ArteRecensione: Short-circuits, Chen Zhen. A cura di Vicente Todoli


La realtà futura sarà certamente una natura artificiale, ma come possiamo realizzare “l’artificio naturale” senza perdere la natura dell’essere umano? Questi punti, che costituiscono i principi essenziali della nuova mentalità dell’uomo del futuro, sono intrecciati e costituiscono il fulcro della riflessione nel mio lavoro”, dall’intervista di Jérôme Sans a Chen Zhen.

Short-circuits. Cortocircuiti. Un titolo che ben si adatta alla magnifica e oltremodo ricca esposizione che Pirelli HangarBicocca dedica a Chen Zhen. Una mostra le cui opere e installazioni stabiliscono inediti nessi fra culture diversissime fra loro, lontane, talora reciprocamente aliene; disorientante e stimolante; giunzione critica di ispirazioni e istanze sovente contrapposte; (ri)elaborazione di contraddizioni psico-sociali.
La creazione artistica, in ultima analisi, è un processo di raccolta di energie, è un altro elemento del pensiero di Chen Zhen, nato a Shanghai nel 1955 e morto a Parigi nel 2000. Ciò che è ben dimostrato dalle tante opere che costellano, con armonia, il vasto spazio di Pirelli HangarBicocca (5500 mq), con la spettacolare chiusura, nello spazio del Cubo, di Jardin-Lavoir (2000), costituita da… “11 letti trasformati in vasche di acqua, ciascuno dei quali ospita oggetti quotidiani, come vestiti, scarpe, componenti elettroniche e libri, ed è sormontato da un sistema idraulico da cui sgorgano ininterrottamente flussi di acqua. Per l’artista questa installazione evoca un “giardino di purificazione” in cui meditare e raccogliersi”. Un’installazione diffusa e razionalmente dissonante, con uno sguardo profondo verso il tema della globalizzazione e delle sue discrasie, alias degrado ambientale e delle relazioni e consumismo (esiste anche il consumismo delle relazioni).
Transesperienze (si potrebbe anche giustamente parlare di “contaminazione”) è  un’altra parola-chiave della filosofia artistica di Chen Zhen, indicando con ciò il cumulo e l’intreccio delle diverse esperienze vissute fra Paese d’origine e Paese d’approdo: una sedimentazione e una stratificazione che dà luogo a ribaltamenti/rovesciamenti/ricollocamenti di oggetti del quotidiano in concetti astratti e di ampio significato metaforico. Una riflessione sulla complessità del mondo: un arcobaleno che nasce dal nulla e s’apre a inesplorati orizzonti, una a tratti paradossale interdipendenza tra materiale e spirituale, collettivo e individuale, interiorità ed esteriorità.
Se la fine, o zenit, della mostra è segnato da Jardin-Lavoir l’incipit non è di minore impatto: Jue Chang, Dancing Body-Drumming Mind (The Last Song) (2000) è una “monumentale installazione composta da numerose sedie e letti provenienti da diverse parti del mondo e ricoperti di pelli di vacca. L’opera è tra le poche ad avere una connotazione performativa e, in determinate occasioni, può essere attivata da danzatori attraverso i movimenti del corpo come strumento meditativo e dalle percussioni che richiamano il messaggio della medicina tradizionale. L’installazione allude a temi legati alla cura del corpo e dello spirito, centrali nelle ricerche di Chen Zhen”, che proveniva da una famiglia di medici e che a 25 anni aveva ricevuto la diagnosi di una forma di anemia emolitica.
Proseguendo nel percorso ci si imbatte, fra le altre, in:
Round Table (1995), opera destinata al Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra: 29 sedie fissate ai bordi di un immenso tavolo rotondo, che da una parte rappresentano l’idea della politica sentita come esercizio di potere, dall’altra il concetto di unità che dovrebbe invece prevalere;
Fu Dao/Fu Dao, Upside-down Buddah/Arrival at Good Fortune (1997) – “Il titolo si basa sugli ideogrammi cinesi che indicano “buona fortuna”/”arrivo della fortuna”, un’indicazione che solitamente viene appesa alla rovescia nei luoghi pubblici e che è omofona dell’espressione “Budda capovolto”, Chen Zhen approfondisce le riflessioni sull’uomo, la natura e la società, che è vista sempre più lontana dallo spirito del Buddismo. L’opera si compone di oggetti trovati – come televisori, ventilatori, componenti della carrozzeria di un’automobile – e di statuette del Budda capovolte, sospesi su una struttura, la cui sommità è rivesta di rami di bambù. Chen riflette sui cortocircuiti prodotti dalla rapida proliferazione dei beni di consumo di massa sulla società del suo Paese di origine”;
Daily Incantations (1996) – “101 orinali disposti a semicerchio e fissati ad un imponente impianto in legno a ricordare un antico strumento musicale, ispirata dall’osservazione dell’artista di alcune donne intente di mattina a lavare dei vasi da notte vicino a un prestigioso hotel di Shanghai. Questa immagine gli riporta alla mente i riti quotidiani della sua infanzia: il lavaggio fisico dei vasi da notte e quello mentale della lettura del libro rosso di Mao”;
Prayer Wheel-Money Makes the Mare Go (Chinese Slang) (1997), una installazione che consta di una ruota di preghiera (ispirata da un viaggio tibetano) punteggiata da antichi abachi e moderne calcolatrici. Ancora una volta si accostano elementi in apparenza estremamente discordi;
Purification Room (2000), nella quale Chen Zhen “si interroga sulla possibilità di purificazione dell’uomo e più in generale del mondo. Il visitatore è accolto in un ambiente domestico monocromatico e dall’aspetto apocalittico: i mobili, gli oggetti e le pareti che lo compongono sono, infatti, coperti da uno strato di argilla”. Un’opera, nel suo iperrealismo, claustrofobica e, nel contempo, visionaria. Impressionante. Un impatto emozionale potentissimo (fra ammirazione e sconforto, disperazione e vitalismo). Non stupisca se per Purification Room scomodiamo il sostantivo… capolavoro.
Si dovrebbe pensare che il subconscio diventi il filo connettivo interno di tutta l’opera di un artista. E non il contrario. Molti hanno sempre pensato che l’ispirazione per ogni opera scaturisca da un impulso subconscio, con l’uso degli ideali della coscienza  e della logica per controllare il proprio stile e la propria continuità. Non hanno mai pensato a come questo controllo da parte della “logica dell’ego” finisca per sopprimere sottilmente numerose “microsubcoscienze”.
Una mostra illuminante. Contro ogni banalità od ottusa convenzione. Senza confini.

Alberto Figliolia

Short-circuits, Chen Zhen. A cura di Vicente Todoli. Fino al 6 giugno 2021. Fondazione HangarBicocca, via Chiese 2, Milano.
Info: tel. +39 0266111573; e-mail info@hangarbicocca.org.
Orari di apertura: giovedì-domenica 10,30-20,30. Prenotazione obbligatoria. Si consiglia di consultare il seguente link ai fini del rispetto delle regole legate all’emergenza sanitaria: https://pirellihangarbicocca.org/informazioni-pratiche/.
Ingresso: libero.

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