La sonata a Kreutzer
sarebbe stato un altro, così doveva essere, – si arrestò di nuovo. – Sì, era un musicista, un violinista; ma non un vero musicista, un mezzo professionista, abbastanza introdotto in società.
Suo padre, che aveva una tenuta confinante con quella di mio padre, era andato in rovina. Tutti e tre i suoi figli si erano però sistemati. Solo quest’ultimo, il più piccolo, era stato mandato dalla madrina a Parigi. Lì era entrato in conservatorio, perché aveva talento per la musica, ed era divenuto violinista, suonava ai concerti. Era una persona… – si trattenne dall’evidente intento di dire qualcosa di maligno sul suo conto, e subito proseguì: – Cosa facesse lì a Parigi non saprei, so solo che quell’anno ricomparve in Russia e si presentò a casa mia.
Gli occhi roridi molto allungati, ridenti labbra vermiglie, i baffetti impomatati, un taglio all’ultima moda, un volto belloccio e volgare, insomma, uno di cui le donne dicono “niente male”, di costituzione fiacca, sebbene non del tutto sgraziata, con un sedere particolarmente sviluppato, come le donne, come, dicono, gli ottentotti. Anche quelli, sembra, hanno attitudine per la musica. Faceva di tutto per entrare in confidenza, ma era molto accorto, pronto a ritirarsi alla benché minima resistenza, sempre rispettoso delle formalità e con quello speciale tocco nei bottoncini delle scarpe, nelle tinte accese delle cravatte che gli stranieri portano da Parigi e che per la sua novità e particolarità fa sempre effetto sulle donne. Di modi esteriormente allegri, molto costruiti, tutto allusioni e mezze parole, come se gli altri fossero già al corrente di quel che diceva o dovessero integrarlo da soli.
È stato lui assieme alla sua musica la causa di tutto. Mentre al processo hanno tanto insistito che tutto era stato pro¬vocato dalla gelosia. Niente del genere. Cioè, non proprio niente, ma non certo in quei termini. Al processo si è sta¬bilito che io ero un marito tradito, e che avevo ucciso per
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