A cura di Alberto Figliolia
Eleganza e preziosità. Decorativismo e sensualità. Purezza e utilità. Arte per l’arte e marketing. Il potere dell’immaginazione e la potenza dell’immaginario. L’eterno femminino e il fiore della bellezza. Le magnifiche stimmate di Belle Époque, Liberty e Art Nouveau, Jugendstil o Modern Style o Modernismo, come dir si voglia (ed è tutto vero e strettamente intrecciato): luce, colore, armonia, sincretismo… È tutto quel che compare e si ravvisa nella splendida mostra – si beve e assapora come un elisir – allestita al Palazzo Reale di Milano in onore di Alfons Maria Mucha, figlio di un usciere di tribunale, e di quella temperie culturale e quel mondo soave e raffinato poi spazzato via, per lo più, dalla Grande Guerra (la prima).
Sono oltre 220 le opere esposte all’ammirazione del pubblico sino al 20 marzo, dopodiché l’esposizione si sposterà, da fine aprile a tutto settembre, al Palazzo Ducale di Genova. Di tale cumulo di superbi lavori d’arte o manifattura 120 sono del solo Mucha (1860-1939), fra affiches, grafiche e pannelli decorativi, illustratore sublime, “promotore di un nuovo linguaggio comunicativo, di un’arte visiva innovativa e potente: le immagini femminili dei suoi manifesti erano molto diffuse e popolari in tutti i campi della società del suo tempo e ancora oggi si può facilmente individuare la sua inconfondibile cifra stilistica, che lo ha reso eterno simbolo dell’Art Nouveau. Lo “Stile Mucha”, unico e riconoscibile, si è dimostrato adatto per essere applicato ad una grande varietà di contesti: poster, decorazione d’interni, pubblicità per qualsiasi tipo di prodotto, illustrazioni e addirittura produzioni teatrali, design di gioielli e opere architettoniche” (persino calendari, cui Mucha si dedicherà nel corso di tutta la sua vita, con un afflato che unisce la donna creatrice con le energie cosmiche). E, insieme con la produzione artistica del grande praghese (invero nativo di Ivančice, invero cosmopolita), arredi vari, mobili e ceramiche, vetri, sculture e ferri battuti, in un sognante e sinuoso profluvio di elementi.
È, questa, una mostra in cui il bello s’insinua con dolce prepotenza e prorompente delicatezza nelle vene e nella mente: arcobaleno, trionfo, bomboniera, effimero che s’eterna. Il percorso espositivo segna e disegna il ricco e sfaccettato mondo di allora (e nel sottofondo anche l’emancipazione incipiente delle masse): le locandine che pubblicizzavano e insieme celebravano l’ars teatrale di Sarah Bernhardt; i manifesti di “prodotti che entravano abitualmente nelle case: dalle scatole dei biscotti Lefevre‐Utile, alle tavolette di cioccolato Idéal passando per i profumi e i prodotti per l’infanzia […] arredi e oggetti d’uso in cui l’immagine della donna è al centro dell’invenzione, che spesso mostra forti legami con la cultura figurativa del tempo, come nel caso del salotto di Luigi Fontana, dotato di vetrate policrome con fanciulle che evocano i prototipi femminili di Mucha”. La donna davvero campeggia al centro della scena, imperatrice della vita, nella sua duplice (soggettiva) essenza e concezione, “talvolta idealizzata in una creatura angelica, elegante ed aggraziata, talvolta immaginata come femme fatale, accattivante e seducente, ma sempre capace di incarnare il valore universale della bellezza giovanile, espressa attraverso linee serpentine ed eleganti movenze”.
Inoltre… i Documents Décoratifs – 72 incredibili tavole, una sorta di summa del pensiero artistico muchiano –, il giapponismo, la specchiera di Carlo Bugatti, le seducenti e maliose figurazioni di Aubrey Beardsley, le maioliche di Galileo Chini, la rappresentazione del mondo animale – così foriero d’ispirazione e tanto carico di simbolismi e allegoricità: il pavone, il serpente, la farfalla, la libellula, le creature d’acqua… –, la specchiera di Henri Bergé, i bizzarri onirismi di Hans Stoltenberg Lerche (pipistrelli, pesci con gli occhi di fuoco, granchi con il busto di donna), l’interpretazione delle pietre preziose, il fluire implacabile e meraviglioso del tempo, e rose, ninfee, iris e gigli… l’accostamento, inevitabile e definitivo, fra la bellezza muliebre e quella floreale. Una felice sbornia, un avvolgente caleidoscopio.
Alberto Figliolia
Alfons Mucha e le atmosfere art nouveau (Comune di Milano‐Cultura, Genova Palazzo Ducale Fondazione per la cultura e 24 ORE Cultura, in collaborazione con Richard Fuxa Foundation e Centro di Ricerca Rossana Bossaglia, Dipartimento Culture e Civiltà, Università di Verona, e con il patrocinio della Città di Praga), a cura di Karel SRP e Stefania Cretella.
Fino al 20 marzo 2016. Palazzo Reale, Piazza del Duomo 12, Milano.
Orari apertura: lunedì 14,30-19,30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9,30- 19,30; giovedì e sabato 9,30-22,30.
Informazioni e prenotazioni: tel. +39 02 54915; siti Internet www.ticket24ore.it/mucha, www.mostramucha.it, www.palazzorealemilano.it
“I giudizi storici sul periodo che viene definito “Belle Époque” sono complessi e articolati. Fu un’età felice e spensierata, caratterizzata dall’ottimismo, dalla fiducia nel progresso, dal miglioramento delle condizioni socio‐economiche di ampi strati della popolazione? Oppure fu una specie di “mondo di mezzo”, più vicino alla Roma di Petronio che all’Atene di Pericle, in cui maturavano le condizioni prodromiche alla tragedia della Prima guerra mondiale? Qualunque sia la valutazione, è certo che il periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e il principio del Novecento fu il laboratorio della modernità […] L’insieme degli oggetti esposti consentirà di percepire i canoni estetici di un’intera stagione artistica caratterizzata dalla predilezione per le linee curve ispirate alle forme sinuose del mondo vegetale, dall’ornata eleganza e dalla raffinatezza formale degli esiti artistici. Di Mucha verranno presentate tutte le sue icone, così familiari ancora oggi: un solo esempio per tutti, i numerosi manifesti realizzati per le opere teatrali di Sarah Bernhardt, la più grande diva del teatro ottocentesco, una figura fuori dagli schemi, coraggiosa nel vivere manifestando apertamente sia la propria omosessualità e sia pubblico consenso, nell’affaire Dreyfus, in favore delle posizioni di Émile Zola. La sua influenza nella cultura del tempo fu tale che Marcel Proust ne trasse ispirazione per il personaggio di La Berma, una delle eroine della celebre Recherche proustiana”.
Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale