“Sguardi” di Giacomo Lombardozzi


A cura di Augusto Benemeglio

1. I RITRATTI DI BACON
C’è un quadro al Museo Nazionale d’arte moderna, a Parigi, di Bacon, che s’intitola “Studio per ritratto” , un olio di appena 35×30, in cui è raffigurato lo scrittore e critico d’arte Michel Leiris, un amico dell’artista, un quadro che praticamente non ha prezzo. E tuttavia quel ritratto non somiglia affatto allo scrittore Leiris , almeno questo hanno dichiarato le persone che lo hanno conosciuto.
Riferendosi espressamente a quest’opera , Bacon spiegò come avevano origine i suoi ritratti, “Spero sempre di deformare le persone fino ad ottenere l’apparenza ; io non posso dipingerle letteralmente così come sono. Perché credo che il ritratto che ho fatto meno letteralmente somigliante ne colga in realtà più intensamente la somiglianza. Non si sa che cosa faccia sembrare una cosa più reale di un’altra…Sì, lo so che non ha senso fare il ritratto di una persona se non s’intende farlo somigliante , e tuttavia certe cose di un volto che non hanno nulla a che spartire con quel viso a me sembrano più somiglianti della realtà, ma non saprei dirvi il perché…chissà forse a me interessa solo cogliere la verità nello sguardo del personaggio che ritraggo…

2. SGUARDI
Ecco, da questa dichiarazione d’intenti, sembra nascere , quasi per caso, la mostra di Giacomo Lombardozzi, “Sguardi” , una serie di ritratti di personaggi celebri e persone qualsiasi , amici o parenti dell’autore , che hanno l’anima nello sguardo. “L’importanza sia nel tuo sguardo, /non nella cosa guardata”, diceva Andrè Gide. E se voi andate nello studio di Giacomo vedrete realizzare questa massima ; si para dinanzi a voi una fiera , un teatro degli sguardi . Una successione , una catena di sguardi imprigionati nella tensione del colore appena dato , un attimo irrelato e irriflesso. Liberati dal loro gioco , quegli sguardi vi fissano , convergono , formano arabeschi elaborati e contorti ,o geometrie perfette di luce , teoremi dell’intreccio , e infine si sacralizzano nell’atto statico del dipinto. Che esprime sofferenza , angoscia,
amore , passione, fantasia, sogno, dolcezza, sorriso, gioia , abbandono.

3. PAOLO CONTE
Ogni sua opera è in bilico tra felicità e infelicità , ne è ugualmente composta come lo è ogni cosa del reale. La tensione precaria tra gli opposti , che caratterizza le sue tele, è da interpretare secondo i desideri e i bisogni di chi guarda , una specie di frutto agrodolce, come nelle canzoni di Paolo Conte che Giacomo ha ripreso quasi in uno scatto irrelato, corrucciato, perplesso, turbato da questa sua violazione, da questa intrusione, questo voler frugare nella sua anima, scandagliare nella sua psiche, e reca nello sguardo tutta la sua carica di accigliata drammatica dolorosa sorpresa, ma c’è sempre una via di fuga, una speranza…come nelle canzoni del cantautore astigiano.

4. POSTO DELLE FRAGOLE
Mentre per Bacon la caduta dell’uomo è definitiva , i suoi ritratti sono figure di esseri sfigurati , vinti , disfatti, avviliti, rabbiosamente impotenti, senza nessuna possibilità di redenzione o di salvezza, ( del resto aveva detto : la vita , dalla nascita alla morte è una lunga distruzione) .
Per Giacomo è diverso, c’è sempre un barlume di sogno e di poesia , direi di innocenza e di speranza che rimane sotteso in quasi tutti i suoi ritratti, alcuni indimenticabili, per me. Ci sono sguardi tristi, amari, pensosi , pieni di malinconia , ma anche sorridenti , allucinatori , ironici, o pieni di musica . Sguardi che si fanno spazio nell’anima e costruiscono speranze e futuro , o sguardi da posto delle fragole , quei posti lontani in cui più abbiamo amato e vogliamo ritornare , sguardi che catturano la fantasia o scavalcano i confini di classe, razza ed ego e ci dicono del cambio del vento , quando si gira da libeccio a tramontana .

