Uno dei pittori più ammirati e forse più misteriosi nella storia dell’arte. Johannes van der Meer, abbreviato in Jan Vermeer, dalla breve vita: meno di quarantacinque anni, con ogni probabilità: battezzato il 31 ottobre 1632 e sepolto il 16 dicembre 1675. Vermeer dai tanti figli: quattordici, di cui tre premorti al padre. Vermeer dalla produzione non sterminata: poco più di una quarantina di quadri, di cui trentacinque noti. L’uomo di Delft, in cui visse tutta la propria vita e della quale ci ha lasciato una splendida veduta. Protestante che aveva sposato una donna cattolica, Catherina Bolnes, vicina ai Gesuiti (Jan si converti poi al cattolicesimo?). Un immortale.
La pittura di Vermeer procedeva, presumibilmente, con lentezza e il Maestro poteva cambiare idea nel corso dell’esecuzione, come palesato dalle ricerche effettuate con i più moderni mezzi tecnologici di analisi. Anche se non esiste documento o disegno concernente la preparazione delle sue opere.
Una pittura che fotografa la realtà interiore, ben più che meramente descrittiva dell’ambiente in cui sono cristallizzati (o si muovono) i suoi soggetti. Un’arte che mette in contatto con quelle figure lo spettatore, invitato a partecipare e sovente a propria volta posto all’attenzione di chi è in apparenza e fisicamente dentro la cornice. Scene e storie che si dipanano con un prima e con un dopo.
Si è conclusa lo scorso giugno al Rijksmuseum di Amsterdam la più grande retrospettiva su Vermeer mai realizzata. Un’occasione per produrre e distribuire al cinema, nelle sale italiane dal 2 al 4 ottobre, Vermeer. The Greatest Exhibition (regia di David Bickerstaff, produzione di Phil Grabsky con Exhibition on Screen). Una esposizione di formidabile successo, capace di raggiungere l’eccezionale cifra di 650.000 visitatori. Nel viaggio offertoci dal docufilm con dovizia di notizie, osservazioni e particolari sulla vita e l’opera di Vermeer, il “Maestro della luce”, lo spettatore è accompagnato da Taco Dibbits, direttore del Rijksmuseum, e dai curatori della mostra. La proiezione della pellicola, e la sua distribuzione in esclusiva (con altri media partner), rientra nel progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital La Grande Arte al Cinema.
La ragazza col turbante, Il geografo, La lattaia, Donna che legge una lettera davanti alla finestra (restaurata di recente), L’astronomo, Fantesca che porge una lettera alla signora, La merlettaia, Pesatrice di perle, Stradina di Delft, Soldato con ragazza sorridente, Cristo in casa di Marta e Maria, Concerto interrotto, Suonatrice di liuto, Donna che scrive una lettera, Il geografo, Lettera d’amore, Giovane donna seduta al virginale, Donna in piedi alla spinetta, Allegoria della fede… Ogni quadro viene raccontato e sviscerato; ogni tela è un capolavoro. L’osservazione degli interni, così come dei luoghi esterni, è minuziosa, frutto di un accurato studio. La luce (spesso proveniente da una fonte, evidente o celata, a sinistra) indugia e indaga. La ricostruzione degli ambienti è perfetta oltre ogni dire e convive con le istanze intimistiche, con la psicologia di chi è ritratto.
Un pubblico femminile affiora dolce e imperioso nei ritratti di Vermeer. Non è peregrino affermare che la committenza di tipo borghese potesse “condizionare” il lavoro del Maestro, il quale tuttavia seguiva le sue onde di pensiero, una sensibilità finissima, estremamente delicata e raffinata e nel contempo, maestosa.
Forse Vermeer si serviva della camera oscura. Di certo gli effetti conseguiti dall’artista sono superbi. Ed è da dire che Jan ricercava e preparava con estrema cura i pigmenti e i colori a olio (vedi il blu oltremare, ricavato dal lapislazzuli)
Vermeer nel corso dei secoli, soprattutto nella contemporaneità, è divenuto una star, ma ebbe anche difficoltà finanziarie, soprattutto verso la fine della propria esistenza allorché nel 1672 l’invasione da parte dei francesi della Repubblica delle Sette Province Unite bloccò il mercato dell’arte e quello, in genere, dei beni voluttuari. A quanto pare, alla famiglia rimasero non pochi debiti. Strano il destino che talora capita ai giganti.
Alberto Figliolia