A cura di Gordiano Lupi
Nuovi registi e influenza neorealista
Il cinema italiano non può fare a meno dell’esperienza neorealista e i nuovi registi che cominciano a lavorare nei primi anni Sessanta devono fare i conti con i maestri.
Ermanno Olmi (1931) è autore originale che proviene dal documentario ed esordisce nella fiction descrivendo gesti e volti di gente comune (Il tempo si è fermato, 1959). L’influenza neorealista si nota perché il film è girato in presa diretta, è interpretato da attori non professionisti, racconta la povera vita di una famiglia e l’incontro con una grande città. Il posto (1961) è una pellicola girata con la macchina a mano e con stile diretto che racconta le esperienze di un giovane nel mondo del lavoro, ma è anche un ritratto dell’Italia piccolo borghese ai tempi del boom. I fidanzati (1963) è un film pessimista sull’umanità che lavora in pieno boom economico, ma è anche il ritratto della solitudine di un operaio, un racconto sui sentimenti e sulla perdita dell’innocenza. Olmi va citato anche per l’importanza di alcuni film successivi come L’albero degli zoccoli (1978), ambientato nelle campagne bergamasche e realizzato da attori non professionisti che parlano in dialetto stretto. La pellicola vince la Palma d’oro a Cannes ed è un sentito omaggio al mondo contadino che va scomparendo, descritto con poesia e rigore. L’albero degli zoccoli è il capolavoro di Olmi, un film autobiografico e cattolico girato con toni da apologo fiabesco ma al tempo stesso facendo attenzione alle psicologie dei personaggi. Uno dei temi principali di Ermanno Olmi è l’attenzione all’umanità che lavora, vista e rappresentata nei gesti del quotidiano. Ritroviamo la religiosità di Olmi anche in Cammina cammina (1983), Lunga vita alla signora! (1987) e La leggenda del santo bevitore (1988). Il mestiere delle armi (2001) è una riuscita sintesi della sua poetica morale, compiuta raccontando la storia del mercenario Giovanni dalle Bande Nere. Ermanno Olmi è un regista che meriterebbe una trattazione approfondita, che è stata tentata da Charles Owens (Gremese, 2001) e Daniela Padoan, in un interessante libro intervista uscito nel 2008 per Editrice San Raffaele. Non sono comunque testi aggiornati ai suoi ultimi lavori, alcuni davvero interessanti come Centochiodi (2007), Terra madre (2009) e il recentissimo Il villaggio di cartone (2011). Il regista riceve il Leone d’Oro alla carriera, a Venezia, nel 2008.
Vittorio De Seta (1923) è un buon documentarista che dirige alcune opere ambientate in Sardegna e Sicilia, ma firma il suo capolavoro con Banditi a Orgosolo (1961), drammatica e concreta analisi di una civiltà arcaica. Un uomo a metà (1966) è pellicola introspettiva di altro tenore che affronta la crisi di un intellettuale di fronte all’impegno politico.
Ugo Gegoretti (1930) comincia con la radio e approda al cinema con I nuovi angeli (1962), una sorta di film inchiesta sulla vita dei ventenni italiani. Gregoretti è un abile documentarista e un regista impegnato politicamente, come dimostrano i successivi Omicron (1963) e Il pollo ruspante (1963 – episodio contenuto in Ro.Go.Pa.G/ Laviamoci il cervello). Il suo lavoro più emblematico è Apollon, una fabbrica occupata (1969), che miscela realtà e finzione per raccontare con crudo realismo il mondo degli operai e della lotta di classe. Maggio musicale (1989) lascia una traccia di autobiografia nel raccontare le avventure di un regista.
Elio Petri (1929 – 1982) è un altro regista impegnato politicamente che non può prescindere dal neorealismo e nasce critico cinematografico sulle colonne de L’Unità. Il suo cinema polemico e rigoroso prende il via con I giorni contati (1962), storia di un idraulico che non vuol farsi omologare dalla società moderna. Petri gira anche film commerciali, commedia all’italiana (Il maestro di Vigevano, 1963 – con Sordi), persino un horror inquietante come Un tranquillo posto di campagna (1968) e un fantascientifico originale come La decima vittima (1965), ma è nel film politico che mostra tutta la sua bravura. Gian Maria Volonté diventa il suo attore di riferimento per A ciascuno il suo (1967), Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), La classe operaia va in Paradiso (1971), La proprietà non è più un furto (1973) e Todo modo (1976). Elio Petri compie un’opera di denuncia dell’alienazione contemporanea in fabbrica, mette in scena anche dei lucidi spaccati di corruzione e realizza una polemica antigovernativa senza precedenti.