5. LA MIA VERITA’
” Amo fare ritratti di persone che mi piacciono come persone, o per l’aspetto che hanno, dice Giacomo. Le immagini che dipingo sono la copia delle mie emozioni, la ricerca di un vortice che porti alla fusione tra l’idea che ho del personaggio e lo stesso , ma visto in un determinato stato d’animo ,in una determinata angolazione prospettica , colto come un flash fotografico. Vado molto per immediatezza di impressioni..Molti vogliono essere messi in valore dai loro ritratti , io cerco solo la verità, la mia verità, che è tutta nello sguardo…. “ E’ vero. Lui cerca di combattere strenuamente per rimettere al centro la figura dell’uomo , con la sua fragilità, la sofferenza, la propria inevitabile solitudine , il proprio disordine interiore , l’abbandono . Un’umanità minacciata che deve essere recuperata.

6. L’ACCADEMIA NON SERVE A NIENTE
Giacomo Lombardozzi è un pittore che viene dall’Accademia delle Belle arti di Roma, ( “ Non serve a niente”, dice, ma in realtà qualcosa serve ) , e che ha maturato una sua cifra stilistica e contenutistica facendo un lungo tirocinio alla scuola di maestri romani , è uno che fa dei ritratti fortemente espressionistici che hanno tuttavia una loro matrice e peculiarità, fatta di frammentazioni impressionistiche, di dissonanze e armonie segrete, oserei dire, in certi casi, di illuminazioni. Insomma, ha per intero il suo corredo da pittore professionista , e il talento non gli manca. Se la andiamo a vedere nei dettagli, la sua è una pittura molto rigorosa dal punto di vista formale , direi di impianto classico, che si pone come scopo lo scavo della persona che ritrae , fotografa l’anima, che è tutta nello sguardo . Prendiamo ad esempio il regista Pupi Avati , vediamo il gesto insistito della stesura del colore, quel giallo vangoghiano , come apporto materico di carne viva , la deformazione del volto , una maschera che ricorda il Dorian Gray di Wilde, ma anche le angosciose opere di Bacon , e tuttavia c’è una propria tessitura , una sua poetica.

7. LA FIGURA UMANA
Il tutto concorre a fare della sua pittura qualcosa di attraente, originale, sicuramente degno di interesse. Come abbiamo accennato , è una pittura che ha diversi riferimenti culti , oltre il già citato Bacon, che possiamo definire il padre spirituale dell’angoscia esistenziale, ci sono Schiele , Kokoschka ,Lucien Freud, direi, per la pennellata forte, decisa, il senso di abbandono delle cose . E poi qualche richiamo a Sutherland , Ritcher, Balthus , Romagnoli , Ferroni , tutti pittori che hanno scelto la c.d. “New Images of Man” , ossia il ritorno a una figurazione che dopo il trionfo delle tendenze informali, faceva emergere la figura umana in tutta la sua carne e sofferenza . E , sotto certi aspetti, c’è anche Giacometti, lo scultore svizzero delle statuine filiformi , che riflette lo spaesamento e la crisi d’identità che investono l’uomo in questi ultimi sessant’anni, a partire dal dopoguerra. Ma la pittura di Giacomo non rinnega la tradizione classica, non dimentica gli insegnamenti dell’accademia,al di là delle sue stroncature , e i grandi pittori della storia dell’arte italiana , da Masaccio e Mantegna a Bellini , per arrivare a Boldini, alla lezione degli impressionisti , indi a Egon Schiele, di cui ha fatto il ritratto, che è quasi una autocitazione. Giacomo si identifica , sotto certi aspetti, al pittore austriaco, con la sua disperata malinconia , il suo senso di isolamento , il desiderio impossibile di dialogare con il mondo …

