Vinicio 1


di Mario Ughi

Lui non lo sa, ma ha mancato di pochi minuti l’incontro con il suo più grande amico dell’infanzia. Chissà se lo avrebbe riconosciuto. Il compagno di banco alle scuole elementari. La difesa del fianco sinistro nelle lunghe battaglie combattute a colpi di cerbottana. Lanciatore infallibile di bocco nella modalità di tiro Tacco Passo al Volo. Grandi mazzi di figurine Panini a riempire le tasche dei pantaloni corti. Ma Attilio è ormai lontano, con le sue salsicce e la passata di pomodoro. L’incontro possibile è svanito, forse rimandato, forse perso per sempre.
Vinicio si avvia lentamente all’uscita del Mercato centrale. Non ha comprato niente. Voleva soltanto compiere un itinerario di ricordi, però tutto gli sembra diverso. Prova una strana forma di delusione, mai sperimentata prima.
Riconosce ogni luogo, riesce a calcolare le differenze imposte dalla lunga assenza, a collocare volti e voci in luoghi che ormai ne hanno perso anche il ricordo, ma in qualche modo è come se il suo passaggio avesse il potere di cancellare ogni cosa. Lascia il vuoto dietro di sé.
Si guarda intorno con occhi tristi.
Durante il lungo viaggio in aereo, la via del ritorno, non aveva immaginato la profonda malinconia che lo attendeva per le strade di quella che lui con nostalgia ha sempre considerato la sua città. Adesso si trova a vagare per un mondo alieno. Magari l’amico Attilio avrebbe potuto colmare quel senso di distanza.
Esce dal Mercato centrale e a passi lenti si dirige verso piazza Cavallotti, dove prende ad aggirarsi senza scopo tra i grandi banchi ricolmi di frutta e verdura.
Soppesando un’arancia matura, invitante, si chiede cosa manca, quale emozione è venuta meno, nel suo girovagare tra quelle strade.
Aveva nutrito mille aspettative, cullate come lievi sogni nel corso di lunghi anni, carezzate da un sorriso che adesso sente di aver perso appena girato il primo angolo.
Alza gli occhi, e incontra il viso del fruttivendolo. Lui non ha perso il suo sorriso. Lo guarda ammiccante, il suo sguardo è carico di una complicità che Vinicio è lontano dal condividere. Ha l’espressione di un pirata.
Si guarda intorno: ovunque le facce argute che lo circondano rispondono alla domanda angosciosa che da giorni si trascina appresso come un sacco pieno di sabbia. L’ombra di una consapevolezza si fa strada in lui. Ha commesso un errore. Pensava che la città in attesa avrebbe conservato la stessa atmosfera di quando era partito. Ma tutto è andato avanti, senza di lui. Gli stessi luoghi che conosceva, intatti nella forma, si sono trasformati, imbevuti dalla vita, dai dolori e dalle speranze di una generazione vissuta in sua assenza. I ricordi sono stati cancellati. La vita ha proseguito il suo corso. I suoi tramonti si sono spenti da millenni, come non fossero mai esistiti.
Ha iniziato il pellegrinaggio nel posto sbagliato. Non doveva visitare la lunga fila delle tombe di famiglia, nel cimitero chiamato ai Lupi. Fermarsi sulla spalletta del fosso Reale, cercando il volto del suo primo amore e il sapore del primo bacio, è stato uno sbaglio grossolano. I campetti di calcio sono stati sostituiti da palazzi di mattoni e cemento. I negozi dai quali usciva fragrante l’odore del fitto misto adesso espongono in bella vista cellulari e Ipod. Le cerbottane non le vende più nessuno. I vecchi cinema si sono trasformati in Megastore, qualunque cosa questa parola voglia dire.
Con l’arancia in mano, getta uno sguardo di domanda alla faccia del pirata. Questi alza le mani, come in segno di resa, il suo sorriso diviene più intenso. Come se intuisse qualcosa.
Vinicio, sbucciando con cura, ritrova il sorriso, specchiandosi in quello dell’altro. Il fruttivendolo piega appena la testa, quando Vinicio addenta il primo spicchio, poi annuisce piano, un lieve tentennamento di partecipazione.
Vinicio si allontana inviando un breve cenno di saluto al fruttivendolo già impegnato altrove, nel pesare patate e cavolfiori. Carciofi già tagliati.
Tutto prenderà un senso, e i giorni passati torneranno al posto loro, non appena avrà visto l’unico grande comune denominatore.
Raggiunge via Grande, poi volta a sinistra, senza sforzo di memoria. I suoi piedi conoscono la strada.
Cammina lentamente, pregustando il lungo abbraccio.
Il vero grande amico lo sta aspettando, immutato per quanti anni possano essere trascorsi.
Già ne sente l’odore, e lo assapora, se un odore può avere sapore. Salato.
Poco distante, placido approdo di un lungo e tormentato percorso, il mare.
Il mare.

Tratto da: Livorno – Cronache immaginarie
Mario Ughi

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Un commento su “Vinicio

  • Enzo Maria Lombardo

    Succede a molti (forse a tutti)di commettere lo stesso errore di Vinicio. Credere che tutto sia immutabile come immutati sono i nostri ricordi.
    Voler le stesse pietre, le stesse persone, la medesima atmosfera di una Città lasciata tanto tempo fa. Invece la Città è cambiata, le persone anche: altre pietre, altre cellule, altro sangue che fanno a pugni, dentro di noi, con i ricordi d’infanzia, facendoci male.
    Non resta che soccombere all’evidenza, accettare il mutamento, oppure rifugiarsi (ingannarsi?), come fa Vinicio, davanti all’unica cosa viva apparentemente immutata che riesce a non tradire i ricordi: il mare.
    Uno splendido pezzo introspettivo la cui cadenza, piana ma inesorabile, rappresenta anch’essa ottimamente l’inevitabile scorrere del tempo.