole che ci salvano
Autore: Eugenio Borgna
Prezzo copertina: € 14.00
Editore:Einaudi
Collana:Super ET. Opera viva
Data di Pubblicazione:gennaio 2017
EAN:9788806232825
ISBN:8806232827
Pagine:233
Citazione tratte da: Le parole che ci salvano
Le parole non sono incolori, non sono uniformi, non sono semplici e, solo se sgorgano dal cuore e dal silenzio, solo se sono fragili e gentili, umbratili e arcane, lasciano una traccia profonda nell’anima di chi sta male, e chiede aiuto divorato dall’angoscia e dalla disperazione.
Per ascoltare occorre tacere.
Il silenzio, nella sua strema fragilità, non ha solo mille modi di venire alla luce, ha anche mille modi di essere ferito dalle parole, o dai gesti. Il silenzio ha in sé tracce di mistero e di oscurità, di fascinazione e di speranza, e le parole, le parole che aiutano a vivere, nascono dal silenzio e muoiono nel silenzio in una circolarità senza fine.
La parola che tace è talora più importante della parola che parla.
In me c’è un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono tante parole che stancano perché non riescono ad esprimere nulla. (Etty Hillesum)
La gioia è un momento, senza vincoli, senza tempo; non la si può trattenere, ma non la si può neanche perdere, perché sotto le sue scosse il nostro essere muta chimicamente, per così dire, e non si limita, come di solito accade nella felicità, ad assaporare e a godere se stesso in una nuova mescolanza.
…la gioia è indicibilmente di più della felicità; la felicità irrompe sugli uomini, la felicità è destino; la gioia gli uomini la fanno fiorire dentro di sé, la gioia è semplicemente una buona stagione sopra il cuore; la gioia è la cosa massima che gli uomini abbiano in loro potere
La speranza è l’arcobaleno gettato al di sopra del ruscello precipitoso e repentino della vita, inghiottito centinaia di volte dalla spuma e sempre di nuovo ricomponentesi: continuamente lo supera con delicata bella temerarietà, proprio là dove rumoreggia più selvaggiamente e pericolosamente. (Friedrich Nietzsche)
( Nani Wunderly-Volkart) La felicità ha il suo contrario nell’infelicità,
Si, la fragilità vive in noi e fa parte della condizione umana, e nondimeno essa riemerge nelle sue epifanie non solo quando sia presente in noi una malattia fisica, ma soprattutto quando ci sia in noi una malattia psichica, la follia sorella sfortunata della poesia, con il suo lancinante dolore dell’anima, con la sua stremata sensibilità, e con la sua straziata nostalgia di vicinanza e di amore.
La follia nella sua radice più profonda è una possibilità umana, che è in ciascuno di noi, con le sue ombre più o meno dolorose, e con le sue penombre, con le sue agostiniane inquietudini del cuore.
Il salto profondo e radicale tra l’infanzia e l’adolescenza è rappresentato dal fatto che in questa rinascono improvvisamente le grandi domande sul senso del vivere e del morire; e nascono i grandi ideali a cui consegnare un senso alla vita: un senso alto e luminoso che ne metta in fuga le ombre. Ma queste domande, e questi ideali, si confrontano con le abitudini e la lontananza, la distrazione e l’estraneità del mondo degli adulti, e allora ne scaturisce la ricerca della solitudine, il distacco dal mondo e il ripiegamento nella propria interiorità che si sente ferita, e sempre più fragile.
Dedica straziante da parte di Roberta Caput (che anticipa la sua poesia Il pranzo) a Ma sulla malattia dell’Alzheimer: Non guardarmi mentre mangi, non alzare lo sguardo, potresti incontrare il mio giudizio e approvarlo.
«La nostra carne è fragile: qualsiasi pezzo di materia in movimento può trafiggerla, lacerarla, schiacciar la, oppure inceppare per sempre uno dei suoi congegni interni. La nostra anima è vulnerabile, soggetta a de-pressioni immotivate, penosamente in balia di ogni genere di cose, e di esseri altrettanto fragili o capricciosi. La nostra persona sociale, da cui dipende quasi il sentimento dell’esistenza, è costantemente e interamente esposta al caso».
Si dovrebbe parlare delle questioni più gravi e importanti di questa vita solo quando le parole ci vengono semplici e naturali come l’acqua che sgorga da una sorgente. (Etty Hillesum)
Il volto umano è fatto per riflettere la luce delle stelle. (Ovidio)
Ci sono lacrime che si nascondono in un sorriso, e ci sono le ombre di un sorriso in una lacrima che scende improvvisa lungo un volto macerato dal dolore.
Cosa sono mai le parole? Una lacrima sola dice assai di più. (Roland Barthes)
Il virtuale, in fondo, è quel che non c’è. È il non-esistente simulato: in un certo senso, è addirittura il falso. (Raffaele Simone)
La malattia come doloroso invito a rientrare in noi stessi, negli abissi della nostra interiorità, come occasione di riflessione sul senso del vivere e del morire: come ascolto dell’infinito che è in noi.
Quando la malattia non è la malattia fisica ma la malattia psichica, parlare di essa è cosa ancora più complessa, e difficile. Non si giunge alla comunicazione con una persona lacerata dalla sofferenza psichica, dalla malattia dell’anima, se non la si accoglie nella sua diversa forma di vita, nella sua alterità, e nella sua ardente umanità: ferita dal dolore, e nondimeno animata dalle speranze, non identiche alle nostre, ma non di rado più autentiche delle nostre.
La responsabilità è considerata come la possibilità di prevedere gli effetti delle nostre azioni, e di modificarle, di correggerle, in base a tale previsione.
Le parole nascono e muoiono senza fine, ed è facile, ed è così frequente, che sulla scia di leggerezze e di dimenticanze, di disattenzioni anche involontarie, si parli senza valutare le conseguenze delle nostre parole.
Il male si intreccia alla paura: sono gemelli siamesi, e sono due modi diversi di chiamare una stessa esperienza: il male indica ciò che si vede, e la paura ciò che si avverte dentro di sé.
Una sincera lacrima dura più del bronzo: (Emily Dickinson)
Katia Ciarrocchi
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