Solitudine e inquietudine


Solitudine e inquietudineA cura di Renzo Montagnoli

Benché appassionato di poesia fin dai primi anni delle elementari, ho conosciuto Vincenzo Cardarelli solo in tarda età e in modo del tutto casuale. Infatti, nel corso di una ricerca su Internet, mi sono imbattuto in Autunno veneziano (… / Morto è il silenzio dei canali fetidi, / sotto la luna acquosa, / in ciascuno dei quali / par che dorma il cadavere d’Ofelia: / tombe sparse di fiori / marci e d’altre immondizie vegetali, / dove passa sciacquando / il fantasma del gondoliere. / …), una sua poesia che è un perfetto ritratto della città lagunare, vista come una realtà declinante, uno storico agglomerato urbano, dal fastoso passato, di cui conserva le vestigia e che ora invece, nella grigia stagione, mostra tutti i segni della sua decadenza. È stata una vera e propria rivelazione, perché un’armoniosa descrizione, accompagnata dalla capacità di riprodurre un’atmosfera, è arte di pochi e comunque di chi ha da far sentire la sua voce in poesia. Così ho deciso di approfondire la conoscenza di questo autore, sia attraverso la sua vita, nel cui contesto inevitabilmente è avvenuta la sua produzione, sia leggendo altre sue opere. In tal modo, giorno per giorno si è venuto a formare un quadro, un ritratto di un poeta che mi era stato ignoto per troppo tempo, nonostante i suoi indubbi meriti che, a mio parere, lo collocano fra i grandi della letteratura del XX secolo.

Di questo poeta ho già scritto un articolo (La solitudine in Vincenzo Cardarelli) un po’ più di un anno fa e il presente deve intendersi come un ampliamento di quel breve saggio, frutto di letture successive e di approfondimenti che ho ritenuto doveroso per meglio delineare la sua personalità letteraria.
Vincenzo Cardarelli nasce a Tarquinia il 1° maggio 1887, in una famiglia di modeste condizioni e lui in questo contesto presenta due ulteriori svantaggi: è figlio illegittimo e porta con sé una menomazione al braccio sinistro, che se da un lato gli consentirà di sfuggire al servizio militare nel corso della prima guerra mondiale, dall’altro però gli peserà tutta la vita, facendolo sentire un essere diverso e inferiore. Abbandonato dalla madre in tenera età, privato cioè nel periodo più particolare della presenza della genitrice, crescerà introverso, malato di una non sanabile solitudine, a cui si accompagnerà piano piano un’evidente inquietudine. A diciassette anni fuggirà di casa (è la prima delle sue tante fughe), approdando a Roma, dove svolge diversi mestieri, ultimo dei quali il correttore di bozze del giornale l’Avanti, di cui diventerà redattore nel 1909. Quest’ultimo lavoro diventa per lui un’impareggiabile opportunità per entrare nel mondo letterario, per partecipare a riviste specializzate e per conoscere autori noti e meno noti, che però desiderano portare avanti la loro arte. È così che entra in contatto con artisti come Ardengo Soffici, Emilio Cecchi e Giuseppe Ungaretti. La sua inquietudine, tuttavia, lo porta sovente a migrare da un quotidiano all’altro, da una rivista letteraria a un’altra, quando addirittura non sfocia nel desiderio di cambiare aria, di approdare a nuove città e non stupisce quindi se accetti con entusiasmo nel 1928 un incarico del Tevere che lo porta nella Russia Sovietica dal novembre di quell’anno fino all’aprile del 1929, un periodo fecondo in cui stila molti articoli che descrivono i mutamenti avvenuti dopo la Rivoluzione. Intanto scriveva numerose poesie e prose di carattere autobiografico di viaggio e di costume. Ed è appunto della sua poetica che ora intendo parlare, ma prima mi correre l’obbligo di concludere la sua breve biografia arrivando al giorno della sua morte, avvenuta il 18 giugno 1959 al Policlinico di Roma, dopo una vita di disagi, anche di miseria, e sempre solo, una solitudine che è presente in tutta la sua produzione.
Come tutti gli autori ha subito l’influsso di altri per pervenire poi a una linea autonoma, in cui pur tuttavia è possibile riconoscere tratti di quelli che, di volta in volta, nel corso degli anni della sua esistenza, considerava dei veri e propri maestri.

Se le prime poesie risentono dell’ascendente di Leopardi e Pascoli, che ben s’accordano con il suo personale senso di solitudine e inquietudine, poco a poco riscopre il classicismo per giungere infine al rapporto fra musica e poesia, attratto della produzione di Baudelaire, Verlaine e Rimbaud, i cosiddetti poeti maledetti, nella cui solitudine e inquietudine evidentemente Cardarelli si ritrovava. Come corrente letteraria può anche essere inserito nella cosiddetta “Avanguardia”, di cui nelle sue opere porta i caratteristici stilemi: il grande espressionismo linguistico, i temi stessi come il viaggio, l’età adolescenziale e la perdita dell’identità. Pur tuttavia se ne discosta per la capacità di controllo della forza, per la pacatezza dei toni, più sussurrati che urlati. Questa adesione all’avanguardismo verrà meno negli anni ’20, quando alle tensioni sociali seguirà una restaurazione con ben altri avanguardisti e con il progressivo svilimento della figura e della funzione dell’intellettuale, isolato ed emarginato se non votato al supporto del regime. Non è che la produzione letteraria di Cardarelli ne risenta in modo particolare, ma da allora sono più frequenti le prose di viaggio e di costume che le poesie. Si accentua invece la tendenza a ritrovare il classicismo, con un ritorno alle fonti ispiratrici rappresentate dal Leopardi e dal Pascoli.

Indubbiamente ci troviamo di fronte a un grande artista, dalla personalità comunque non complessa, segnato dall’ineluttabilità di un’esistenza vuota, quasi trascinata alla sua conclusione. Eppure non c’è solo pessimismo, perché a volte traspare una luce di speranza che da vita a veri incanti come in Idillio (…/ Gli occhi, infocati e lustri, / di gioventù brillavano, / solare e profonda. / E dietro a lei, così terrosa e splendida, / l’ombre cognite e fide / della domestica vite / parevan vigilarla. / Tutto era pace intorno / e silenzio agreste.), una composizione di ambientazione bucolica, lieve e soave, che porta il lettore a un appagante senso di serenità.

Sono però sporadici episodi, forse momentanei periodi di minor isolamento, perché il pessimismo finisce sempre per riaffiorare, quel dolore di vivere che si porterà appresso fino alla morte.

Renzo MontagnoliSito

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