8. LA LIBERTA’
Lombardozzi , come abbiamo detto , rimette al centro dei suoi interessi la figura dell’uomo, questa nostra umanità minacciata dai due estremi, che vanno a braccetto ormai da un paio di generazioni : una banalità ininterrotta , che diventa massificazione, consumismo, kitch, e il dramma della guerra e del terrorismo, che sta ovunque , in ogni angolo del mondo; ma nella sua pittura , come abbiamo detto, ci sono anche barlumi di sogno, segni di speranza, dolcezza, poesia, libertà, anelito a cui aspira con tutte le sue forze.
“Voglio che la mia vita sia libera , il più libera possibile , voglio vivere coi miei cani , che amo e mi amano . Cerco solo il miglior tipo di atmosfera in cui lavorare, ma capisco che – come diceva Francis Bacon – qualsiasi cosa in arte sembra crudele , perché la realtà è crudele. Punto e basta”. Se ne era accorto anche il tormentato Egon Schiele che aveva ridotto il sesso ad un’ammasso contorto di corpi incapaci d’amare, ma solo di dilaniarsi nel mare estremo della malinconia che è la vita.

9. ALFREDO LOMBARDOZZI, PADRE E PSICANALISTA
Questo ci dice continuamente Giacomo Lombardozzi , con la sua pittura che s’apre spazi verso i notturni lunari della vita , con le sue dolcezze, malinconie, strazi blu , sorrisi amari e fragilissimi armonie sempe in procinto di spezzarsi, frantumarsi, dissolversi ( vedi la sua Monna Lisa) . L’unico spazio certo che ci è dato è quello di una ricerca del dio che sta dentro di noi , della ricerca di noi stessi, dell’esplorazione della nostra prigione . E questo ribadisce anche suo padre , il noto psicanalista e antropologo , prof. Alfredo Lombardozzi , di cui vediamo il bel ritratto con lo sguardo assorto, pensoso , che riflette sulle molteplici sfaccettature , incastri, labirinti, della psiche. Anche il nonno di Lucien Freud , l’artista a cui maggiormente si avvicina la pittura di Giacomo , era nientemeno che Sigmund Freud , il padre della psicanalisi. Tutti e due cercano di tirar fuori dai ritratti l’anima dei personaggi, e lo fanno seguendo traiettorie diverse , tecniche diverse , stili diversi , progetti diversi. Solo che le opere di Freud sono oggi universalmente riconosciute , apprezzate, strapagate , e hanno un mercato di altissimo profilo ( ogni sua opera supera le centinaia di migliaia di euro) , mentre Giacomo si deve arrabattare per sopravvivere , e stenta a farlo facendo il pittore, l’artista , il “naturista “ , le sole cosa che ama fare e che vorrebbe fare, ma non può.

10. IL FALEGNAME E L’ORINATOIO DI DUCHAMP
E quindi è costretto a fare altri mestieri,
ad esempio il falegname , mestiere peraltro mobilissimo, o piccoli lavori di riparazione a domicilio , esperienze umane importanti che si riflettono nella sua arte , che cerca uno spirito di solidarietà e di fratellanza proprio con gli umili . Giacomo , l’abbiamo detto, non è un pittore della domenica , è uno che ha studiato, che sperimenta , che ha talento , e tuttavia questo non basta. Anche perché oggi nel campo dell’arte moderna non esistono più punti di riferimento : tutto può essere arte e niente lo è. A partire da Duchamp, il grande “bestemmiatore” , il grande “criminale” che con il suo orinatoio ha affossato tutta l’arte classica, frantumato tutte le regole e i suoi principi, si è creata una distanza enorme fra gli artisti in generale , e il comune sentire della gente che aveva dei modelli ben precisi e che ora non riesce più ad identificarsi in quelle opere incomprensibili che vede nelle varie mostre , non condivide lo spirito con cui vengono eseguite , e si domanda spesso se tutto ciò possa ancora chiamarsi arte . Ma intanto l’arte ha attirato , ormai da decenni, l’attenzione degli economisti e del mondo della finanza.

11. ARTE COME BUSINESS
E’ diventata un business, una forma di investimento , a volte molto redditizio. E così come Tayellarand diceva che le guerre sono cose troppo serie per lasciarle fare ai generali, i grossi mercanti dell’arte, le lobbies, le banche, i galleristi importanti, o gli acquirenti miliardari , hanno pensato che l’arte fosse una cosa troppo importante per lasciarla in mano agli studiosi e ai critici d’arte , hanno pensato bene di scendere in campo e di essere loro a orientare e a decidere, coi loro acquisti miliardari , ciò che è arte e ciò che non lo è, arruolando eserciti di critici prezzolati.

Augusto Benemeglio

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