Citazioni tratte da: Chiamami col tuo nome di André Aciman
Suonerò qualunque cosa per te finché non mi dirai di smettere, finché non sarà ora di pranzo, finché non mi verrà via la pelle dai polpastrelli, strato dopo strato, perché mi piace fare qualcosa per te, farò tutto quello che vorrai, devi soltanto dirmelo, mi sei piaciuto dal primo giorno e, perfino quando riceverò gelo in cambio delle mie rinnovate offerte d’amicizia, non dimenticherò mai che ci siamo detti queste cose e che non è poi così difficile ritrovare l’estate dopo una tormenta di neve.
Forse volevo soltanto che Oliver mi dicesse che in me non c’era niente di sbagliato, che non ero meno umano di qualunque mio coetaneo. Mi sarei accontentato e non avrei chiesto altro, volevo solo che si chinasse a raccogliere la mia dignità che tanto facilmente gli avevo gettato ai piedi.
Ciò di cui non mi rendevo conto era che voler mettere alla prova il desiderio non è altro che un sotterfugio per ottenere ciò che vogliamo senza poterlo ammettere.
Volevo essere come lui? Volevo essere lui? O forse volevo solo averlo? Oppure «essere» e «avere» sono verbi del tutto inadeguati nell’intricata matassa del desiderio, per cui avere il corpo di qualcuno da toccare ed essere quel qualcuno che desideriamo toccare è la stessa cosa, sono solo rive opposte di un fiume che scorre dall’uno all’altro, poi torna indietro e infine va di nuovo verso l’altro, e ancora, e ancora, un circuito perpetuo dove le cavità del cuore, come le botole del desiderio e i buchi del tempo e il cassetto a doppiofondo che chiamiamo identità, condividono una logica ingannevole, secondo la quale la distanza più breve tra vita reale e vita non vissuta, tra ciò che siamo e ciò che vogliamo, è una scalinata tortuosa progettata con l’empia crudeltà di M.C. Escher.
«Posso baciarti?» Che domanda, e dopo il bacio sulla collina, poi! Oppure avevamo voltato pagina e stavamo ricominciando tutto da capo?
Non gli risposi. Senza annuire, avevo già portato la bocca alla sua, proprio come avevo baciato Marzia la notte prima. Fu come se, in maniera del tutto inattesa, tra noi si cancellasse qualcosa e, per un secondo, non ci fosse nessuna differenza di età, eravamo solo due uomini che si baciavano, e poi perfino questa immagine sembrò dissolversi e cominciai a sentire che non eravamo più nemmeno due uomini, ma due esseri viventi. Mi piaceva quella sensazione di parità. Mi piaceva sentirmi più giovane e più vecchio, da essere umano a essere umano, da uomo a uomo, da ebreo a ebreo. Mi piaceva l’abat-jour. Mi faceva sentire a mio agio, al sicuro.
…non eravamo più nemmeno due uomini, ma due esseri viventi. Mi piaceva quella sensazione di parità. Mi piaceva sentirmi più giovane e più vecchio, da essere umano a essere umano, da uomo a uomo, da ebreo a ebreo. Mi piaceva l’abat-jour. Mi faceva sentire a mio agio, al sicuro.
A intervalli regolari, un dolore improvviso scatenava in me una fitta di disagio e vergogna. Chi ha detto che anima e corpo si incontrano nella ghiandola pineale è un cretino. È il buco del culo, stupido.
Forse cercare significati fisici e metaforici è una maniera maldestra per capire cosa succede quando due esseri umani hanno bisogno non solo di stare insieme, ma di diventare così totalmente duttili che ognuno si trasforma nell’altro. Essere ciò che sono grazie a te. Essere ciò che era grazie a me. Essere nella sua bocca mentre lui era nella mia, e non sapere più se era il mio o il suo uccello che avevo in bocca. Lui era il passaggio segreto che mi conduceva a me stesso, come un catalizzatore che ci consente di diventare ciò che siamo, il corpo estraneo, il passista, l’innesto, il cerotto che manda gli impulsi esatti, il chiodo d’acciaio che tiene insieme le ossa di un soldato, il cuore di un altro uomo che ci rende più noi stessi di quanto non eravamo prima del trapianto.
Essere nella sua bocca mentre lui era nella mia, e non sapere più se era il mio o il suo uccello che avevo in bocca. Lui era il passaggio segreto che mi conduceva a me stesso, come un catalizzatore che ci consente di diventare ciò che siamo, il corpo estraneo, il passista, l’innesto, il cerotto che manda gli impulsi esatti, il chiodo d’acciaio che tiene insieme le ossa di un soldato, il cuore di un altro uomo che ci rende più noi stessi di quanto non eravamo prima del trapianto.
Ogni cellula del mio corpo crede che ogni cellula del tuo non debba morire, mai, ma se proprio deve, che muoia allora dentro il mio corpo
«Senti» mi interruppe, «tra voi c’è una bella amicizia. Forse anche qualcosa in più. E io ti invidio. Al posto mio, la maggior parte dei genitori spererebbe che tutto si dissolva, o pregherebbe che il figlio ne esca indenne. Ma io non sono così. Al posto tuo, se il dolore c’è, lo farei sfogare, e se la fiamma è accesa, non la spegnerei, cercherei di non essere troppo duro. Chiudersi in se stessi può essere una cosa terribile quando ci tiene svegli di notte, e vedere che gli altri ci dimenticano prima di quanto vorremmo non è tanto meglio. Rinunciamo a tanto di noi per guarire più in fretta del dovuto, che finiamo in bancarotta a trent’anni, e ogni volta che ricominciamo con una persona nuova abbiamo meno da offrire. Ma non provare niente per non rischiare di provare qualcosa… che spreco!
Come vivi la tua vita sono affari tuoi. Ma ricordati, cuore e corpo ci vengono dati una volta sola. La maggior parte di noi non riesce a fare a meno di vivere come se avesse a disposizione due vite, la versione temporanea e quella definitiva, più tutte quelle che stanno in mezzo. Invece di vita ce n’è una sola, e prima che tu te ne accorga ti ritrovi col cuore esausto e arriva un momento in cui nessuno lo guarda più, il tuo corpo, e tantomeno vuole avvicinarglisi. Adesso soffri. Non invidio il dolore in sé. Ma te lo invidio, questo dolore.
Titolo: Chiamami col tuo nome
Autore: André Aciman
Prezzo copertina: € 17.00
Editore: Guanda
Collana: Narratori della Fenice
Traduttore: Bastia V.
Data di Pubblicazione: marzo 2017
EAN: 9788823517578
ISBN: 8823517575
Pagine: 271