Bernardo Bertolucci (1941) è un’altra presenza importante del cinema italiano, che comincia a frequentare da documentarista fino al debutto de La commare secca (1962), tratto da un racconto di Pasolini. Prima della Rivoluzione (1964) è un lavoro autobiografico che racconta le vicissitudini di un intellettuale borghese attratto dalle istanze sociali progressiste. Realizza una trilogia sul fascismo con Il conformista (1970), Strategia del ragno (1970) e soprattutto con il kolossal Novecento Atto I e Atto II (1976), unico caso nella storia del cinema di proiezione a puntate. Novecento è il capolavoro di Bertolucci, cinque ore di proiezione per raccontare 45 anni di storia italiana attraverso l’analisi di diverse esistenze contemporanee. Una pellicola confezionata con cura e interpretata da attori di grande livello internazionale. Ultimo tango a Parigi (1972) è il film dello scandalo, un cult movie mondiale che in Italia i cattolici vorrebbero bruciare per alcune scene di sesso esplicito. Per fortuna il negativo viene salvato, ancora oggi ne possiamo apprezzare tutta la bellezza drammatica e la descrizione di un rapporto basato sul sesso tra un uomo maturo in crisi e una ragazzina disinibita. Bertolucci prosegue sulla strada del film introspettivo e problematico con La luna (1979) e La tragedia di un uomo ridicolo (1981), per arrivare al kolossal storico L’ultimo imperatore (1987), che vince nove Oscar per la cura con cui descrive il passaggio dalla Cina medievale alla democrazia popolare. Il tè nel deserto (1990) è un altro capolavoro di perfezione formale, soprattutto per la fotografia del deserto africano e i suggestivi scenari. Piccolo Buddha (1993) è un suggestivo affresco che da un punto di vista iconografico non si può che apprezzare. Bertolucci è un regista tecnicamente ineccepibile e nei suoi lavori ci sono sempre alcune scene indimenticabili. Nell’ultima parte della sua carriera si dedica all’analisi di psicologie intime e costruisce storie delicate come Io ballo da sola (1996), L’assedio (1998) e The Dreamers (2002).
Un buon cineasta è anche Giuseppe Bertolucci (1947) che comincia collaborando con il fratello e si ricorda per l’originale debutto di Roberto Benigni in Berlinguer ti voglio bene (1977) e per il successivo TuttoBenigni (1983). Nel momento in cui scriviamo sta girando Io e te, tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti, pensato inizialmente come lavoro in 3D. Ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera a Venezia (2007) e la Palma d’Oro alla Carriera a Cannes (2011).
Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975) è un intellettuale a tutto tondo che spazia in ogni campo della cultura italiana, ma non è azzardato affermare che proprio nel cinema lascia i lavori più convincenti. Il suo legame con il neorealismo è innegabile, soprattutto nei primi film ambientati nella Roma delle borgate e del sottoproletariato urbano. Citiamo Accattone (1961), Mamma Roma (1962), La ricotta (1963 – episodio di Ro.Go.Pa.G), Uccellacci e uccellini (1966), ma anche un Vangelo secondo Matteo (1964) che presenta i volti dei ragazzi di vita romani. Pasolini è un intellettuale marxista non molto ortodosso, inviso al partito comunista a causa di una non taciuta omosessualità, ma è anche un acuto osservatore del nostro tempo. I suoi film sono un atto di accusa nei confronti di una società moderna che rinuncia ai valori tradizionali e alle identità regionali in favore di un consumismo sfrenato. Pasolini utilizza attori ingenui e veraci, spesso non professionisti, racconta la vita quotidiana con pessimismo, cercando di conciliare marxismo e spiritualità cristiana. La ricotta è un film quasi blasfemo, Uccellacci e uccellini è un apologo surreale sul marxismo interpretato da un grande Totò che fa coppia con lo spontaneo Ninetto Davoli. Altre opere importanti sono di derivazione letteraria e mitica come Edipo re (1967), Appunti per un’Orestiade africana (1970) e Medea (1970). Non dimentichiamo neppure gli apologhi antiborghesi di Teorema (1968) e Porcile (1969), pellicole grottesche, metaforiche e a tratti violente. Molto importante anche la Trilogia della vita, che consiste nell’adattare al cinema erotico capolavori letterari come Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle mille e una notte (1974). Pasolini successivamente rivede la sua opera e abiura la Trilogia, ma ha già dato il via a un sottofilone commerciale come il decamerotico che caratterizza alcuni anni di cinema bis italiano. Il modello colto di Pasolini fa nascere la commedia scollacciata medioevale, vero e proprio antesignano della commedia sexy. Non è certo lo scopo dell’intellettuale che dà sfogo alla delusione nell’opera postuma Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), apocalittico apologo contro il potere, film violento e nichilista che non lascia speranza. Nonostante tutto anche questo film d’autore, unito a Salon Kitty di Tinto Brass genera cloni commerciali nel cinema bis e produce i sottogeneri women in prison, nazi-erotico e moto cinema sadico fine a se stesso. Pasolini muore nel 1975, ucciso da uno di quei ragazzi di vita che ha raccontato in tanti romanzi, articoli di opinione, poesie e pellicole cinematografiche.
Il neorealismo è un fenomeno concluso, ma senza quella fortunata corrente cinematografica non avremmo avuto le esperienze successive di impegno sociale, politico e storico. Il neorealismo influenza le nuove idee cinematografiche che vengono espresse da autori come Marco Ferreri, Mauro Bolognini, Antonio Pietrangeli, Valerio Zurlini, Nanni Loy, Francesco Maselli e Mario Monicelli. Tutti questi registi seguono strade originali che vanno dagli apologhi grotteschi e inquietanti di Ferreri per arrivare alla commedia all’italiana impegnata socialmente di Monicelli e Loy.
Gordiano Lupi
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